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 2012  marzo 06 Martedì calendario

Così il «Divo» Giulio scomunicò il neorealismo - Dispensò benefici, im­pose censure, appog­giò finanziamenti al­le opere gradite, li ral­lentò a quelle non «opportune», incrementò il potere dei cattolici nel mondo dello spettacolo, con­trastò la nascente egemonia cul­turale del Pci in ambito cinemato­grafico, criticò con tutta la sua in­fl­uenza le opere considerate anti­clericali, e in qualche caso forzò direttamente la mano ai registi per tagliare o modificare alcune scene diseducative sul fronte del­la religiosità o del messaggio (de­mo) cristiano

Così il «Divo» Giulio scomunicò il neorealismo - Dispensò benefici, im­pose censure, appog­giò finanziamenti al­le opere gradite, li ral­lentò a quelle non «opportune», incrementò il potere dei cattolici nel mondo dello spettacolo, con­trastò la nascente egemonia cul­turale del Pci in ambito cinemato­grafico, criticò con tutta la sua in­fl­uenza le opere considerate anti­clericali, e in qualche caso forzò direttamente la mano ai registi per tagliare o modificare alcune scene diseducative sul fronte del­la religiosità o del messaggio (de­mo) cristiano. Così, un giovanissi­mo Giulio Andreotti - dal maggio 1947 fino al gennaio 1954 ininter­­rottamente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con de­lega allo Spettacolo - intervenne in prima persona nella produzio­ne cinematografica italiana, con una particolare attenzione al­l’estetica «neorealista» che, svi­luppatasi nell’epoca di passag­gio tra il regime fascista e la Re­pubblica, nacque nel giugno ’43 con l’uscita di Ossessione di Luchi­no Visconti e, di fatto, si concluse nel ’52 con Umberto D. di Vittorio de Sica. Una parabola politico-ar­tistica alla cui sorte contribuì in modo determinate il «Divo » Giu­lio. Nessun critico fu così influen­te, come lo fu il politico Andreot­ti, nel determinare la morte del neorealismo. Di fatto, lo stroncò. Che fra l’Italia democristiana e il neorealismo cinematografico non si sia mai manifestata una grande simpatia, è storia nota. Ma con ancora punti oscuri. Ora, un nuovo capitolo della intricata vicenda viene scritto da Giovan­ni Sedita con un saggio pubblica­to sull’ultimo numero della rivi­sta Nuova storia contemporanea dal titolo «Giulio Andreotti e il ne­orealismo. De Sica, Rossellini, Vi­sconti e la guerra fredda al cine­ma ». Autore del fortunato libro Gli intellettuali di Mussolini (appar­so da Le Lettere nel 2010), Sedita sulla base di numerosi documen­ti inediti conservati all’Istituto Sturzo, dove è confluito alcuni an­ni fa il l­eggendario archivio di Giu­lio Andreotti, cerca di dimostrare come il neorealismo si estinse an­che (o soprattutto) a causa del­l’azione costante del più influen­t­e e longevo politico democristia­no, all’epoca appena agli inizi di una carriera destinata a prolun­garsi sino a oggi. Dal suo intervento all’Assem­blea Costituente nell’aprile del ’47, quando presentò un emenda­mento all’articolo 21 della Costi­tuzione (poi non accettato) che avrebbe sancito la libertà di espressione per la stampa ma non per il cinema e il teatro, sino al termine del suo mandato, An­dreotti perseguì un obiettivo pre­ciso: favorire una produzione ci­nematografica «costruttiva sotto il profilo cristiano» cercando di organizzare gli uomini e i mezzi del cinema e di contrastare l’ege­monia culturale del Pci. La mis­sione era combattere l’agnostici­smo (di registi e produttori) e lo scetticismo (delle sceneggiature e dei film) imperanti nelle «cosid­dette formule neoveriste». Per Andreotti e i vertici della Dc il neo­realismo era, semplicemente, ne­mico della «cristianizzazione» della cinematografia italiana. In particolare Sedita cita una lettera confidenziale del 1949 scritta dal sottosegretario Andre­otti (che bene aveva in mente lo scontro «culturale» che avrebbe caratterizzato la Guerra fredda) a Giovanni Battista Montini, pro­segretario di Stato e futuro papa Paolo VI: la missiva può essere considerata il «manifesto» andre­ottiano sulla gestione dell’arte e della industria dello spettacolo italiano, che dovevano essere «convertito» al cattolicesimo. E così fu bandita la «crociata» contro le formule estetiche neore­aliste, lontane dai valori cristiani. Riviste e giornali cattolici inizia­rono a denunciare l’assenza dai film neorealisti di ogni speranza cristiana, si criticò la disumanità del cinema neorealista (contro De Sica e Ladri di bicicletta si invo­cò u­na tutela legale per i bambini ­interpreti «immessi in vicende che offendono e intaccano l’inte­grità del loro stato di grazia»), si tentò - con ottimi risultati - di co­optare i registi neorealisti nel­l’area cattolica sostenendo, attra­verso produttori amici, i loro pro­getti. Come nel caso della società Universalia, vicina ad Andreotti, che finanziò (dopo che il Pci ri­nunciò a contribuire alla realizza­zione del film) quello che sareb­be diventato, dopo una lavorazio­ne travagliata, La terra trema di Visconti. Addirittura, nel caso di Europa ’51 , girato da un Roberto Rossellini in piena «svolta spiri­tualista » (lavorò fianco a fianco con il critico Gian Luigi Rondi e con padre Felix Morlion, i due teo­rici del «neorealismo cattolico»), Andreotti intervenne diretta­mente sull’opera ultimata («la fi­nal cut version fu determinata di­rettamente dal sottosegretario», scrive Sedita), esponendo alcune sue perplessità al regista. In parti­colare sul dialogo iniziale in cui il personaggio comunista sembra prevalere su un americano in un alterco sul tema della pace. «Nes­suno nega che anche i comunisti amino la povera gente - scrisse Andreotti in una lettera privata a Rossellini - ma non vogliamo rico­noscerne il monopolio». E la sce­na, nella versione definitiva, scomparve. La politica aveva avuto la me­glio sull’estetica.