Monica Zappelli, il Fatto Quotidiano 6/3/2012;, 6 marzo 2012
MAURI, VERA VITTIMA DI TANGENTOPOLI MORTO PERCHÉ NON PAGAVA MAZZETTE
“Un uomo onesto” ripercorre la storia dell’imprenditore suicida
di Monica Zappelli
A 20 anni mentre politici e opinionisti al seguito
celebrano come “vittime di Tangentopoli” i corrotti e i corruttori che si suicidarono appena presi con le mani nel sacco, un libro ricorda una vera vittima di Tangentopoli: Ambrogio Mauri, l’imprenditore di Desio (Monza) che si uccise nel 1997 a 66 anni con un colpo di pistola al cuore per protestare contro il sistema delle tangenti, a cui si era sempre ribellato. Lasciò la moglie, tre figli e un’azienda che da mezzo secolo costruiva autobus e tram esportandoli in tutto il mondo, ma a Milano era regolarmente esclusa dalle gare dell’Atm: Mauri aveva il brutto vizio di non pagare tangenti e aveva più volte testimoniato davanti al pm Antonio Di Pietro sul sistema milanese della corruzione. Risultato: nel 1996 era stato escluso anche dalla gara bandita dall’Atm per la fornitura di cento autobus. Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Monica Zapelli “Un uomo onesto”, in uscita oggi per Sperling & Kupfer (pagg. 192, 16 euro).
Alle 8 del mattino del 21 aprile, come sempre, Ambrogio Mauri si presenta in azienda. È il suo ultimo giorno di lavoro, ma lui è l’unico a saperlo. (…) Guarda quel paesaggio che l’ha accompagnato fedele per tutta la vita. La sua fabbrica, con le rotaie per i tram che entrano fin dentro l’officina e, sull’altro lato della strada, il capannone nuovo. Grande, imponente, moderno. Quello che non userà mai. Quello che forse i figli saranno costretti a vendere, se vorranno salvare la baracca. Ritorna in ufficio. Si siede alla scrivania e scrive un’ultima lettera. Passa un altro quarto d’ora. Sono le 8.30. Con il cuore pieno di angoscia apre il cassetto della scrivania e tira fuori la sua pistola. Una Magnum 357, regolarmente denunciata (…). Ambrogio guarda la pistola. Sono gli ultimi istanti, i più difficili, con il cuore che batte impazzito, un dolore che schiaccia lo stomaco. Sente freddo Ambrogio, ma è come se il suo corpo fosse quello di un altro. Come se i suoi gesti seguissero un rituale già stabilito. Obbedienti a una decisione presa, inappellabile. (…) Impugna la pistola e la punta verso il cuore. Si solleva il maglione, per non bucarlo. È l’ultimo gesto di un uomo che nella sua vita non ha mai sprecato niente. Poi si spara. (…)
Sulla scrivania del suo ufficio restano le nove lettere. I famigliari e gli amici ritrovano in quelle parole tutta l’angoscia e la forza di un uomo che non è mai stato capace di accettare compromessi. C’è (…) la rabbia lucida dell’imprenditore che si è trovato senza vie d’uscita: “Lo so, è una scelta che non dovrei fare, ma ogni giorno che vengo in ufficio è una sofferenza. Mi sento inutile e quel che è peggio non credo più nel futuro. Abituato a essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo Tangentopoli, tutto è tornato come prima. Come tanti ho cercato disperatamente di fare il mio dovere di uomo, di imprenditore. In politica come nella vita. Sempre”.
C’È ANCHE chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza: “È un vero peccato tutto questo. Io ho tentato ma... non sono riuscito a pagare. Che stupido”. C’è la solitudine del cittadino onesto: “Mi trovo con un mondo che non comprendo più. I valori che mi hanno insegnato sembrano scomparsi. Non credo più in questo Paese dove corruzione e prepotenze imperversano sempre”. C’è un pensiero per chi rimarrà: “Auguro a chi continua a resistere di avere più fortuna di me. È durissimo decidersi. Gli ultimi secondi sono terribili. (…) L’onestà non paga. La correttezza e la trasparenza non pagano. Questo non è più il mio mondo. Sono stanco, ora tocca a voi. A mia moglie Costanza un ultimo struggente pensiero ed un forte abbraccio”.
(…) La Confindustria di Monza e Brianza tace. Per Ambrogio Mauri non ci sono lettere di solidarietà affollate di firme di industriali, né su Il Sole 24 ore né sui quotidiani locali. Eppure Mauri era uno di loro. Eppure chiedeva solo un libero mercato in cui potesse vincere il migliore, un Paese in cui la pubblica amministrazione si liberasse dalla corruzione, un sistema di diritti che garantisse la certezza dei tempi dei pagamenti. (…) Arrivano invece i comunicati dell’Atm. Sono dispiaciuti per il gesto, ma la gara per i cento autobus era regolare. (…) Pochi minuti prima che il corteo si incammini verso la chiesa, un’auto si ferma davanti alla casa dove vivono i Mauri. Scende Antonio Di Pietro. Ormai è un ex magistrato (…). La scelta dell’ex pm spezza definitivamente, almeno per quel giorno, la solitudine della famiglia Mauri. Ci dice che Ambrogio Mauri è un morto di tutti. Un morto di questa Italia vigliacca e opportunista. (...) Di Pietro stringe la mano ai figli e dice subito quello che pensa, quello che tutti sanno, ma che è importante che venga detto da lui: «Quando controllavo l’elenco dei fornitori nel-l’inchiesta sull’Atm l’unico nome che non veniva mai fuori era quello di vostro padre». Poi si chiude in un rispettoso silenzio. (…)
DA MILANO sono arrivati il consigliere comunale Valter Molinaro e, in forma privata, Basilio Rizzo e Giovanni Colombo. Dell’Atm solo gli autisti e i meccanici. Quelli che per anni hanno visto Mauri sporcarsi le mani di grasso per controllare motori e carrozzerie, come uno di loro. I vertici, gli uomini in completo elegante, quelli che non si infilerebbero mai sotto un autobus per controllare un bullone, quel giorno invece sono impegnati altrove. Sono a Milano, in piazza Duomo, a presentare i primi autobus a pianale ribassato realizzati dall’Iveco. Sembra uno scherzo. Un gesto di incredibile cinismo. Ma è solo la cronaca di quello che è successo.
«Senza di te», lo saluta don Carlo, «Desio non sarebbe stata la stessa». Poi legge la lettera che gli ha lasciato Ambrogio prima di morire: “Negli ultimi mesi alzarmi e andare al lavoro era una sofferenza. Guardavo fuori e vedevo il mio sogno svanire poco a poco. Non è un atto di superbia il mio, decidere di rinunciare alla vita. Ma proprio non reggo più. Dopo Tangentopoli tutto è tornato come prima”.