Margherita De Bac, Corriere della Sera 07/03/2012, 7 marzo 2012
VONGOLE TURCHE E POLPO VIETNAMITA. ECCO IL MENU DEL PESCE TAROCCATO —
Giornata di tramontana ieri. Molte barche ferme, poche al largo. Al porto di Anzio la spigola veniva battuta a 47 euro il chilo. Spigola autentica.
Il ristoratore in vena di truffe e risparmio però avrebbe potuto scegliere in alternativa quella «taroccata», ad esempio quella francese, di qualità media, allevata in cattività in gabbie in mezzo al mare. Costa circa la metà e viene spacciata come appena tirata su dalle reti, anche nel prezzo. Il consumatore non se ne accorge. E a meno di non essere esperto a tal punto da cercare sulle squame della pseudo spigola italiana un’inconfondibile macchia rossa al di là del suo fiuto non possiede altri strumenti di difesa.
Per il pesce che si mangia al ristorante non è necessaria alcuna etichetta d’origine. Da qui la richiesta di Coldiretti Impresa Pesca di estendere questo obbligo, già in vigore in pescheria, anche ai menù della tavola. Una vera e propria carta di accompagnamento dove vengono riportate tutte le informazioni per ricostruire il viaggio di cernie, sogliole, dentici e gamberetti dalle onde (o dalle vasche) al piatto. Tanto più che il rischio di inforchettare bocconi «falsi» è fortemente aumentato di pari passo con le importazioni da Paesi stranieri del Terzo mondo.
L’associazione presieduta da Paolo Bedoni basa la sua denuncia sulle stime di questo mercato truffaldino. Nel 2011 le importazioni di pesce e preparazioni a base di pesce sono cresciute dell’11%, superando i 4 miliardi di euro. Ogni anno gli italiani ne consumano un miliardo di chili. Facile ingannare il cliente incapace di distinguere sapori e qualità. Pangasio del Mekong spacciato per cernia, filetto di Brosme al posto del baccalà, halibut dell’Atlantico anziché sogliola, squalo sostituito al pesce spada, vongole turche o del Mozambico vendute come originarie del mare locale, gamberetti cinesi o polpo del Vietnam.
Secondo Coldiretti tre piatti su quattro nascondono sorprese straniere. Per non contare, aggiunge Impresa Pesca, che dal punto di vista della salute si abbassa il livello di sicurezza. In alcuni Paesi asiatici è consentito un trattamento a base di antibiotici che da noi è vietato perché ritenuto molto dannoso.
Enrico Pierri, proprietario del ristorante Sanlorenzo, al centro di Roma, ritiene che il fenomeno sia molto diffuso e abbia una doppia causa: «I prodotti del mare italiano — dice — sono sempre più rari mentre i costi aumentano forse per il prezzo del carburante. Per noi il rischio non esiste perché compriamo alle aste dei porti di Anzio e Civitavecchia ai quali fanno riferimento i pescherecci locali. Dunque tutto pesce certificato. Ai mercati generali può invece arrivare di tutto. Noi lo sappiamo bene. Dunque se al posto del dentice rosa viene offerto il pagro è per prendere volutamente in giro il cliente». Come difendersi? Enzo Savarese, titolare dell’hotel Mary di Vico Equense, dove il prodotto è di primissima qualità e origine sicura, suggerisce qualche trucco: «Diffidate delle sfilettature e dei tranci, facili da scambiare perché, tanto per fare un esempio, quelli di spada e verdesca si assomigliano. Il pangasio costa 2,5 euro al chilo all’ingrosso, la sogliola dai 25 ai 30, dunque quando il prezzo indicato sul menù è inferiore ponetevi qualche dubbio». Tonino Giardini, responsabile Coldiretti Impresa Pesca insiste sull’urgenza di introdurre la tracciabilità completa: «Dobbiamo aiutare le imprese non con denaro ma tutelando le loro attività. Oggi il pesce è tracciabile fino al ristoratore e non fino all’utente. Oltre la metà dei prodotti ittici vengono consumati fuori delle mura domestiche».
Margherita De Bac