LAURA ANELLO, La Stampa 6/3/2012, 6 marzo 2012
Ferrandelli, il piccolo “vasa vasa” che piace a destra e a Lombardo - Ti accoglie sempre con una «vasata», i due baci alla siciliana che furono il marchio di fabbrica di Totò Cuffaro
Ferrandelli, il piccolo “vasa vasa” che piace a destra e a Lombardo - Ti accoglie sempre con una «vasata», i due baci alla siciliana che furono il marchio di fabbrica di Totò Cuffaro. E se anche glielo fai notare - lui che stringe forte il vessillo della legalità puoi stare sicuro che non si arrabbierà. Perché lui, Fabrizio Ferrandelli, l’outsider che ha battuto sul filo di lana Rita Borsellino provocando un terremoto nel centrosinistra siciliano e nazionale, non si arrabbia mai. Ecumenico, morbido, senza spigoli. Fa complimenti a tutti, ringrazia tutti, chiama tutti alla concordia. Trentun anni, laureato in Lettere, sposato, un lavoro in banca, un’ambizione di cui non fa mistero: «Voglio fare il sindaco». Orlando lo accusa di avere fatto il cavallo di Troia del Terzo Polo? E lui dice: «Sarei felice di averlo al mio fianco in caso di vittoria». Mezza sinistra lo accusa di tradimento? E lui fa appello all’unità. Gli danno del trasformista, dell’ipocrita, del razzolatore di voti e di casacche? E lui replica: «Cattiverie». Eccolo qui, Ferrandelli, la rivelazione delle primarie palermitane, il giovane che ha sconfitto in un sol colpo, con sorridente spregiudicatezza, i suoi due padri ed ex big sponsor: la Borsellino, con la quale ha cominciato la sua carriera politica candidandosi senza successo nel 2006 all’Assemblea regionale siciliana, e Orlando, grazie al quale l’anno successivo è approdato al consiglio comunale. Dove ha fondato il gruppo di Italia dei Valori. Entrambi liquidati, cortesemente, come il vecchio. «Loro sono gli apparati, io sono la base». E pazienza se accanto alla gente delle periferie, agli immigrati, ai senzacasa, ai coetanei dei salotti borghesi che si è coltivato a uno a uno, sia sostenuto - inequivocabilmente dal pezzo di Pd che più di Palazzo non si può. Quell’area capitanata dal senatore Beppe Lumia e dal capogruppo al Parlamento siciliano, Antonello Cracolici, che alla Regione governa con l’autonomista Raffaele Lombardo: un «patto con il diavolo» che ha lacerato la base. Anche su questo Ferrandelli non si scompone: «Questa città non si può governare arroccandosi in un recinto, issando paletti, bisogna dialogare con tutti. E poi mi chiedo perché se Cracolici e Lumia avessero appoggiato un altro candidato andava bene, e con me è scattato l’allarme rosso». Forse perché del Pd lui non è mai stato. Forse perché, appena cacciato dall’Idv - colpevole di avere annunciato la sua candidatura quando ancora era in ballo quella del líder máximo Orlando - si è trovato un drappello di movimenti civici su cui fare leva. Forse perché prima ha annunciato di volersi candidare al primo turno e poi si è tuffato a capofitto sulle primarie, accolto con sorprendente tempismo dal pezzo filo-lombardiano del Pd. «Io resto fermo dove sono, ho un programma che mette al centro la legalità, la moralità, il merito, chi ci sta ci sta». Dialogo, dunque. E pazienza se i nemici lo chiamano mimetismo, consociativismo, populismo. Pazienza se ieri Claudio Fava su Facebook l’ha bollato come «giovanotto spregiudicato e già di antico pelo», una sorta di incarnazione del Tancredi di gattopardiana memoria. Di sicuro lui non ha paura di incarnare una sorta di conciliazione degli opposti. In consiglio tessitore di accordi bipartisan, in piazza instancabile attivista a fianco di straccioni, immigrati, ambientalisti. Scout e movimentista, candidato dei placidi umanisti e dei raccoglitori di ferraglia, credente ed estremo. A chi gli rimprovera di cumulare lo stipendio di bancario con quello di consigliere, risponde senza fare una piega: «Il primo mi serve per vivere, il secondo per finanziare una rete di associazioni, a cominciare dall’asilo multietnico Ubuntu». I novecento immigrati che hanno votato lo hanno fatto in gran parte per lui, sottoponendosi al tour de force di autorizzazioni e di file che l’organizzazione ha congegnato per evitare il bis del caso Napoli, quando le urne si riempirono di migliaia di cinesi che sapevano a stento dov’erano. Due anni fa, in un singolare cortocircuito, occupò con i senzatetto quella Sala delle Lapidi di cui era consigliere. Sulla parete dietro la scrivania la riproduzione de «Il Quarto Stato» di Pellizza da Volpedo. Di lotta e di governo, si sarebbe detto una volta.