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 2012  marzo 08 Giovedì calendario

Più che comporre, Massimo Bottura dipinge il suo dessert "I treni che partono all´alba". Tre gocce, gialla verde rossa, spalmate sono un cielo; sul convoglio di mattoncini di cacao salgono passeggeri di briciole d´amaretto, svegliati dal sonno di panna da una crema di cioccolato al peperoncino

Più che comporre, Massimo Bottura dipinge il suo dessert "I treni che partono all´alba". Tre gocce, gialla verde rossa, spalmate sono un cielo; sul convoglio di mattoncini di cacao salgono passeggeri di briciole d´amaretto, svegliati dal sonno di panna da una crema di cioccolato al peperoncino. «Ecco fatto, assaggi». Un cucchiaino? «Usi le dita. Coraggio, tuffi, immerga. Bisogna toccare il cibo con le mani almeno una volta in una cena». Leccarsi le dita, letteralmente, all´Osteria Francescana, dieci tavoli nel cuore di Modena, da diciassette anni casa dello chef più bravo del mondo. Una voluttà da bambini nel santuario della cucina. Una marachella da fuga sotto il tavolo. Ed è qui che capisci questo mago dei sapori, provocatore, appassionato, umorale, ironico, colto, osannato dai critici, amato e invidiato dai colleghi, niente vie di mezzo. La prospettiva squilibrante da cui Bottura vede la cucina è la stessa da cui la vedeva bambino, sotto il tavolo appunto, dove si rifugiava dai dispetti dei quattro fratelli maggiori «e nonna Ancella mi difendeva col mattarello», che poi diventava l´asta di una bandiera di sfoglia tirata, spiata controluce per giudicare se era «da tagliatella o da tortellino», tagliata, farcita, piegata, plotoni di tortellini sul tavolo ed ecco, da sotto, la mano furtiva del piccolo Massimo che rompe le righe, ne afferra uno, crudo, e se lo pappa. Toccare il cibo. Il tortellino rubato al suo destino, quasi crudo, torna in uno dei piatti più celebri di Bottura, sospeso in una capsula gelatinosa con minuscole croste di parmigiano: cos´è, se non la vecchia palla di vetro con la neve? E lo scampolo di pasta su cui si posa il suo uovo embrionale ripieno di ragù cos´è se non la "scarpetta" con cui tocciava, intingeva quando la nonna non vedeva? Lasciate stare il cibo decostruito, la cucina molecolare e le etichette sull´arte di Bottura, la chiave forse sta altrove, ed è suggestiva come la piega di un tortellino. Se gli dici "artista" risponde «sono un ristoratore», consapevole degli echi della parola: restaurare, restituire. Ecco, Bottura è un bambino adulto che restituisce ai clienti i desideri e le emozioni che ha ricevuto dalle sue nutrici: nonna Ancella, tata Ines, mamma Luisa, zia Anna, (quante cuoche dietro un cuoco), per non dire dell´impagabile rezdòra Lidia Cristoni, sua prima capocuoca alla trattoria del Campazzo, oasi nella nebbia della Bassa padana, «che mi segnò l´anima» e gli salvò la vita correndogli dietro con piatto e cucchiaio «perché mi scordavo di mangiare», cuoco inappetente perché ansioso, sperimentatore al limite dell´incoscienza, «per fortuna Lidia fermò le bocce, mi diede un metodo e mi regalò la storia, la tradizione». La tradizione che Bottura ha restaurato con i doni della sua terra, parmigiano, prosciutto, aceto balsamico, (con che attenzione li scelga, leggetelo nelle riviste internazionali che ha alla Francescana, col segnalibro alle pagine che parlano di lui) ma ripensandoli come un bambino, per cui «tutto è possibile», che riplasma la realtà nel gioco, o nei sogni. Se gli chiedi quali sono gli attrezzi da cucina a cui è più affezionato, risponde «umiltà, passione, sogno». La distillatrice estrae un´essenza limpida da un sugo di faraona arrosto. Verrà spruzzata sopra il tavolo dove si servirà il "bollito non bollito". Un altro ricordo d´infanzia: «Il pranzo della domenica, quando davanti ai bolliti un po´ tristi si pregustava l´arrivo festoso degli arrosti». Tutti, e anche lui, si lanciano in analogie con l´arte per spiegare le sue creazioni, ma la cucina di Bottura sembra più un´autobiografia che si fa letteratura. Nei menù che hanno salito la scala verso le stelle (della guida Michelin: tre, adesso), tra i titoli ironici e giocosi, c´è la storia di un ragazzo goloso che si lascia «portare lontano dal suo palato», come gli profetizzò uno dei suoi maestri francesi, via da un destino di imprenditore ramo petrolio (azienda familiare), verso un altro che ancora, come tutti i bambini, neanche lui sa immaginare. © riproduzione riservata