Oliviero Beha, il Fatto Quotidiano 6/3/2012, 6 marzo 2012
FAIR PLAY ALL’ITALIANA: UN “BUUUU” NELL’ACQUA
Bisogna ringraziare il dito indice della mano sinistra di Juan Silveira Dos Santos, in arte solo Juan, difensore della Roma e della Nazionale brasiliana, se si riesce a riparlarne con un minimo di attenzione. Quante volte negli stadi sono risuonati i cori razzisti nei confronti dei giocatori di colore? E quante volte è stata fatta professione di indignazione ipocrita e sterile, da parte dei media, dei politici, dei dirigenti sportivi ecc.? Ma Juan che si porta il dito alle labbra chiedendo silenzio alla Curva Nord (ad alcuni di loro, per carità) di fede laziale, il teatro di un derby sentitissimo, la più importante partita di una domenica orba degli anticipi di Milan e Juventus, fanno da cassa di risonanza della vergogna e siamo costretti ad accorgercene. Poi, nella meravigliosa par condicio dell’ignoranza da stadio e non solo, è toccato al tramonto del gioco al neoentrato Diakitè, scuro pure lui, ma di controparte e quindi bersaglio della Sud. In questi casi le norme a lungo discusse e sbandierate da ministri e soloni sportivi, prevedrebbero la sospensione della partita. Eh già, facile a dirsi. In realtà la deterrenza di queste norme sembra destinata a risolversi nelle norme stesse, quasi che i Maroni, Petrucci, Lotito ecc. di allora e di oggi ti stessero dicendo senza dirtelo: “Già abbiamo varato regole severissime, non vorrete mica che le facessimo anche applicare! Non scherziamo, con tutti gli interessi che girano attorno, dietro e davanti al calcio, ci manca solo interrompere le partite”.
LE PARTITE si interrompono, se si interrompono, soltanto quando ci sono nevicate formidabili, e non si vede il pallone. Ma se si vede il pallone e si sentono anche i “buu” dagli spalti a noi che ce ne frega? Amministrare lo Stato Rotondo è una cosa seria, che può magari indulgere alle sanzioni teoriche e alla disapprovazione morale, ma non può intaccare la sfera degli interessi. Il razzismo, o la versione becera della discriminazione da stadio che si riversa di solito sugli “altri” che indossano una maglia diversa da quella per cui si tifa, sono considerati alla stregua di fastidi, di “scene cui non vorremmo mai assistere perché non fanno il bene del calcio”, formula cara a qualunque cronista sportivo. Ma la stessa cosa è accaduta per il teppismo degli ultras, e le misure sempre più dure sulla carta e sempre più risibili negli effetti, con tutto quello che ancora oggi entra negli stadi e poi permette la cosiddetta “coreografia sonora” a colpi di fumogeni, quando va bene. Il pasticcio dei tornelli, la tessera del tifoso oggi respinta al mittente, la serie di “gride” medievali del potere in fatto di calcio e di ordine pubblico, sono tasselli di un mosaico imbarbarito che naturalmente è a sua volta parte di un insieme (in)civile nel quale precipitiamo. “Roma e Lazio unite contro il razzismo”, era la scritta sulle t-shirt della vigilia. E abbiamo visto come è andata. Qualunque cosa abbia detto ai capitani l’arbitro all’inizio della ripresa, quando Juan ha subito quell’ignobile salva reagendo da gentiluomo con l’indice e non con il medio e insegnando l’educazioneachiprobabilmente non l’ha mai avuta (oppure è la “franchigia da curva”? Urge una ricerca – che so – di Ilvo Diamanti...), tutti noi un po’ del ramo sappiamo benissimo che non avrebbe mai sospeso l’incontro per questi “futili motivi”. Non perché il “fischietto” di turno, Bergonzi, sia peggio di altri: ma perché se non viene indirizzato in questo senso da Braschi, il designatore, Nicchi, il capo-arbitri, Abete, il presidente federale, Petrucci, il presidente del Coni, Cancellieri, il ministro degli Interni (e mi fermo...), ovviamente non si sognerà mai di sospendere alcunché, contentandosi appunto dell’esistenza delle norme. Modesta proposta swiftiana, per non perdere altro tempo e non farci canzonare . Abroghiamo queste norme, e facilitiamo corsi di razzismo visivo e canoro tra tifosi. Penso a degli “stage” al Conservatorio dei vari Centri di allenamento con una selezione che porti i migliori a Coverciano.
NON SOLO, ma anche tutto il merchandising potrebbe finalmente e liberamente essere rivisitato in questo senso. Perché “Roma e Lazio unite contro il razzismo” con quello che ne è seguito (e ripeto accade più spesso di quello che non si pensi nel menefreghismo più generale) e non piuttosto “Il razzismo è una fede, vogliamo lo scudetto”? Proviamo, almeno verrà squarciato per un momento il “plaid” di ipocrisia sotto cui ci riscaldiamo. E pensare che gli arbitri continuano a sbagliare nel loro specifico, e se fosseropersinopiù“furbetti”magari del fischiettino sospendendo un incontro per i motivi che paiono seri e a norma lo sono come appunto i cori razzisti, potrebbero distrarre l’attenzione degli addetti dai loro errori. Una caterva, e macroscopici. Non si contano le ammonizioni sbagliate, perché esagerate o perché risparmiate, con relativa “contraffazione” dei risultati. Solo che come per i “buu” di cui sopra e la reazione sacrosanta ed esemplare di Juan, se non capitano nei grandi teatri del pallone ci si fa poco caso. Si lamenta il tecnico di turno, e via andare. O meglio, in teoria la lamentela diventa un’apertura di credito per la partita successiva. Strano questo mondo, in cui basterebbe a tutti un minimo di linearità e un massimo di buona fede o viceversa, giacché il concetto di errore contiene un po’ tutto. È la diffidenza e il sospetto, che rendono il nostro calcio irrespirabile... Ma è opportuno tornare a Juan e a quei “buu” (costati una sanzione di 20mila euro alla Lazio, ma senza ignominia). O li “liberalizziamo” giacché per Monti e il suo governo le altre categorie sono inavvicinabili malgrado i buoni propositi, oppure facciamo rispettare davvero le regole e da domani (anzi da ieri sera... in B) al primo coro si interrompe la partita. Ma così, una via di mezzo che risulta una presa per i fondelli, davvero no. Come ha detto Padre Juan (“lo dico per i tifosi, non per me”), lo scriviamo non per noi ma per la credibilità dell’insieme e la decenza dei governanti, sportivi e non: i governati seguiranno.