MARCO ALFIERI, La Stampa 7/3/2012, 7 marzo 2012
MODELLO ALLA ROVESCIA
Il venti per cento dell’intero Consiglio regionale lombardo indagato, tra cui 4 membri su 5 dell’ufficio di presidenza. Ex assessori di peso della giunta guidata da Roberto Formigoni finiti in carcere.
Amici stretti del governatore, come Marco Mazarino de Petro o Pierangelo Daccò, coinvolti nello scandalo Oil for Food e nel crac miliardario dell’ospedale San Raffaele. Infine, novità di giornata, un leghista di prima fila quale Davide Boni, presidente dell’assemblea regionale, accusato dai pm di aver preso tangenti. Che succede nella ricca, moderna e padanissima Lombardia dopo 17 anni di regno incontrastato di Roberto Formigoni?
Il governatore, dall’alto del suo quartier generale nuovo fiammante, versione 2.0. del più austero palazzo Pirelli, per anni si è fatto vanto del modello Lombardia nella partnership pubblico/privato, nella sanità e nel sostegno alle imprese del territorio. Un laboratorio capace di pescare consensi ben oltre il tradizionale elettorato moderato di centrodestra, che Formigoni ha tentato più volte di esportare a Roma in chiave post Berlusconi, senza mai riuscirci. Un lungo regno impermeabile all’alternanza politica, dove gli avversari finiscono regolarmente triturati dalla macchina elettorale del “Celeste” governatore, spalleggiato a partire dal 2000, l’anno della grande pace tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, dalla convivenza riluttante con la Lega Nord che continua a definirsi partito nuovo dalle mani pulite ma nel frattempo è al governo regionale da 12 lunghi anni.
Fateci caso: Formigoni è presidente della Lombardia da prima che il governo Prodi portasse il Paese nella moneta unica (1998). A sua volta il Carroccio è un socio decisivo di maggioranza da quando le Torri Gemelle c’erano ancora (2001). In politica sono ere geologiche. Perché alla lunga le dinastie finiscono per usurarsi se non c’è alternanza nei gruppi dirigenti. Senza ricambio i sistemi s’inceppano, l’aria diventa viziata e la trasparenza si opacizza, al cospetto di un’opposizione colabrodo mai davvero in grado di farsi alternativa. E’ a quel punto che il fortino diventa autoreferenziale, ci s’immagina autosufficienti, e i suoi membri intoccabili. I controlli si allentano e scoppiano impunità e scandali. Tanti, troppi. A metterli in fila, con cadenza ormai settimanale, fanno impressione. Dalla contabilità regionale sono esenti solo Udc, Idv e Sel.
Non è semplicemente una questione di codice penale, su cui dirà la magistratura. E’ questione di opportunità politica, di riformismo che si appanna, di intrecci, di relazioni opache o di favoritismi come quelli che emergono dalle intercettazioni sul crac del San Raffaele, lautamente finanziato dalla Regione Lombardia. Fino ad allargarsi a macchia d’olio alle altre fazioni del Pdl, all’alleato leghista che spesso sbraita contro Formigoni ma dietro le quinte si acconcia alla grande spartizione di enti pubblici e poltrone di sottogoverno - i pm parlano di un sistema di tangenti al partito di via Bellerio - e, come nei più classici sistemi bloccati, all’opposizione a cui si garantisce sempre un diritto di tribuna. Il caso dell’ex presidente della provincia di Milano, Filippo Penati (Pd), è lì a testimoniarlo.
Insomma un modello Lombardia alla rovescia, 17 anni dopo, che rischia di cancellare anche la buona amministrazione. E certamente, da non esportare.