Diego Gabutti, ItaliaOggi 7/3/2012, 7 marzo 2012
Sì, è
fatta: dal partito passatista al partito trapassatista –
Ci siamo, il dado è tratto, scrive Giuliano Ferrara sul sito del Foglio: la Buonanima scioglie il Popolo delle libertà, partito passatista, per fondare un nuovo partito, stavolta trapassatista.
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«Quasi ogni sera si proiettava un film nelle salette private del Cremlino o delle varie dacie. Chrucev racconta che Stalin era appassionato soprattutto di western: «Di solito ne parlava male, poi ne ordinava immediatamente di nuovi» (Martin Amis, Koba il Terribile, Einaudi 2003).
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Muore Lucio Dalla e i politici si rivelano tutti suoi fan. Lucio di qua, Lucio di là. Tutti lo stimavano, tutti lo conoscevano di persona. Lui diceva a loro, loro dicevano a lui. Ah, era profondo come il mare; gli volevo bene assaie. Che poeta! E che musicista! E politicamente parlando_ be’, era uno dei nostri, non dico di più. Neppure Aldo Cazzullo, che di retorica sciropposa è campione nazionale, riesce a battere le smielataggini su Lucio Dalla snutellate in questi giorni dai politici di destra e di sinistra, cattolici e laici, destri e destrissimi, sinistri e sinistrissimi. Vedi mai, pensa ciascun politico, volpino, che il fan club dell’autore di Caruso, di Nuvolari, di 4 marzo 1943 e d’Attenti al lupo sia alla ricerca d’un partito da votare, oltre che d’un motivetto da fischiettare.
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Fa eccezione Marco Rizzo, già rifondatore del comunismo, poi comunista italiano con i dilibertiani, tuttora irriducibile, che dice di non aver rilasciato dichiarazioni alla scomparsa del cantante bolognese. Sarebbe stata cosa diversa, aggiunge, se fosse morto «uno degl’Inti Illimani», gruppo vocale cileno, caro alla sua gioventù militante, quando el pueblo unido jamás era vencido. In questo caso, be’, si sarebbe intenerito anche lui, calvo e distaccato com’è.
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Mentre il partito democratico, esagerando come sempre la propria importanza, si accredita la «buona riuscita» delle liberalizzazioni, l’ex campione di Mani pulite Tonino Di Pietro le definisce misteriosamente «una lavata di faccia». Nonno Mario ascolta (se ascolta) e sorride.
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«Ormai il divorzio tra le idee e i fatti è universale e lampante. André Malraux lo ha espresso così, con la sua bella retorica: «Strana epoca, diranno di noi gli storici del futuro, quella in cui la sinistra non era la sinistra, la destra non era la destra e il centro non stava nel mezzo» (Mario Vargas Llosa, Gioco senza regole. Contro vento e marea III, Scheiwiller 2011).
«Alle donne, nella maggior parte di questo pianeta, s’adatta perfettamente ciò che Marx disse dei proletari: non hanno da perdere che le loro catene». Così il Grande Corsivista sul Giornale dell’Uomo Elegante. Dove vi sarà capitato di veder applicare la stessa formuletta anche a omosessuali, mentecatti, extracomunitari, valligiani (e turisti) in guerra contro l’alta velocità, conduttori televisivi giubilati eccetera. Pura sociologia in stato d’ebbrezza, d’accordo. Parole al vento. Ma anche il corsivista, proprio perché condannato a ripetere in eterno (come i malati di nervi) la sciocchezza che gli è già stata fatale una volta, non ha da perdere, o almeno da sferragliare, che le sue catene.
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Come certi personaggi storici, in particolare l’inventore del cavallo, anche Adriano Sofri ha avuto «un’idea». Perché non facciamo votare gli abitanti della Val di Susa per sapere cosa davvero pensano dell’alta velocità e del suo impatto sul loro umore oltre che sull’ambiente? Potremmo chiamare questa consultazione «referendum». Non è una bella parola? Di qui la fama di cui Sofri meritatamente gode: il maggior intellettuale italiano dopo il Dottor Balanzone.
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«La leggenda dà sempre una versione diversa da quella storica ed è tuttavia esattamente vera. Quella che noi oggi chiamiamo storia presenta la verità da un solo punto di vista» (August von Haxthausen, Viaggio nell’interno della Russia 1843-1844, Jaca Book 1977).
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Una notizia dal fondo del barile: sul Giornale prendono la parola i nostalgici dell’inno berlusconiano originario, non Meno male che Silvio c’é (che pure aveva i suoi meriti, cosa che non saranno certo i nostalgici a negare) ma quell’altro, l’inno che diceva «e Forza Italia/è tempo di credere/dai Forza Italia/che siamo tantissimi/e abbiamo tutti/un fuoco dentro al cuore». Vi sembrerà strano, ma qualcuno, nel nostro sempre più improbabile paese, rimpiange questi versi immortali. Un giorno qualche Roberto Benigni o Adriano Celentano li commenterà parola per parola nel corso d’una serata sanremese (come anni fa i versi altrettanto memorabili dell’Inno di Mameli) e allora i gazzettieri semicolti scriveranno fondi ammirati ed entusiasti.
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Francesco Storace, il cui gruppuscolo ha animato nei giorni scorsi una manifestazione detta «No Tax» che ha sfilato nelle strade della capitale, chiede alla Buonanima di «staccare la spina» all’esecutivo bocconiano. Perché non gli chiede piuttosto di riattaccare la sua?