Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  marzo 06 Martedì calendario

BART E MARGE SENZA VOCE LA CRISI ZITTISCE I SIMPSON


Se c’è un elemento connotante in Bartholomew Jojo Simpson detto Bart – il teppista che la rivista Time indicò come “una delle persone più influenti del XX secolo” – oltre alla tinta gialla e alla psicologia da killer buono che ribaltò la pedagogia occidentale, be’, quell’elemento è la voce.
La voce di Bart Simpson è lo schiocco della fionda di David contro il Golia del conformismo. Gracidante e supponente eppur velata dalla ingenuità dei bambini, la voce di Bart col suo grido di battaglia «Eat my shorts!» («Ciucciami il calzino», nella creativa traduzione italiana) è da sempre elemento portante del personaggio. Una delle sue fortune, diciamo. Nell’edizione originale la voce di Bart è di Nancy Cartwright, un’attrice di discreta fattura che per mezzo secolo della sua vita non ha fatto altro. La notizia è che ora quella voce, nella versione italiana, modulata in maschile da Ilaria Stagni, sparirà dal doppiaggio e –assieme a quella di Liù Bosisio, voce di Marge Simpson nonché notissima nel ruolo della signora Pina del ciclo di Fantozzi – troverà l’oblio. «Per tutti gli amanti dei Simpson: vi comunico che stanno provvedendo a fare i provini per sostituire le voci di Marge e Bart. Infatti Ilaria Stagni ed io siamo le uniche che si sono ribellate al ‘taglio’ del 75% del compenso. Risultato: sostituzione...», scrive faticosamente la Bosisio su Facebook. E, onestamente, per noi fan simpsoniani della prim’ora, la cosa rattrista. Secondo la versione ufficiale la sostituzione sarebbe “dovuta ai tagli di budget che la produzione americana prima, italiana dopo, hanno chiesto al cast dei doppiatori: i colleghi americani hanno avuto problemi dello stesso tipo, ora è stato il turno degli italiani. Le uniche due che hanno rifiutato questo taglio del budget, sono proprio Liù Bosisio ed Ilaria Stagni (la decurtazione sarebbe stata del 67%, che non è carino, ndr)”.

IN AMERICA È DIVERSO

Secondo la versione ufficiosa il direttore del doppiaggio Tonino Accolla – la voce storica di Homer Simpson – sarebbe entrato in frizione con le colleghe. In Italia molti doppiatori, per una sorta di mutuo rispetto di categoria, non si sono presentati al casting. In America ciò non è accaduto. Pure se, per amore di verità, occorre precisare che lì, finora, i pluriennali prestatori d’ugola, Dan Castellaneta-Homer e Krusty il Clown-; Julie Kavner-Marge, Nancy Cartwright-Bart-; Yeardley Smith-Lisa-; Hank Azaria-Boe e Harry Shearer-Mr. Burns e Ned Flanders, hanno guadagnato tutti circa 8 milioni di dollari annui per 22 settimane di lavoro. Ergo, in un momento in cui perfino gli sceneggiatori hollywoodiani, ossia il “motore” dell’industria dell’audiovisivo, si trovano in difficoltà, be’, pareva scontato che attori e doppiatori s’accollassero la loro parte di sacrificio. Per dare due cifre: la 23a stagione dei Simpson era partita negli States a fine settembre, registrando un indice di ascolti buono; ma calato del 19% rispetto a cinque anni fa, quando lo show registrava una media di 8,7 milioni di spettatori a puntata. Nell’ottobre dello scorso anno, la negoziazione con la casa di produzione 20th Century Fox Television era in una fase di stallo, in quanto la rete americana impose un taglio di circa il 45% agli stipendi delle voci di Homer & Co (quota decisamente superiore alla riduzione massima del 30% che i doppiatori erano disposti ad accettare). Sicché oggi si può dire che i Simpson vengono zittiti dalla crisi economica. Laddove non riuscirono censura mediatica, alte gerarchie cattoliche e protestanti ; laddove nulla poterono i repubblicani inviperiti e il bushismo di ritorno, ora pesano spread e recessione.

TRA SOAP OPERA E FILOSOFIA

I Simpson, per noi, sono un vaso di Pandora di ricordi. Anni fa, i cinque episodi dei cartoons più carognosi, sporchi e cattivi del mondo in prime time su Italia uno fecero il 12%. Un successo inspiegabile. Lo stesso di quando, nel ’91 Giorgio Gori, direttore di Canale 5, adottò a Mediaset Homer e i suoi mostrini; e passò per un maledetto radical chic.Sui Simpson, non basterebbe lo spazio d’un romanzo. Sulla loro filosofia ci hanno scritto un saggio intero (I Simpson e la filosofia di Irwin, Conard e Skoble, Isbn). Certo, oggi non sentire più la vocina rasposa di Bart e quella vischiosamente insulsa di Marge che raschiano l’eterna soap simpsoniana, fa specie. Sarà come quando Pino Locchi si ritirò e da allora James Bond non fu più lo stesso; quando morì Oreste Lionello lasciando orfano Woody Allen; o quando scomparve Ferruccio Amendola, costernando i fan del tenente Colombo che a quella voce ancorarono i sorrisi...

Francesco Specchia