GIANLUCA PAOLUCCI, La Stampa 6/3/2012, 6 marzo 2012
Il “Goldfinger” del mattone ha perso il tocco magico - Negli Anni 60 lo chiamavano «Goldfinger», Francesco Bellavista Caltagirone
Il “Goldfinger” del mattone ha perso il tocco magico - Negli Anni 60 lo chiamavano «Goldfinger», Francesco Bellavista Caltagirone. Costruiva palazzi a Roma e viveva alla grande tra Montecarlo e Sankt Moritz. Lo racconta lui stesso nella sua biografia. Tiratura limitata, appena 250 copie regalate agli amici nel Natale del 2006. Titolo: «L’outsider». Opera fondamentale (con qualche omissis) per raccontare un personaggio che ha attraversato quasi cinquant’anni di storia d’Italia tra soldi, scandali, scorribande finanziarie, belle donne, salotti e tanto tanto mattone. Quasi sempre in ombra, per tornare sotto i riflettori di tanto in tanto e perlopiù per iniziativa della magistratura. Sorridente, affabile e galante come ai tempi della Costa Azzurra, il tocco magico degli anni sessanta nel frattempo sembra averlo abbandonato. Il suo gruppo, Acqua Pia Antica Marcia, sta cercando di rinegoziare oltre 900 milioni di euro di debito con le banche. Ci sta provando da oltre un anno, da quando alla vigilia di Natale del 2010 i sedici istituti creditori del finanziere si videro recapitare una letterina dove Acqua Marcia annunciava che soldi non ce n’erano. Secondo le stime del gruppo, a fronte di quel miliardo di debiti ci sono comunque 2,5 miliardi di asset. Grandi alberghi, palazzi, aree edificabili. L’accordo sembrava fatto solo pochi giorni fa, ma l’arresto di ieri rischia di rimettere tutto in discussione. Arresto che sarà sembrato a Bellavista Caltagirone la replica di un brutto film. Nell’80 venne fermato a New York, su richiesta della magistratura italiana che indagava per lo scandalo Italcasse. Una storia complicata, che travolse oltre a Francesco anche i fratelli Gaetano (quello noto per «’A Fra’ che te serve», da non confondere con il cugino Francesco Gaetano) e Camillo, che si chiuderà nell’88 con l’assoluzione in Cassazione e il successivo risarcimento. «Volevano colpire Andreotti», dice nelle sue memorie rievocando lo scandalo e glissando sull’episodio dell’arresto. Proprio i rapporti con la politica e i salotti caratterizzano una parte importante della sua carriera imprenditoriale. Chiama l’Italia «Amazzonia burocratica», ma nella giungla fatta di relazioni e sottopotere Bellavista Caltagirone si muove con una certa abilità. Dall’Andreotti dello scandalo Italcasse arriva fino, in anni recenti, a Claudio Scajola, indagato anche lui nella vicenda del porto di Imperia. Passando per il salotto di Maria Angiolillo, del quale era assiduo frequentatore («Le istituzioni italiane dovrebbero ricordarsi di lei»). Gustoso, per dire del rapporto con burocrazia e regole, il racconto che fa sul come riuscì ad evitare il servizio militare. Non voleva farlo e cercò a destra e a manca raccomandazioni. Alla fine si rivolse ad un muratore di un suo cantiere, che aveva un amico all’ospedale militare, che fece spuntare un certificato di inidoneità. Chiusa la vicenda Italcasse, Bellavista Caltagirone può ripartire. Nel 1994 compra Acqua Marcia, storica cassaforte immobiliare. Per il ritorno in grande stile però aspetterà il nuovo millennio. È all’inizio degli anni 2000 che si espande: compra alberghi prestigiosi come il Molino Stucky di Venezia e Villa Igea di Palermo. Investe nei porti (vedi la pagina accanto) e negli sviluppi immobiliari. Diversifica nel settore dell’handling aeroportuale - la gestione dei bagagli -, partecipa alla «cordata dei patrioti» che si prenderà la nuova Alitalia ripulita dei debiti, dove siede anche nel consiglio di amministrazione. Ogni tanto inciampa: a distanza di pochi giorni, nell’aprile del 2003, vanno a fuoco il cantiere del Molino Stucky e il suo yacht di 30 metri ormeggiato nel porticciolo di Beaulieu, in Costa Azzurra. Nell’estate del 2005 il suo nome spunta tra quelli degli impreditori «amici» di Gianpiero Fiorani che lo appoggiarono nella scalata ad Antonveneta. Nel 2006 si interessano di lui, incidentalmente, anche all’estero, ma questa volta c’entra davvero poco. Gli inquirenti Usa sono infatti sulle tracce di sua moglie Rita Rovelli, figlia di Nino, il magnate della chimica all’origine dello scandalo Imi-Sir, ancora su mandato di un pm italiano. In quel 2006 la procura di Monza cerca ancora il tesoro dei Rovelli, il maxirisarcimento frutto della corruzione giudiziaria. E la signora Rovelli, con il marito e una coppia di amici illustri, si reca con l’aereo privato ai Caraibi in vacanza, nelle isolette dove parte di quel tesoro è nascosto dagli Anni 90. Dalla vicenda lui ne esce indenne, la moglie un po’ più povera. Qualche tempo si separeranno: lui nel frattempo si lega a Beatrice Cozzi Parodi, elegante signora imperiese, molto più giovane, conosciuta proprio grazie all’affare del porto. Quello stesso porto che adesso, a 73 anni, porta Goldfinger fino al carcere.