P.D.S., Corriere della Sera 05/03/2012, 5 marzo 2012
«UN PRIVILEGIO CRESCERE CON LUI». POI L’ULTIMO DONO, UN PROFUMO ACCANTO ALLA BARA — È
rimasto, durante la messa in San Petronio, con la testa di capelli neri lasciata penzolare all’indietro, mentre Irene, una sua assistente, intrecciava forte le dita alle sue e ogni tanto lo accarezzava. Le lacrime si potevano solo intuire, da dietro gli occhiali scuri, ma quando Marco Alemanno li ha tolti, per salire sull’altare a leggere «Le rondini»: «Vorrei entrare dentro i fili di una radio...», si sono viste luccicare anche nella penombra. Immobile, è riuscito a mantenere la bella voce ferma, fin quasi alla fine: «Sogni, tu sogni nel mare dei sogni», persino quando ha cominciato a raccontare come sono andate le cose con il suo amico cantante. «Avevo solo dieci anni, ogni mattina anch’io sognavo... proprio come cantava quel signore nel disco che aveva comprato papà».
Chi poteva dirlo che dopo qualche anno Marco e «quel signore» si sarebbero incontrati? È lì che comincia il grande sogno dell’ex ragazzino di Nardò (diplomatosi intanto alla scuola di recitazione del Teatro del Navile) con Lucio Dalla, di cui sarà per tutti il collaboratore, coautore, produttore. La voce di Marco comincia a tremare, infine si rompe in singhiozzo quando conclude: «Oggi posso spiegargli che cosa mi ha dato e continua a darmi. Oggi insieme a voi posso dirgli grazie».
Non si è visto quasi, Marco, in questi giorni. Dicono che sia rimasto rintanato in silenzio nell’appartamento di Dalla, l’amico migliore, l’amico del cuore, pochi hanno osato dire il compagno. Ma adesso che Lucia Annunziata ha fatto outing alla memoria per il suo omonimo, si può dire: compagno. Il cantante più anticonformista aveva voluto imporsi: e nessuno aveva certo il diritto di costringerlo a fare diversamente. Mai parlato di omosessualità. Così, Marco era diventato «il suo più stretto collaboratore». Non importa se vivevano insieme da una decina d’anni e se erano inseparabili. Riservatezza da rispettare, si diceva. Ben schermata dal gruppo dei collaboratori. Che ieri arrivavano a dire alla stampa che Irene altri non era che la sua fidanzata.
La funzione funebre di Marco, con quell’ombra di baffi e di barba nel viso da Che Guevara sofferente, è passata come in una bolla, guardando in alto, forse verso l’abside, forse nel vuoto, mentre Stefano lo teneva per una mano e Irene per l’altra, e quasi a rassicurarsi che ogni tanto gli sussurravano qualcosa all’orecchio aspettando il suo sì sì con la testa. Ci vuole del tempo per risvegliarsi da un sogno, evidentemente. Il ragazzo pugliese aveva cullato il suo sogno delicatissimo con Lucio e improvvisamente, una mattina, quella cristalleria fantastica è andata in frantumi. Da Nardò sono arrivati, vestiti di nero, anche i genitori e il fratello più piccolo, Matteo. Ma non si vedono nei primi banchi. Se Marco avesse conosciuto la madre di Lucio, avrebbe capito quante generazioni sono passate dalla sua: pare che mamma Iole non pensasse ad altro che a sposare suo figlio, era preoccupata che non trovasse la fidanzata. «Era una balena bianca», ha detto Paola Pallottino, che l’ha conosciuta. Una metafora per dire quanto fosse ingombrante per il figlio, mentre tutti gli amici sapevano che Lucio non si sarebbe mai sposato.
Lucio non è stato sepolto al suo fianco. Nel cimitero della Certosa, campo 71, I piano Sud, a destra dell’autore di «Caruso» conosciuto nel mondo ci sono i coniugi Petronio e Augusta Limoni, e sopra di lui il nome di un certo Cesare Osti. È il modo che aveva Dalla di mescolarsi con la gente comune anche da vivo. Quando Marco scende dalla Porsche Cayenne guidata da un manager di Dalla, per stare in piedi deve essere sostenuto da due omoni forti. Uno di questi è Stefano, che appare più inconsolabile di lui.
Bisogna fare un lungo giro per corridoi e arcate di cemento armato per raggiungere da un ascensore il campo 71. La cazzuola sulla calce fresca stride dopo le parole del sacerdote. Marco adesso viene afferrato alle spalle da Stefano, che gli chiude forte le braccia attorno alla vita. Per un tempo infinito si tengono stretti l’uno all’altro, testa contro la testa. Ci sono alcuni cugini, e tra gli altri Irene, Ron e Gaetano Curreri. La bara viene infilata nel loculo vuoto e un attimo prima che il marmo lo chiuda, Marco tira fuori da una tasca una boccettina blu opaco di profumo e la deposita davanti alla bara. È l’ultimo regalo al suo compagno che se ne va. Passano tutti da lui, prima di andarsene, per lasciargli una parolina che lo consoli. Marco non regge, singhiozza. Curreri gli prende la faccia tra le mani: «Bisogna andare avanti, stai tranquillo». Ron lo abbraccia: «Ti chiamo». Marco prende per mano il fratellino in giacca a vento, al suo fianco sua madre e suo padre, percorrono insieme i lunghi corridoi ormai deserti, fino all’uscita. C’è la Cayenne che lo aspetta per portarlo fuori dal sogno.
P.D.S.