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 2012  marzo 06 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. IL CASO DEI MARO’ ITALIANI ARRESTATI IN INDIA


CORRIERE.IT
MILANO - Nuova protesta dell’Italia contro l’India per il trattamento riservato ai due marò. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha convocato l’ambasciatore indiano a Roma, al quale ha ribadito che le misure prese nei confronti dei due marò sono «inaccettabili» e che anche l’attenuazione del regime della detenzione dei due italiani «non è soddisfacente». A dirlo è il portavoce della Farnesina Giuseppe Manzo. Terzi ha chiesto all’ambasciatore di trasmettere al governo di New Delhi e alle autorità del Kerala la fortissima preoccupazione per il clima di tensione e di forte risentimento anti-italiano che si registra in India, in particolare nella regione interessata, sulla vicenda dei nostri due militari, con un possibile grave pregiudizio della correttezza del procedimento giudiziario in corso. Un procedimento cui comunque l’Italia non riconosce la legittimità per carenza di giurisdizione. Terzi ha informato degli esiti dell’incontro il presidente del Consiglio, Mario Monti, che continua a seguire personalmente gli sviluppi del caso insieme ai ministri di Esteri, Difesa e Giustizia più direttamente coinvolti. Rassicurazioni arrivano poi dai diretti interessati che in un breve incontro con i giornalisti italiani nel carcere di Trivandrum hanno dichiarato: «Ci trattano bene, abbiamo fiducia nel lavoro positivo che stanno facendo per noi le istituzioni».
I FAMIGLIARI - Intanto viene reso noto che Christian D’Addario, nipote del marò Massimiliano La Torre è stato convocato al ministero degli Esteri: «Ci stiamo recando alla Farnesina, non sappiamo ancora il motivo della chiamata», ha detto a Tgcom24. «Appena appresa la notizia la famiglia è caduta in profondo sconforto. Però siamo sempre speranzosi. Massimiliano è sereno e fiducioso, lo abbiamo sentito. Ci ha garantito che gli sono stati vicini tutti gli organi fino a notte inoltrata, per questo c’è massima fiducia da parte nostra. Dobbiamo velocizzare però il tutto per evitare problemi. Speriamo che si corra tutti verso l’obiettivo comune, che è quello di riportarlo in Italia. Certo, sicuramente non dovevano finire in carcere, speriamo che nel giro di pochi giorni si risolva il tutto».
SEPARATI DAGLI ALTRI DETENUTI - E sulla vicenda dei marò detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori scambiandoli per pirati si è espresso anche il ministro della Difesa: «L’Italia è tutta con voi, al vostro fianco. Lo siamo stati fino ad ora. Continueremo ad esserlo», ha detto Giampaolo Di Paola rassicurando Salvatore Girone e Massimiliano Latorre raggiunti telefonicamente. Ai due militari, fucilieri di Marina, la Difesa - come informa una nota - ha «garantito il massimo impegno delle istituzioni italiane, per una soluzione della vicenda che li vede coinvolti». Dichiarazioni sono arrivate anche dal sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura inviato dal governo italiano in India per cercare di risolvere la questione che ha sottolineato come «La dignità di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è stata preservata, nonostante la decisione di del tribunale di Kollam che ha stabilito altri 14 giorni di custodia per i due militari». «I soldati stanno bene, io li ho visti fino alle tre di notte di lunedì quando abbiamo ottenuto, insistendo con fermezza, che loro portino la loro divisa in qualunque momento e che siano separati da tutti i detenuti comuni», ha detto De Mistura in un intervento su Rainews. I due soldati, ha detto il sottosegretario, «sono stati trattati con dignità e rispetto» e «detenuti in una località protetta». De Mistura ha insistito sul riconoscimento della giurisdizione italiana e sull’esigenza della massima chiarezza nelle prove balistiche. «Rimane il fatto -precisa De Mistura- che, comunque vadano le cose, i militari italiani vanno giudicati in Italia, come farebbe qualunque altra nazione», perché «in nessun caso al mondo militari che stanno svolgendo la loro missione sono stati giudicati da un paese diverso da quello di origine». Fondamentale, poi per risolvere, il caso, secondo il sottosegretario sarà la balistica.
Il nastro giallo sul sito AnalisiDifesa.itIl nastro giallo sul sito AnalisiDifesa.it
I COLLEGHI SULLA RETE - Nel frattempo in rete si stanno mobilitando anche i colleghi di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Un nastro giallo resterà esposto su Facebook fino al loro ritorno. È quello che avvolge il Leone di San Marco, simbolo del reggimento e segno della solidarietà ai due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trasferiti in carcere in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori locali. L’iniziativa è di AnalisiDifesa.it, la prima rivista di Difesa, industria e tematiche militari on line. Sono centinaia i post sui social network che fanno rimbalzare in rete il grido «Liberateli, sono prigionieri». A firmarli sono militari e commilitoni, ma il fronte della solidarietà unisce tutte le Forze Armate schierate su blog e forum di discussione. E c’è chi pensa all’idea di organizzare una fiaccolata a Taranto o una cerimonia di ammainabandiera fino a che non saranno liberati. Il segno giallo sulla piazza virtuale di Facebook in poche ore conta già decine di condivisioni e di Like. I post sono chiari: «Solo una parola: solidarietà», scrive un utente. E un altro internauta è ancora più netto: «A casa, immediatamente». Qualcuno, invece, nota che la vicenda è un «altro pesce in faccia all’Italia che continua a porgere l’altra guancia e non alza la voce avendone tutti i diritti».
MILITANTI DI DESTRA - E nel frattempo nella notte un gruppo di militanti di Gioventù Italiana, organizzazione giovanile de La Destra, ha affisso a Roma uno striscione e lanciato centinaia di volantini dinanzi l’ambasciata indiana con su scritto «I marò liberi subito». Di diverso tenore la manifestazione simbolica in programma nel pomeriggio all’Europarlamento: davanti all’Aula della plenaria saranno esposte le foto di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. L’iniziativa, promossa dal vicepresidente del Parlamento europeo Roberta Angelilli, dal capo delegazione Pdl Mario Mauro e dal vice coordinatore nazionale di Giovane Italia Carlo Fidanza, mira, spiegano gli eurodeputati, a «far sentire la propria vicinanza ai militari italiani e sensibilizzare le istituzioni europee a prendere una posizione nei confronti di questa intollerabile vicenda».

PEZZI DEL 6 MARZO
CORRIERE DELLA SERA
G.SAR.
DAL NOSTRO INVIATO
KOLLAM — Solo a notte fonda i marò evitano la cella, già pronta, del carcere di Trivandrum. Ancora all’una il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura affronta il direttore del «penitenziario centrale»: «Io non me ne vado da qui fino a quando non si trova una sistemazione appropriata per i nostri militari. È inaccettabile che siano custoditi in un carcere insieme con detenuti comuni». Sono ore di anticamera e di grande tensione, con il rappresentante del governo italiano che ordina platealmente a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone di non muoversi dalla sala d’aspetto. Il caso dei marò rischia di diventare un incidente diplomatico di quelli seri, capaci di guastare relazioni finora serene come lo sono tra Italia e India.
Chiuso nel suo ufficio il direttore si rigira tra le mani l’ordinanza emessa nel pomeriggio dal tribunale di Kollam: i sottufficiali del Reggimento San Marco sono «sottoposti a 15 giorni di custodia cautelare», affidati all’autorità della prigione centrale di Trivandrum (la capitale dello Stato del Kerala). Ma il documento precisa che la «stessa autorità» potrà decidere dove collocare i due detenuti, consentendo «il pieno accesso del corpo diplomatico» e, garantendo anche «la dieta appropriata» (a spese degli ospiti, naturalmente).
Alla fine si trova un accordo su una soluzione forse provvisoria: i due marò saranno alloggiati in una palazzina indipendente, ma sempre all’interno del carcere. Potranno restare in divisa e usare il telefono. Già oggi la diplomazia italiana riprenderà le pressioni per riportare i due militari nel «Police club» di Kollam, ultima residenza prima del trasferimento a Trivandrum. Per i due sottufficiali del San Marco, comunque, si apre una fase «lunga e complicata», come aveva detto, salutandoli sabato scorso, lo stesso de Mistura.
Ieri alle 16.30, dopo 40 minuti di dibattimento e altrettanti di meditazione solitaria, il presidente del Tribunale di Kollam aveva stabilito che i militari italiani fossero «consegnati al carcere» di Trivandrum.
Arrivati a questo punto, sul piano strettamente processuale, non c’erano molte altre soluzioni. I soldati italiani sono accusati di aver ucciso i pescatori Valentine Jelastine e Ajeesh Binki, il 15 febbraio, sparando dalla plancia della petroliera Enrica Lexie. Su disposizione della magistratura la polizia li ha tenuti «in custodia» dal 20 febbraio fino a ieri, ospitandoli prima in una foresteria di Kochi e poi nel «Police club» di Kollam. Secondo il codice di procedura penale indiano il «fermo» non può durare più di 15 giorni, dopo di che il giudice deve decidere se liberare gli indagati o «sottoporli» a carcerazione preventiva. Le indagini sono in pieno corso, anzi a voler essere precisi, sono appena cominciate. Stando così le cose era facile prevedere come si sarebbe orientato il tribunale di Kollam. I legali indiani dello studio Titus di New Delhi, in rappresentanza del governo di Roma, hanno cercato di contenere il danno, facendo leva sostanzialmente su due argomenti. Primo: davanti all’Alta corte del Kerala, a Kochi, si sta discutendo la petizione presentata dallo Stato italiano che rivendica la giurisdizione sul caso, poiché l’incidente è avvenuto a 22 miglia nautiche dalla costa, quindi in acque internazionali. Secondo argomento: la sicurezza. Gli avvocati hanno citato la campagna di stampa che ha già condannato senza appello i marò. L’offensiva aveva convinto la Corte ad attenuare l’ordinanza. Ma in questa vicenda le sorprese sembrano non finire mai.
G.Sar.

COME SI MUOVE LA DIPLOMAZIA ITALIANA (CDS)
MAURIZIO CAPRARA
ROMA — Per capire che cosa sta succedendo tra Italia e India, e quanto resti complicata la situazione determinata dalla morte di due indiani e dal blocco successivo della petroliera italiana Enrica Lexie, occorre guardare tra le pieghe di linguaggi molto più sfumati degli elementi tragici del caso: morte, carcere. Per la seconda volta da quando i due marò italiani che erano in servizio sulla nave sono accusati di aver ucciso i due pescatori, scambiandoli il 15 febbraio per pirati, la Farnesina ha contattato l’ambasciata d’India a Roma non come avviene di routine, ma facendolo sapere per dare al passo più rilievo. Obiettivo immediato, in mancanza di successo per le istanze di rilascio: continuare ad assicurare a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone un tipo di detenzione privilegiata che li faccia sentire con il proprio Stato alle spalle, oltre a garantire la loro incolumità.
Appena i fucilieri del reggimento San Marco sono stati destinati dal giudice di Kollam al carcere di Trivandrum, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha incaricato il segretario della Farnesina Giampiero Massolo di esprimere «la vivissima preoccupazione del governo italiano». L’ambasciatore indiano Debabrata Saha non risultava in sede. Massolo si è rivolto all’incaricato d’affari Saurabh Kumar. Nel ribadirgli di considerare «inaccettabili» le misure restrittive «in considerazione dello status dei nostri due militari», Massolo ha chiesto «ogni sforzo» per «reperire» ai marò «condizioni di permanenza idonee» sottolineando anche «l’estrema sensibilità della questione per le autorità italiane, per le famiglie e per l’opinione pubblica e parlamentare». Un modo per dire: vi ripetiamo che lo Stato italiano ci tiene, e non soltanto il governo. Il risultato è arrivato in nottata con la rinuncia alla sistemazione in cella.
L’azione della Farnesina si muove tra strettoie non facili da allargare. Il 17 febbraio, Massolo aveva incontrato l’ambasciatore indiano consegnandogli una lettera di Terzi al collega S.M. Krishna per invitare a «collaborazione tra i due Paesi in questa vicenda». A New Delhi l’India aveva convocato già l’ambasciatore d’Italia Giacomo Sanfelice per protestare contro le raffiche attribuite ai marò. La versione italiana è che questi hanno sparato verso una barca sospetta, però in aria e mare, non al peschereccio St Antony con i pescatori Ajeesh Binki e Valentine Jelastine.
Ai margini di un convegno dell’Aspen a Istanbul, sabato Terzi ha cercato la solidarietà del collega turco Ahmed Davutoglu. Tra l’amica Italia e l’amica India, che è il secondo Paese al mondo per popolazione e la terza economia dell’Asia, Davutoglu ha sì dichiarato l’importanza di difendere la libertà di navigazione come sollecitato da Terzi, per risolvere «l’incidente» poi ha suggerito ai due Stati di «condividere tutte le informazioni» in proprio possesso. Nello stesso giorno, sono venuti fuori dubbi se l’Enrica Lexie abbia conservato nella «scatola nera» le coordinate della rotta del 15 febbraio.
Per i marò l’Italia ha mobilitato una decina di inviati: due esperti in balistica; il console a Mumbai e l’addetto militare dell’ambasciata che sono stati con i fucilieri; tre dirigenti di Esteri, Difesa e Giustizia e altri. Dal 22 febbraio è in India il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura. Di solito non accade. È come se la rivendicazione di innocenza dei marò e la tesi secondo la quale il giudizio spetta a giudici italiani non facciano passi avanti né indietro. Anche per questo il Consiglio dei ministri ieri, ascoltato Terzi sulla sua visita in India della settimana scorsa, ha evidenziato nel comunicato sulla seduta che per risolvere il caso di Latorre e Girone «tutte le articolazioni del governo continueranno a garantire la massima tutela». Il Pdl sostiene che il governo dovrebbe fare di più e organizza oggi al Pantheon una maratona oratoria. Il gruppo di destra Movimento per l’Italia chiede alla comunità indiana di farsi sentire con il governo di New Delhi «altrimenti siamo pronti a picchettare i loro ristoranti». In quel caso, la diplomazia avrebbe un ostacolo ulteriore.
Maurizio Caprara

COMMENTO DI GIUSEPPE SARCINA
Fin dal primo giorno il governo italiano ha dovuto rincorrere le autorità indiane, dalla polizia ai ministri di New Delhi. Ieri il tribunale di Kollam ha disposto che i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone siano consegnati al carcere di Trivandrum. Una mossa di per sé non decisiva sul piano processuale, ma certamente un pessimo segnale per la credibilità dell’Italia. Sarebbe però profondamente ingeneroso scaricare la responsabilità sul sottosegretario Staffan de Mistura, che sta seguendo sul campo gli sviluppi della crisi. Bisogna, invece, guardare a Roma.

C’ENTRA ANCHE SONIA NELLA VICENDA DEI MARO’
DANILO TAINO (CDS)
Gli exit poll dicono che Rahul Gandhi non ce l’ha fatta. Oggi verranno resi noti i risultati delle elezioni in Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India: il delfino della dinastia politica più potente del Paese — pronipote di Jawaharlal Nehru, nipote di Indira Gandhi, figlio di Rajiv e Sonia Gandhi — ha fatto campagna elettorale per tre anni in quello che un tempo era il feudo elettorale del suo partito, il Congresso. Ha alzato il suo profilo, si è mostrato determinato, ha tenuto centinaia di comizi. A New Delhi i maggiorenti del partito speravano in una sua vittoria, nella riconquista del cuore dell’India per lanciarlo ai massimi livelli della politica e preparare la sua salita sulla poltrona di primo ministro, come vorrebbe la tradizione di famiglia. I numeri, invece, probabilmente racconteranno della sua delusione e della necessità della famiglia di affinare, se non di stravolgere, le sue strategie di potere.
Le maggiori reti televisive indiane dicono che il Congresso dovrebbe essere arrivato quarto nella conta dei voti. Un pessimo risultato. Soprattutto se si tiene conto che l’avversaria dichiarata — la signora Mayawati, primo ministro uscente dell’Uttar Pradesh — avrebbe subito una disfatta: assieme al suo partito Bsp avrebbe perso la maggioranza assoluta. Maggioranza che invece sarebbe stata raggiunta, o sfiorata, da Mulayam Singh Yadav, leader dell’Sp, un fortissimo partito con radicamento locale. Non solo: il Congresso è stato probabilmente superato anche dal Bjp, il partito nazionalista indù che è la principale forza di opposizione a livello federale, nemico acerrimo del governo di Delhi formato dal Congresso e da altre formazioni minori. Se gli exit poll oggi saranno confermati, la politica indiana dovrà interrogarsi su parecchie cose.
Il probabile flop — o mezzo flop — di Rahul Gandhi sta già provocando reazioni curiose nel dibattito della colorita politica indiana. Tra ieri e l’altro ieri, i capi del Congresso sono già scesi in campo per sostenere che se i risultati saranno negativi la colpa non sarà da attribuire a Rahul, che nella campagna in effetti ha gettato tutte le proprie energie, ma alla disorganizzazione del partito. È evidente la volontà di proteggere la figura di quella che è la speranza più forte per il futuro del Congresso, di alzare un muro a difesa del figlio di Sonia Gandhi, la vera forza del partito che dietro le quinte tira le fila ma che è malata e non vuole assumere ruoli ufficiali alla guida del Paese. Il problema che le elezioni dell’Uttar Pradesh probabilmente solleveranno, però, è qualcosa che i commentatori da tempo sanno e sussurrano: Rahul, 41 anni, fatica a presentarsi come un leader che ispira e vince.
L’operazione che il Congresso sta tentando di fare passare — dire che il merito di una vittoria nell’Uttar Pradesh sarebbe stata merito di Rahul ma una sconfitta responsabilità del resto del partito — rischia di essere ridicolizzata in pochi giorni. I maggiori commentatori già alzano le sopracciglia. Di base, il problema è che la più grande democrazia del mondo, il Paese che pretende di essere sulla strada di diventare una grande potenza economica e politica è ancora aggrappato, quando si viene alla politica, ai privilegi e alle dinastie, prima tra tutte quella dei Nehru-Gandhi. Una situazione insostenibile. Le polemiche dei giorni scorsi sui due marò arrestati a Kochi, esaltate dal fatto che siano italiani come la leader ombra del Paese Sonia Gandhi, è il segno dell’arretratezza e della limitatezza a cui il dibattito politico indiano è costretto dal fatto di essere troppo basato su poteri di famiglia, su dinastie, su elementi ereditari e per nulla politici.
Il fatto è che il Congresso non riesce ad andare al di là della propria storia gloriosa, legata alla lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna e così stretta alla figura di Nehru e alla sua discendenza. Ancora ieri, per dire, più di un esponente del partito sosteneva che, se Rahul avesse perso e preso la strada del tramonto, dietro di lui sarebbe stata pronta Priyanka, sua sorella, più amata dall’elettorato. Vecchi schemi, in un’India ancora povera ma sempre meno povera e sulla via della modernità: dove le dinastie iniziano a fare sorridere e annoiare molti.
Danilo Taino

I DUE ITALIANI A PROCESSO (CDS)
GIUSEPPE SARCINA
DAL NOSTRO INVIATO
KOLLAM (India) — Ritti dietro lo steccato degli imputati, in fondo all’aula, nella posizione più lontana dal presidente del tribunale e dal ritratto di Gandhi che osserva sospeso tra l’affanno dei ventilatori e il brusio dei neon. Tre-cinque minuti senza capire che cosa si stanno dicendo il giudice, gli avvocati, il pubblico ministero. Forse mai così soli, anche se tutto il team italiano stava facendo le acrobazie per evitar loro l’umiliazione del carcere.
Il maresciallo Massimiliano Latorre, 44 anni, e il sergente Salvatore Girone, 34 anni, si sono tagliati i capelli e hanno regolato la barba. Sono un po’ provati, con il viso più affilato. Latorre ha un occhio più gonfio dell’altro. Non deve essere facile dormire.
Ma restano militari, rigidi nelle divise mimetiche, con lo stemma rosso del Reggimento San Marco e i baschi scuri. Forse goffamente marziali, come Massimiliano quando stringe vigorosamente e a lungo la mano per un saluto, un arrivederci. «Ce la fate?» «Certo che ce la faremo. È sicuro, ce la faremo. Per mari e per monti».
Ora sono, dovranno essere soprattutto uomini attesi da giorni difficili, da una prova di carattere, di coraggio per cui non servono fucili mitragliatori e binocoli di precisione. La stampa indiana li ha già condannati senza appello. Nel migliore dei casi sono i «colpevoli», nel peggiore, «banditi italiani del mare».
Il governatore dello Stato del Kerala, Oommen Chandy, ha fiutato che il «caso dei marò» cade bene nella campagna elettorale in corso e non passa giorno che non citi le «prove schiaccianti» a carico degli italiani, esigendo una «punizione esemplare».
Ma quando alle tre e mezza del pomeriggio Latorre e Girone arrivano nel cortile del tribunale, scendendo dalle jeep Bolero della polizia, la piccola folla di curiosi, assiepata tra rottami di auto e liquami sospetti, li guarda e tace.
Quasi tutti i giornali indiani, specie quelli locali, hanno vissuto con insofferenza «il trattamento speciale» riservato ai «colpevoli»-«banditi» italiani. Prima la «guest house» a Kochi, poi il «Police club» a Kollam. Infine le ironie sulla «dieta speciale».
I marò hanno chiesto di mangiare cose italiane e la polizia non ha mai fatto problemi. Provvede a tutto l’addetto militare del Consolato italiano e sarà così (lo ha accordato il giudice) anche nella nuova destinazione di Trivandrum.
Comunque sia in quindici giorni nessuno si è presentato davanti ai cancelli a protestare. Almeno finora gli uomini e le donne di questo sperone di India (33 milioni di abitanti), a forte radicamento di cattolici e comunisti, non si sono fatti arruolare in una grottesca campagna antitaliana o, più semplicemente, «anti marò».
Massimiliano e Salvatore hanno una famiglia, esattamente come ce l’aveva Valentine, il pescatore di Kollam ucciso insieme al giovane Ajeesh non si sa ancora da chi.
In questi giorni i due militari si sono sentiti regolarmente con le mogli. Brevi telefonate, parole lontane. Casa Latorre è a Taranto, la famiglia Girone vive a Torre a Mare, vicinissimo a Bari.
Il collegamento con la caserma di Brindisi non si è mai interrotto, grazie all’ufficiale che è arrivato quindici giorni fa, portando sigarette e i tarallini pugliesi con i semi di finocchio. E che da allora ha condiviso ogni momento della custodia preventiva, dei trasferimenti sotto scorta, delle udienze in tribunale. Sarà così anche adesso, sotto l’autorità del carcere di Trivandrum.
Giuseppe Sarcina

FRANCESCO BEI SU REPUBBLICA
ROMA - È la prima ruota che s´inceppa, la prima grana che il governo di "SuperMario" non riesce a risolvere. Anzi, si aggrava ogni giorno di più. La vicenda dei due marò italiani arrestati in India, inizialmente delegata da Monti alla Farnesina, è fonte di una crescente preoccupazione a palazzo Chigi. Ma il premier inizia a nutrire qualche perplessità anche sulla linea di condotta, giudicata finora poco efficace del ministro degli Esteri Giulio Terzi.
Una questione che è stata dibattuta a lungo ieri sera anche in Consiglio dei ministri dopo una relazione dello stesso Terzi. Un´esposizione che è sembrata a molti quasi un´autodifesa preventiva per l´evidente avvitarsi della situazione. Terzi, informa il comunicato di palazzo Chigi, «ha illustrato le iniziative da lui stesso attuate durante la visita in India, i costanti sforzi del sottosegretario De Mistura e delle nostre Autorità diplomatico-consolari». Sforzi, tuttavia, che finora hanno prodotto pochi risultati. Tanto che anche Napolitano, sempre più preoccupato, ha iniziato a monitorare da vicino l´evolversi della vicenda.
L´inviato di Terzi nel Kerala, il sottosegretario De Mistura - che forse non a caso ieri si è opposto "fisicamente" al trasferimento in carcere dei due fucilieri italiani - ha collezionato infatti una serie di insuccessi. Non è riuscito a incontrare le famiglie dei pescatori uccisi, non è riuscito a evitare il carcere ai marinai, ha fallito nell´offerta di un risarcimento economico. «L´unica cosa che è riuscito a ottenere - raccontano i maligni nel governo - è che i marò mangino in cella gli spaghetti invece del riso al curry».
Ma anche la missione del ministro degli Esteri in India, di cui Terzi ha riferito ieri a palazzo Chigi, si è risolta in un buco nell´acqua. Tanto che lo stesso Monti avrebbe iniziato a chiedersi se non fosse stato meglio soprassedere. «Ma la missione in Asia, con la tappa a New Delhi - si difendono dalla Farnesina - era programmata da due mesi e sarebbe stato controproducente cancellarla. Gli indiani l´avrebbero preso come un affronto e la posizione dei nostri si sarebbe aggravata». È la difesa dell´impostazione improntata alla massima «cautela» che Terzi ha fin qui dato al problema. Quella linea che l´ha portato nella capitale indiana accompagnato da una folta delegazione di imprenditori, a partire dal presidente della Piaggio Roberto Colaninno, per una missione improntata più al business che alla politica di fermezza per chiedere il rilascio dei militari. Una tattica rivendicata anche nei comunicati in lingua inglese della Farnesina, nei quali si ripete che Terzi ha dato l´ordine di evitare di agire «hastily», di comportarsi in maniera ruvida o troppo precipitosa con la controparte indiana. Una condotta che non ha portato risultati. Da qui le perplessità di Monti. Sarà un caso ma già da ieri, complice la drammatica decisione di trasferire in cella i due soldati, la politica italiana è virata sensibilmente. Non solo De Mistura si è opposto al carcere con inusitato vigore, ma Giampiero Massolo, il segretario generale della Farnesina, ha urlato al telefono con l´incaricato d´affari indiano a Roma, Saurabh Kumar, per esprimere tutta l´irritazione italiana per l´ordinanza del tribunale di Kochi. Il fatto è che anche la politica inizia a muoversi e soprattutto il Pdl ha fatto intendere chiaramente a Monti che ormai la misura è colma e il tempo delle cautele diplomatiche è finito. «L´Italia non si pieghi», chiede l´ex ministro degli Esteri Frattini. Mentre Ignazio La Russa e Giorgia Meloni hanno organizzato per oggi una maratona oratoria davanti al Pantheon. Il Pdl è in fibrillazione e mette sotto accusa apertamente il governo. Per l´ex sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, «si sta muovendo malissimo, senza decisione, senza autorevolezza e senza realismo». L´allarme tra i vertici istituzionali è massimo e anche Gianfranco Fini, in visita negli Usa, ieri ha discusso della questione marò con Janet Napolitano, segretario di Stato per la sicurezza interna americana. L´arresto dei marò non sarà la Sigonella di Monti, ma il premier ha deciso d´ora in poi di occuparsene direttamente.

FRANCESCO GRIGNETTI, LA STAMPA
La cattiva notizia è arrivata come un lampo: carcere per i marò. E in Italia è subito sgomento. La questione irrompe nella riunione del Consiglio dei ministri. Giulio Terzi, responsabile degli Esteri, fa una relazione ai colleghi. Prospetta le varie ipotesi. E certo i componenti dell’Esecutivo non sono così soddisfatti all’informazione che Latorre e Girone andranno in una specie di riformatorio, un carcere speciale dove il trattamento è migliore di quella ordinaria. Né li può rallegrare la notizia che è stata concessa la dieta mediterranea o un’ora al giorno di visite, tant’è vero che i loro familiari sono già sul piede di partenza.
Ovviamente le famiglie dei due sottufficiali arrestati sono con il morale sotto i tacchi. «Cosa proviamo in questo momento? Rabbia, amarezza, preoccupazione. La cosa certa è che l’Italia non fa una bella figura», si sfoga Christian D’Addario, nipote di Massimiliano Latorre. «La decisione è pesante, i famigliari speravano che non accadesse. Adesso aspettano di avere ulteriori notizie ma sono pronti a partire per l’India per stare vicini al loro famigliare e fargli sentire l’affetto, oltre che per capire cosa si può fare», spiega l’avvocato Leonardo La Porta che assiste la famiglia.
La giornata si spegne con la speranza italiana che il pressing diplomatico possa ancora influire sul corso degli eventi. Il ministro Terzi, appena informato, dà incarico al segretario generale della Farnesina, Giampiero Massolo, di incontrare il diplomatico indiano a Roma Saurabh Kumar per esprimergli la «vivissima preoccupazione del governo italiano». La decisione del giudice di Kollam viene definita «inaccettabile» dal nostro governo. E Massolo ribadisce a Kumar che lo status dei due militari richiede «strutture e condizioni di permanenza idonee». A tale scopo si precipita a Trivandrum anche il sottosegretario Staffan de Mistura dopo un colloquio avuto a New Delhi con il suo omologo alla Difesa.
Come annunciato, s’è dunque aperta una settimana da incubo per i marò. Ma oggi l’Alta corte del Kerala dovrebbe finalmente esprimersi sul punto fondamentale della giurisdizione. E domani dovrebbe terminare la perizia balistica sulle armi e sui proiettili, a cui assistono come «osservatori silenziosi» due ufficiali dei Carabinieri. Nelle stanze del nostro governo si era sperato di incassare queste due pronunce - in cui si continua a sperare - prima che mutasse la posizione per Latorre e Girone. Così non è stato. E ora in Italia c’è costernazione, ma anche qualche dubbio sul da farsi.
Dai partiti è unanime la richiesta all’India di riconoscere la giurisdizione italiana. Non è usuale che nella stessa richiesta si associno la Lega all’Idv, il Pd al Pdl, al Terzo Polo. Eppure è un coro unanime. Il dipietrista Fabio Evangelisti: «Quello che sta accadendo a Kochi è assurdo e paradossale». Il leghista Giovanni Torri: «Intervengano Napolitano o Monti. Questi due ragazzi sono in carcere, non sulle spiagge di Doha». Il democrat Sandro Gozi: «Ci troviamo davvero davanti a un fatto gravissimo, ai limiti della provocazione». Il Pdl Fabrizio Cicchitto: «È una lesione del diritto internazionale e anche una trappola».
Cicchitto, come altri del Pdl, ritiene a questo punto che la legge vada cambiata e che i nostri militari non debbano più salire a bordo di navi mercantili. Ignazio La Russa, a sua volta, rilancia la campagna dei maxiposter con i volti dei due marò. «Vogliamo stimolare il governo a fare ancora di più se possibile e mettere al primo posto nei rapporti internazionali l’intera questione». Oggi pomeriggio ci sarà una maratona oratoria a Roma, davanti al Pantheon.
Roberta Angelilli, Pdl, vicepresidente del Parlamento europeo, ha anche chiesto un intervento di Catherine Ashton, Alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza, «dopo la decisione inammissibile da parte dei giudici indiani». La quale Ashton, però, si è velocemente smarcata: il caso dei due marò arrestati in India - ha spiegato la portavoce - è di «competenza delle autorità italiane, che non hanno finora richiesto la nostra assistenza». Espresso il «rammarico» per la morte dei due pescatori indiani, l’ufficio di lady Ashton fa sapere che la rappresentanza Ue in India ha incontrato il sottosegretario Staffan nei giorni scorsi, ma «le questioni consolari sono di competenza dei singoli Paesi».

ESTRATTI DALLE RASSEGNE DI FRAMMENTI
20 FEBBRAIO
##Due marò italiani arrestati in India
• I militari italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati arrestati dalle autorità indiane a Kochi, in seguito alla morte di due pescatori del St. Antony che, secondo la versione diffusa in India, sono stati raggiunti da colpi di arma da fuoco. A sparare sarebbe stati i sei marò del Reggimento San Marco, in servizio antipirateria sulla petroliera Enrica Lexie. Le fonti italiane hanno precisato che i due al momento non sono agli arresti, ma «in custodia». Ora è diventato un affare di Stato perché l’incidente sarebbe avvenuto in acque internazionali: a 33 miglia della costa secondo la versione italiana, a 22 secondo quella indiana. La Farnesina in una nota afferma poi: «Il governo italiano ritiene sia competente la magistratura italiana, essendo i fatti avvenuti in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana» e ricorda che a regolare la presenza di militari sui mercantili è una «legge italiana che risponde anche alle esigenze delle risoluzioni dell’Onu» sulla pirateria. «I militari sono organi dello Stato italiano» e «godono dell’immunità dalla giurisdizione rispetto agli Stati stranieri» è stato il perno del comunicato che ha attribuito «atti unilaterali» alla polizia. Finora non si è trovato un accordo. Del caso se ne occupano il ministro degli Esteri Giulio Terzi, della Difesa Giampaolo Di Paola e della Giustizia Paola Severino. [Caprara, Cds]

• Partendo dal rapporto trasmesso da Massimiliano Latorre ai carabinieri del Ros e alla Procura di Roma, la Sarzanini sul Cds scrive che in questa vicenda ci sono tre misteri: l’orario dell’azione, il luogo esatto e l’imbarcazione che ha attaccato la petroliera italiana. Scrive la giornalista: «Secondo il report trasmesso a Roma l’allarme scatta alle 11.30 del 15 febbraio mentre la Enrica Lexie si trova a “33 miglia dalla costa sudovest dell’India”. La posizione della nave è confermata dai dati forniti dal satellite, attivato da chi era a bordo ma viene contestato dalle autorità locali. Anche gli orari non coincidono, visto che la polizia indiana colloca gli spari almeno due ore dopo. E questo ha fatto nascere l’ipotesi che i due pescatori siano stati uccisi in un diverso conflitto, anche tenendo conto che quella stessa sera risulta avvenuto un altro attacco di pirateria in un tratto di mare poco distante. Alla relazione Latorre allega tre fotografie che dovrebbero servire a dimostrare proprio questa divergenza: il peschereccio sarebbe infatti diverso dal St. Antony dei marittimi uccisi. Le immagini risultano però sfuocate, poco chiare e dunque non possono bastare a chiarire il dubbio. Per cercare di accertare la verità si torna dunque ai momenti dell’avvicinamento. Secondo quanto riferisce il rapporto è il radar a segnalare la barca che viaggia in rotta di collisione e i militari presenti a bordo si dispongono per reagire. Vengono messe in atto le procedure previste in questi casi. Quando il natante è a 500 metri di distanza vengono sparati i primi warning shots, ripetuti quando si trova a 300 metri e infine a cento. Latorre specifica che gli ultimi vengono rivolti verso lo specchio d’acqua “senza colpire l’imbarcazione”. Completamente diversa la ricostruzione fatta dalle autorità indiane secondo le quali “sul peschereccio ci sono i segni di 16 proiettili, mentre quattro sono andati a segno e hanno ucciso i due marittimi”. Una tesi ritenuta incredibile dalle autorità diplomatiche e investigative italiane perché significherebbe che tutti i colpi a disposizione sono stati sparati ad altezza d’uomo».

##Massimiliano e Salvatore, chi sono i due arrestati
• Il capo di prima classe Massimiliano Latorre ha 45 anni, è di Taranto, ha quattro figli, di cui tre dall’attuale compagna Rosalba. Si è candidato alle comunali nel 2007 e alle regionali nel 2010 nelle liste dell’ex sindaco Giancarlo Cito, senza essere eletto. Il sergente Salvatore Girone invece ha 35 anni ed è di Torre a Mare di Bari. Sposato, ha due figli di 5 e 6 anni. [Caccia, Cds]

##I nuclei anti-pirati con base a Gibuti
• I sei fucilieri del Reggimento San Marco a bordo della Enrica Lexie fanno parte dei Nuclei militari di protezione creati nell’ottobre scorso con un accordo fra il ministero della Difesa e Confitarma, la confederazione italiana degli amatori navali. Finora i marines italiani destinati a fronteggiare gli assalti dei pirati sono 60, divisi in dieci team. La base dei nuclei antipirati è stata fissata a Gibuti, dove 16 ufficiali ricevono le richieste di imbarcare i militari e fanno trovare le squadre pronte nei porti indicati dagli armatori. A bordo i militari si muovono in modo autonomo, non esiste fra loro e il comandante della nave nessun rapporto di subordinazione. I proprietari delle navi sono tenuti a pagare 500 euro al giorno per ciascun militare, soldi che la Marina impiega per addestrare nuovi gruppi. È obbligatorio per gli armatori creare sulle navi spazi protetti per la custodia di armi e munizioni e fortificare un ambiente chiamato «cittadella», dove l’equipaggio può ritirarsi al sicuro in caso di abbordaggi. Le regole d’ingaggio dei militari non prevedono l’affondamento dei cosiddetti skiff, le imbarcazioni usate dai pirati. [Nese, Cds]

• Ogni anno transitano lungo le rotte a rischio quasi duemila navi mercantili italiane, circa 900 nelle acque del Corno d’Africa e più di mille attraversano l’Oceano Indiano. [Nese, Cds]

• L’India è una repubblica federale, divisa in 28 Stati e sette unità territoriali. Kochi, dove sono detenuti i due marò italiani, si trova nello Stato del Kerala, che ha abitudini diplomatica indipendenti da quelle di Nuova Delhi. [Caprara, Cds]

• L’Italia è il quarto partner commerciale europeo dell’India. [Caprara, Cds]

23 FEBBRAIO
##Il governo italiano tratta per i marò arrestati in India
• La Enrica Lexie rimane ancorata a cinque miglia dalla costa di Kochi, mentre tutti i giornali, i politici e la gente in India definiscono la storia “the italian killing”. Ieri è arrivato a Dehli e poi a Kochi il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, ex inviato Onu. Ha incontrato il vice-ministro degli Esteri indiano Preneet Kaur e poi ha dichiarato: «Io non sono pessimista, ma siamo solo all’inizio. Il primo incontro è stato positivo, ma continuiamo e siamo ancora in salita». Spiega Nigro (Rep) che a rendere più complicata la vicenda ci sono questioni politiche: «C’è uno stato, il Kerala, che fra pochi giorni va al voto. Per 40 anni bastione del partito comunista indiano, da poco era passato al Congress di Sonia Gandhi. Ma Sonia Gandhi è ancora, dopo 40 anni, “l’italiana”, e allora giù accuse e sospetti, l’italiana che vuole aiutare i mafiosi italiani. Per questo ieri fino a mezzanotte, De Mistura dopo aver visitato la “chiesa” del governo centrale di Delhi è andato a casa del chief minister Oommen Chandy, governatore del Kerala. È un uomo del Congress, ma aveva detto anche lui che “l’uccisione dei due pescatori è stato un assassinio a sangue freddo”».

24 FEBBRAIO
##Prova balistica per i fucili dei marò. Altri 7 giorni di custodia
• Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò a bordo della Enrica Lexie arrestati dalla polizia indiana, rimarranno altri sette giorni in custodia cautelare, in attesa dell’esame balistico incrociato tra i proiettili ritrovati nei corpi dei due pescatori uccisi e i fucili che si trovano sulla petroliera italiana. Il giudice ha accettato che la prova balistica sia fatta alla presenza di esperti italiani. Al momento, sostiene l’assistente commissario di polizia Shajadan Firoz, l’accusa ha in mano i proiettili recuperati nei corpi dei pescatori, il quarantacinquenne Valentine Jalestine e il più giovane Ajeesh Binki: «Uno di loro è stato ucciso da un colpo alla tempia destra; l’altro sul lato sinistro del petto. Con due tiri di precisione. Le pallottole sono calibro 0,54 pollici, compatibili con diverse armi». Materia molto tecnica e complicata. Si può però aggiungere che i fucili in dotazione ai marò normalmente utilizzano calibri più piccoli: 5,56 millimetri, secondo lo standard fissato dal comando generale della Nato a Bruxelles. Ma occorre aspettare la perizia scientifica. [Sarcina, Cds]

• Salvatore Girone e Massimiliano Latorre si trovano sotto custodia in una villetta dietro all’aeroporto di Kochi, controllata dalla polizia. Dormono insieme in due letti accostati, in una stanza lunga 20 passi e larga 10. Ambiente spoglio, con un canapè in bambù, qualche mobiletto di ferro, un tavolo con il ripiano di vetro e quattro pale montate sul soffitto (una è rotta). Dall’Italia hanno ricevuto sigarette, qualche giornale e taralli pugliesi ai semi di finocchio. Niente radio e niente tv. [Sarcina, Cds]

27 FEBBRAIO
##La linea dura dell’India: «I marò processati da noi»
• Il ministro della Difesa indiano A. K. Antony ha fatto sapere che i due marò italiani in stato di fermo a Kochi «devono essere processati in base a leggi indiane» e che l’inchiesta «sta andando nella giusta direzione». Intanto, il ministro degli Esteri Giulio Terzi arriverà domani a New Delhi. [Rep]

28 FEBBRAIO
##I fori sulla barca possono scagionare i marò
• Sarcina del Cds è riuscito a ottenere una copia della deposizione alla Capitaneria di porto indiana del proprietario della St. Antony, tale Fredy, su cui sono morti i due pescatori. Poi è andato a vedere l’imbarcazione, ha scattato delle foto e ha confrontato la versione del testimone con quello che si vede sulla barca. Ne hA dedotto che non è possibile che le raffiche di mitragliatrice sparate da 40 metri di altezza, cioè dalla Enrica Lexie, abbiano causato i buchi presenti sulla St. Antony. Inoltre i fori sembrano troppo grandi rispetto ai proiettili 5,6 millimetri utilizzati dai marò italiani.

29 FEBBRAIO
##Terzi in India per i due marò, nessun passo avanti
• La visita del ministro degli Esteri Giulio Terzi in India per risolvere la questione dei due marò in stato di fermo è stata un fallimento. L’incontro con il ministro indiano Krishna non ha portato a passi avanti. Ha dichiarato poi Terzi: «Ho spiegato molto francamente la posizione del governo italiano, che è basata sul diritto internazionale. C’è una differenza di opinioni sulla giurisdizione del caso, che non è stata risolta». Nel pomeriggio Terzi è andato a trovare i due marò a Kochi. Dopo l’incontro ha commentato: «I marò sono organi dello Stato che operano all’estero e come tali vanno trattati. Sono stato profondamente colpito dai due militari, mi hanno detto “siamo italiani e ci comportiamo da italiani”». Al momento gli indiani hanno in mano la nave e gli uomini, citano gli articoli della loro legge che prescrivono che per una vittima indiana di un crimine avvenuto ovunque su una nave indiana si possa chiedere giustizia a un tribunale dell’Unione. La corte suprema di Kerala ha rinviato la decisione sulla giurisdizione di due giorni. [Nigro, Rep]

1 MARZO
##Il capitano del peschereccio indiano: «Ho visto gli italiani sparare»
• Nel caso dei due marò in stato di fermo in India, la versione di Fredy John Bosco, il capitano del peschereccio su cui sono morti due indiani, è molto chiara: «Nel pomeriggio di mercoledì 15 febbraio ero sotto coperta a riposarmi. L’equipaggio è composto in genere da 11 uomini, tra cui alcuni parecchio anziani. Io generalmente sto al timone ma quel pomeriggio invece c’era Valentine, che era bravo quanto me. Ero nel dormiveglia quando ho sentito strani rumori, come se qualcuno avesse colpito il ponte con un martello. Sono salito in fretta e, nella cabina centrale, c’era Valentine, a terra. Perdeva sangue dalla bocca, dalle orecchie, dal naso. In agonia. Ho alzato lo sguardo e ho visto esanime il corpo di Binki. A centocinquanta metri c’era la nave italiana, di dimensioni molto grandi. Ho visto distintamente uomini che, armati, dalla nave, continuavano ancora a sparare contro di noi. Quante volte? Sicuramente ho visto una ventina di lampi, tutti ravvicinati. Non saprei dire esattamente quanto è durata l’azione». Secondo il capitano del St. Anthony, la Enrica Lexie, subito dopo la sparatoria, si è allontanata velocemente, senza soccorrere le persone colpite. [Numa, Sta]

• I media indiani hanno diffuso un documento che, se vero, dimostrerebbe che la Enrica Lexie, al momento della sparatoria, non navigava ancora in acque internazionali. Lo spiega padre Richard Regison, segretario del vescovado di Kollam, che conosce bene e assiste ogni giorno i familiari delle vittime: «Sul giornale Matrhubhumi è stato pubblicato il log della nave, tracciato al momento degli spari. Le miglia sarebbero 20,5, dunque nelle acque indiane». [Numa, Sta]

##India, esperti italiani esclusi dall’esame balistico
• Il giudice indiano di Kollam ha disposto che, nel corso dell’esame balistico sui fucili dei marò, non siano presenti i due esperti dei carabinieri. Potranno assistere alle successive prove di sparo. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha espresso il suo disappunto: «Così non abbiamo garanzie. Queste continue novità sul piano procedurale e legale non sono assolutamente un segnale positivo». [Numa, Sta]


2 MARZO
##India, altri quattro giorni di custodia per i marò
• Il tribunale di Kerala ha deciso che i due marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre rimarranno altri quattro giorni in custodia cautelare in una struttura della polizia. Non più la guest house di Kochi ma il police club di Kollam, più vicino al tribunale. [Nigro, Rep]

• India Today, che ha messo in copertina i due marò italiani con il titolo “I banditi italiani del mare”. [Nigro, Rep]