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 2012  marzo 08 Giovedì calendario

IL ROMANZO È UN KILLER DEL CAZZO"

Quella che segue è una lettera, ad oggi inedita in Italia nella versione integrale, che David Foster Wallace scrisse a 33 anni a un altro nome (e nume) della letteratura americana: Don DeLillo. Per De Lillo DFW nutriva profondo rispetto. Con “Infinite Jest “ appena terminato e sul punto di essere pubblicato, Wallace era di fronte a un problema: anche se la qualità della sua scrittura stava migliorando, sentiva di divertirsi sempre meno in ciò che stava facendo. Così decide di rivolgersi a De Lillo per avere un consiglio.

Nicola Manuppelli


Caro Don,

Dal momento che traspare dalle tue lettere quanto tu sia una persona gentile – e dato che è risaputo che uno smisurato senso dell’obbligo tende ad affliggere coloro che sono gentili per natura – voglio di nuovo pregarti di non sentirti in alcun modo obbligato a leggere il manoscritto più velocemente di quanto te lo permettano i tuoi impegni e la tua sensibilità. Se Pietsch della Little/Brown ti dovesse fare pressioni per una quarta di copertina o qualcosa del genere, ti chiedo di ignorarlo. Non ti ho mandato il libro a questo scopo. Te l’ho spedito perché le tue opere sono state importanti per me e perché ti reputo una persona intelligente. E anche perché, se leggerai il libro e avrai qualcosa da dirmi a riguardo, so di avere una possibilità decente per imparare qualcosa. 
 
Le tue osservazioni del 9/19 sono state incoraggianti e stimolanti e mi ha anche reso curioso di sapere molte altre cose. Mi piacerebbe conoscere quali sono stati i cambiamenti che ti hanno portato a dire che ora per te “La disciplina non è mai un problema (come lo è stata negli anni precedenti).” Mi piacerebbe sapere come sia avvenuta questa sorta di educazione della volontà – vorrei che tu potessi assicurarmi che non si tratta altro che di una questione di agire secondo un tempo, un osmosi, un attrito naturali, anche se ho il triste sospetto che si tratti di un po’ più di questo. Mi piacerebbe sapere come la frase sopra citata sia in rapporto con quella in cui dici che “Il romanzo è un killer del cazzo. Cerco di prestargli la massima attenzione.” 
 
Mi pare di capire, da come usi i termini “disciplina”, “rispetto”, “dedizione”, che i tuoi pensieri confermino la mia convinzione che ciò che di solito si presenta a me come un problema di disciplina è in realtà probabilmente più un problema di dedizione. Faccio parecchio fatica ad affrontare il mio desiderio di essere contemporaneamente serio e divertito mentre scrivo. So che mai mi sono divertito a scrivere più che con il mio primo libro. Ma so anche che l’unica cosa remotamente “seria” in quel libro era il modo, assolutamente “serio”, in cui desideravo che il mondo pensasse a me come uno scrittore di romanzi davvero bravo. Rabbrividisco ora nel vedere come gran parte di quel mio primo sforzo appaia tanto atrocemente e banalmente esibizionistico e così “seriamente” bramoso di approvazione. 
 
Non so se questo significhi qualcosa per te, o si tratti di sensazioni troppo personali perché abbiano un senso per gli altri, o se in realtà si tratti di una cosa così banale e diffusa che apparirne tormentato o pensare che soltanto io ne sia afflitto ti possa sembrare grottesco. Fanculo – uno dei vantaggi della fase di correzione delle bozze del libro è che sono troppo stanco per preoccuparmi. 
 
Penso che una certa quantità di tempo ed esperienza e dolore mi abbiano aiutato – in qualche modo – per quanto riguarda l’immaturità e l’egocentrismo. Penso che “Infinite Jest” sia meno auto-indulgente e esibizionista di qualsiasi altra cosa abbia fatto prima, e che tutta la roba che ho scritto da quando ho finito “Infinite Jest” sia ancora meno intaccata dal mio ego. Penso anche che parte del miglioramento dentro di me sia cominciata grazie al “rispetto” per la finzione letteraria, realizzando quanto più grandi di me siano arte e pratica, accettando non solo di tollerare, ma anche di convivere con l’idea che io sono una piccolissima parte di un Grande Disegno. Perché la mia tendenza è pensare di essere il solo a essere afflitto da queste problematiche e a idealizzare le persone che ammiro. Tendo a immaginare che tu non abbia mai dovuto lottare con nessuno di questi problemi di narcisismo o auto-indulgenza, a immaginare che i grandi spunti di “Americana” scagliati sulla pagina nell’appartamento privo di stufa, dovunque fu che lo scrivesti, siano figli della stessa Disciplina e Rispetto e nutriti della stessa umiltà che hanno generato “Libra” o “La stanza bianca”. Ma ora mi auguro che invece non sia così. Mi auguro che nel corso di dieci anni di scrittura tu abbia fatto e subito cose che ti abbiano reso uno scrittore più “rispettoso”… Vorrei essere uno scrittore rispettoso, credo … anche se so che preferirei di gran lunga scoprire un modo per diventarlo senza perdere tempo e senza il dolore e la guerra fra il GUARDATEMI e il PORTARE RISPETTO A UN CAZZO DI KILLER.

Forse quello che voglio sentirmi dire è che la guerra sopra citata è naturale e necessaria, ed è un segno di Intelletto Superiore: forse voglio un incitamento, perché devo confessarti che questa guerra non mi piace minimamente. Penso che la mia prosa sia migliore di prima, ma anche che scrivere sia diventato meno divertente. Adesso, ogni volta che provo a buttare giù qualcosa, sono pieno di paure e timori e un sacco di altre stronzate sul sentirmi inadeguato. Forse il terrore fa parte del rispetto necessario, e forse è una parte inevitabile del processo di crescita dello scrittore, o di qualsiasi altro processo si tratti, ma non può – NON può – essere l’obiettivo e il fine ultimo di quel processo. In altre parole ci deve essere un modo per trasformare il terrore in rispetto e la paura in una sorta di umiltà imperturbabile e produttiva.

Ho difficoltà a capire come far conciliare il divertimento con la disciplina e il rispetto. So che mi sono divertito di meno a scrivere “Infinite Jest” di quanto sia avvenuto con le opere precedenti, anche se il mio stomaco avverte che si tratta di un libro migliore. Penso di capire che parte dell’invecchiare e migliorare come scrittore significhi mettere da parte molte delle mie più infantili e auto-gratificanti nozioni di divertimento, ecc. ecc. Ma il divertimento è ancora il nocciolo della questione, in qualche modo, non credi? Divertimento sia per il lettore che per lo scrittore, no? Una sorta di piacere – più rarefatto, senza dubbio, che un pacchetto di M&Ms o una bella sega, ma comunque un piacere. Come posso permettermi di divertirmi quando scrivo senza sacrificare rispetto e serietà, cioè senza fare ritorno all’esibizionismo e alla vanità e alle inutili acrobazie tecniche di un tempo? Penso che uno dei motivi per cui ti chiedo questo (anche se non ti conosco affatto come persona, ovviamente) è perché la tua prosa mi sembra coniugare divertimento e serietà in modo profondo, in qualche maniera – c’è un idea di gioco che è in qualche modo anche più divertente, perché non è immatura o auto-celebrativa o infantile o addirittura puerile. Non sono riuscito a spiegarmi come volevo, ma non riesco a rendere più chiaramente l’idea. Forse il tuo lavoro rappresenta questa sorta di profondo matrimonio solo per me e soltanto ai miei occhi. Forse si tratta di qualche strano equivoco personale che ha a che fare con me e non con i tuoi romanzi. Forse tu non hai idea di come sei riuscito a rendere (in apparenza) Rispetto e Dedizione un tale fottuto Divertimento (in apparenza). Se invece lo sai - e hai un paio di minuti per esprimermi i tuoi pensieri a riguardo – te ne sarei grato. Come al solito, sull’argomento, mi sento professionalmente disorientato. 
 
 
 


Con tutti i miei migliori auguri,
Dave Wallace


(traduzione: Nicola Manuppelli)