Aldo Grasso, Corriere della Sera 06/03/2012, 6 marzo 2012
SE LA «CERTOSA» DIVENTA UNA SOAP
«Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò a Milano alla testa del giovane esercito...». Italo Calvino diceva che «La certosa di Parma» di Stendhal è il più bel romanzo del mondo e si chiedeva per quanto tempo ancora il miracolo potesse avverarsi.
Scriveva queste note per presentare la versione televisiva di Mauro Bolognini (1982, sei puntate) sostenendo che i poteri di seduzione di un libro sono cosa diversa dal suo valore assoluto. Non so, fra le persone che hanno visto la nuova versione di Cinzia Th Torrini, sceneggiata da Louis Gardel, Frederic Mora e Francesco Arlanch, a quante verrà il desiderio di prendere in mano «La Chartreuse». L’unica cosa certa è che hanno visto una versione apocrifa, come spesso succede nella fiction tv (Raiuno, domenica, ore 21,30).
Non si capisce infatti se sia una rilettura o un’interpretazione o una trasposizione o una riduzione o tutte le cose insieme. Si capisce molto bene invece quale sia la chiave espressiva di Torrini che, grazie al successo di «Elisa di Rivombrosa», ha ormai tagliato i ponti con ogni velleitarismo culturale per imboccare la redditizia strada della soap.
La storia di Fabrizio Del Dongo, di Gina Sanseverina, di Clelia non è più un insieme di storie diverse tenute insieme da un superbo stile narrativo e dall’architettura di un grande racconto di educazione sentimentale; no, qui la recitazione (Rodrigo Guirao Diaz, Maria Josee Croze, Alessandra Mastronardi) e il tessuto narrativo sembrano dare ragione alla maligna interpretazione di Alberto Moravia che vedeva nel libro solo un insieme dei peggiori luoghi comuni sull’Italia: intrighi, ipocrisie, complotti, incesti, macchinazioni, matrimoni d’interesse, ottusità, tirannie. Il genere soap è proprio composto da questi elementi e impone che il sussurro diventi grido, la leggerezza grevità. Non «La Certosa», ma «Grazie zia».
Aldo Grasso