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 2012  marzo 05 Lunedì calendario

UE. LE BANCHE OMBRA DI PARIGI E BERLINO

Il ruolo della Cassa depositi e prestiti è centrale nei piani di sviluppo che sono sul tavolo di questo e dei prossimi governi. Ma quale indirizzo prendere: braccio operativo o sleeping partner? In Francia e in Germania hanno scelto differentemente.
N ei primi anni ’90, la Mediobanca di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi faceva le pulci all’Iri e lo giudicava fallito, ancorché il valore degli attivi fosse assai più consistente delle passività. Dopo la riforma tremontiana del 2003, la Cassa depositi e prestiti (Cdp) è stata bollata come il nuovo Iri da tanti economisti che non facevano i conti del vecchio Istituto per la ricostruzione industriale.
Nel 2012, per un paradosso della storia, gli epigoni di Cuccia e Maranghi lasciano che la loro filiale londinese, Mediobanca Securities, esalti la Cdp quale miglior banca italiana e quale arma non convenzionale per tagliare di 12 punti percentuali l’incidenza del debito pubblico sul Pil. Di come questo obiettivo possa essere raggiunto abbiamo riferito sul Corriere del 28 febbraio: monetizzando partecipazioni dello Stato e oro della Banca d’Italia (senza perderne il controllo) per 100 miliardi e privatizzando immobili pubblici per altri 100 miliardi. Come? Vendendoli a un superfondo le cui quote andrebbero alle famiglie e ad altri sottoscrittori finanziati dalla stessa Cdp a tasso agevolato, grazie a nuove forme di raccolta del risparmio da parte della stessa Cdp. Oggi può essere interessante riferire di quella parte del rapporto di Mediobanca Securities che paragona la Cdp alle consorelle francese e tedesca: tre braccia secolari degli Stati, i cui debiti non vengono ricompresi nel debito pubblico ai fini del Trattato di Maastricht.
Viene da lontano
La Cdp iniziò a operare come istituzione del Regno di Sardegna a Torino. Oggi ha attività per 249 miliardi coperte per 14 da mezzi propri, per 207 da risparmio postale garantito dallo Stato e per il resto da obbligazioni senza garanzia pubblica. Dell’attivo solo 19 miliardi sono costituiti da partecipazioni (Eni, Terna e altre minori). Il resto è suddiviso tra prestiti al Tesoro (127 miliardi) e agli enti locali (92 miliardi). La Cdp, oggi presieduta da Franco Bassanini e amministrata da Giovanni Gorno Tempini, realizza un ritorno sul capitale del 20% pur avendo un costo di raccolta superiore a quello tedesco e francese.
Il lato francese
La Caisse des depots et consignations (Cdc), fondata nel 1816, ha mezzi propri per 30 miliardi, frutto degli utili non distribuiti. È posseduta dal Tesoro francese. Sottoposta alla sorveglianza del Parlamento, è presieduta e amministrata da persone nominate dal presidente della Repubblica. La Cdc non osserva ratios patrimoniali particolari ma dal gennaio 2010 è vigilata dalla Banca di Francia. In caso di fallimento o liquidazione, solo le attività non consolidate (obbligazioni, edilizia sociale, prestiti interbancari) verrebbero trasferite allo Stato essendo queste finanziate (per 212 miliardi) dai Livret A, distribuiti dalle banche ma con la garanzia dello Stato. Le attività consolidate (titoli, partecipazioni e prestiti) sono finanziate attraverso bond, prestiti bancari, depositi delle categorie professionali e riserve tecniche di assicurazioni (altri 212 miliardi). Su queste ultime passività la garanzia statale non è ufficiale, ma implicita. Nel 2010, il margine d’interesse sulle attività non consolidate è stato pari allo 0,76%, mentre quello sulle attività consolidate è arrivato al 2,97%. Ma poiché i costi sono assai più bassi nelle attività a margine inferiore, alla fine l’utile della Cdc è dato per 59% dalle attività consolidate e per il 41% dalle altre. È interessante osservare come la Cdc detenga, fra le sue molte partecipazioni, il 40% di Cnp Assurance, prima compagnia vita di Francia, e gestisca senza rischio a suo carico le pensioni integrative di 80 mila persone. Nel suo rapporto, Mediobanca ricorda come la Cdc abbia contribuito per 40 miliardi al sostegno all’economia francese nel 2008 e usi le riserve tecniche delle «sue» assicurazioni per comprare titoli di stato. La Cdc ha un ritorno del 12% sul capitale e dello 0,60% sul totale delle sue attività che sfiora i 500 miliardi.
La versione tedesca
Più recente, ma non meno importante è la storia della Kredit fuer Wiederaufbau (Kfw). Fondata nel 1948, la Kfw ha finanziato la ricostruzione postbellica e ora detiene attività per 440 miliardi, un po’ meno della consorella francese. La Kfw è controllata all’80% dal Tesoro federale tedesco e al 20% ai Lander. È dunque interamente pubblica. Ha mezzi propri per 16 miliardi, non paga tasse né distribuisce dividendi. Le sue attività sono finanziate soprattutto con obbligazioni vendute a investitori istituzionali. L’intero debito della Kfw è garantito dallo Stato e dunque ha un costo bassissimo, analogo a quello dei Bund. Fa eccezione il finanziamento di Kfw Ipex-Bank, che fa credito all’esportazione in concorrenza con le banche private e dunque non può godere di aiuti di Stato.
Sottoposta al solo controllo del ministero delle Finanze, la Kfw ha un consiglio di 37 membri (ministri, parlamentari, banchieri e sindaci delle maggiori città). La presidenza ruota tra il ministero delle Finanze e quello dell’Economia. Questa quasi banca è lo strumento di politica industriale del governo e sostiene le Landesbanken, alle quali presta ben 263 miliardi a tasso inferiore a quello che pagherebbero normalmente sul mercato interbancario. Di qui il bassissimo margine di interesse di Kfw, pari allo 0,68% contro lo 0,76% della francese Cdc e l’1,7% dell’italiana Cdp. La Kfw il quantitative easing, che Bundesbank vorrebbe non fosse interdetto alla Bce, lo sta facendo da anni su scala nazionale, grazie al vantaggio tedesco sui tassi. È solo in virtù della leva assai più spinta di quella francese e italiana che la Kfw porta il ritorno sul capitale ca un ragguardevole 17%.
Se si confrontano le attività totali di queste «casse» in relazione al Pil, si ricava che la Cdp potrebbe crescere di almeno 100 miliardi. Se si considera il patrimonio pubblico italiano, anche di più. A questo scopo, l’esperienza di Kfw suggerisce di sfruttare molto di più il mercato all’ingrosso, emettendo bond per gli investitori istituzionali. Dal lato degli impieghi, avendo maggiori risorse si potrebbero aumentare i fondi per rifinanziare il credito bancario alle piccole imprese (KfW fa 14 volte di più, anche dopo l’accordo di venerdì con l’Abi) e per sostenere le medio-grandi migliori anche attraverso l’acquisizione di partecipazioni (finora 5 miliardi elevabili a 8). Ma per costruire la Grande Cdp serve una volontà politica che, pur forte in membri del governo come Corrado Passera e Vittorio Grilli, deve avere anche e soprattutto l’imprimatur del premier, Mario Monti.
Massimo Mucchetti