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 2012  marzo 05 Lunedì calendario

GLI AMISH RAGGIRATI PERDONANO IL LORO MADOFF — A

differenza dell’autore della più grande truffa di tutti i tempi, che si concedeva grandi lussi, il «Madoff degli Amish» ha sempre vissuto coi suoi cinque figli in una modesta casa di campagna, con annessa fattoria. E anche ora che il processo è alle porte — inizierà il 19 marzo nel tribunale di Youngstown, non lontano da qui — lo si vede ogni tanto che gira tranquillo per il paese sul suo calesse nero.
77 anni, una barba candida e lunghissima, Monroe Beachy, paragonato dalla stampa locale al perfido Bernard che sta scontando in carcere una condanna a 150 anni di detenzione, è, in realtà, un Madoff in miniatura. 2.700 risparmiatori gli hanno affidato, a partire dal 1985, 33 milioni di dollari. Sono soprattutto amish come lui e mennoniti: un culto simile ma meno rigido di quello dei «dutch», i discendenti dei coloni che lasciarono nel 1720 l’Europa diretti in Pennsylvania e poi qui, in Ohio, per costruire in piena libertà comunità autonome, basate sui loro principi religiosi.
A queste famiglie — dell’Ohio ma anche di altri 26 Stati, dall’Alaska all’Indiana — che gli avevano affidato i loro risparmi, Monroe aveva promesso di investire in titoli del Tesoro a rischio zero. Invece, mal consigliato da un «broker» di Wall Street ora condannato per aver truffato anche un gruppo di suore che vivono nel Bronx, ha comprato titoli speculativi e «junk bond», finendo per perdere metà del capitale ricevuto. Le similitudini col caso del finanziere ebreo di New York sono molte: come Madoff, Beachy ha creato una società finanziaria nella quale lavoravano i suoi familiari, come lui ha continuato a promettere e a pagare interessi molto superiori a quelli di mercato utilizzando i soldi versati dai nuovi investitori, attratti da questi elevati rendimenti: una classica truffa da «schema Ponzi». E, come Bernard, ha finito per defraudare anche amici, parenti e le organizzazioni filantropiche e religiose della comunità nella quale vive.
Ma le similitudini si fermano qui. Perché, a differenza della «truffa del secolo», nel caso dello scandalo scoppiato tra i campi e i villaggi di quest’angolo bucolico dell’Ohio, la comunità, anziché rivoltarsi contro la famiglia del truffatore, le si è stretta intorno. Se in casa Madoff il figlio Mark ha finito per suicidarsi, mentre la moglie di Bernard, Ruth, è costretta a vivere quasi in clandestinità (e ha confessato di essere stata tentata anche lei dal suicidio), Alma, la consorte di Monroe, e i suoi figli, sono circondati dall’affetto e dalla comprensione della comunità di Sugarcreek.
«La gente ha accettato quello che è accaduto» spiega il sindaco Clayton Weller. «Hanno capito e molti hanno perdonato. Speriamo che il processo non faccia emergere nuove tensioni».
Parole caute dietro le quali c’è la delusione per il fallimento del tentativo delle vittime di sottrarre l’imputato che le ha defraudate a un processo dal quale potrebbe uscire con una condanna a vent’anni di carcere. Al di là delle dimensioni assai più limitate della truffa, è questa la vera differenza rispetto al caso Madoff: gli amish hanno già processato a modo loro, in una serie di audizioni tenute nel salone di un albergo, il loro concittadino, il saggio al di sopra di ogni sospetto che per decenni era stato il tesoriere della comunità.
«Lui ha chiesto perdono agli uomini e dice di sentire di aver avuto quello di Dio. Ha sbagliato, ma non si è messo in tasca nulla, non si è arricchito. L’abbiamo perdonato» racconta una donna del villaggio che non vuole dare il suo nome perché qui tutti cercano di far dimenticare questa brutta vicenda.
E in effetti comprensione e perdono secondo molti nascono, oltre che dai buoni sentimenti della comunità, anche all’interesse degli amish a non rovinare il flusso turistico con la cattiva pubblicità dei «media» sulle truffe in stile Madoff.
Ma, in realtà, alla radice c’è una questione religiosa che è anche politica. Molte delle vittime che hanno perdonato l’hanno fatto per nobiltà d’animo, ma anche perché per loro quella delle responsabilità di Beachy è «una questione di principio che attiene alla sfera della libertà religiosa: per questo hanno cercato in tutti i modi di dissuadere i giudici dall’intervenire nel caso» spiega Abe Zaidan, l’ex corrispondente del Washington Post dall’Ohio che, andato in pensione, è diventato un attivissimo «blogger». «Sono curioso — aggiunge — di vedere, alla vigilia delle primarie dell’Ohio, se Rick Santorum, che rivendica una gestione dello Stato ispirata a valori religiosi, troverà tempo per passare dalla terra degli amish».
Alla fine, per la gente di qui, Monroe Beachy merita di essere biasimato più che per averli defraudati, perché è stato lui stesso ad aprire le porte all’ingerenza dello Stato negli affari della comunità. Dieci mesi fa, quando la Sec, la Consob americana, cominciò a indagare, il tesoriere degli amish, sentitosi scoperto, anziché cercare la comprensione della sua gente, andò in tribunale a dichiarare bancarotta.
Così il suo è diventato un reato federale e a nulla sono valsi i tentativi della comunità di salvarlo. 2.550 dei 2.698 truffati hanno chiesto la cancellazione del procedimento penale a carico di Monroe, ma il tribunale ha respinto l’istanza in considerazione della natura del crimine e per tutelare gli interessi delle minoranze.
In paese solo pochi mennoniti si lasciano scappare qualche battuta (gli amish limitano al minimo i contatti con gli estranei anche quando non ci sono di mezzo vicende spinose). La gente scuote la testa: il carcere per uno di loro che ha mentito e ha fatto disastri ma non ha rubato, è troppo. Considerato che 18 dei 33 milioni sono stati recuperati, ogni risparmiatore ha perso mediamente poco più di seimila dollari. «Le sembrerà una cifra limitata» mi dice un negoziante mennonita, «ma qui è tanto perché la nostra gente, che rifiuta la previdenza sociale e la sanità pubblica, con questi soldi si paga la pensione e le cure mediche».
Forse è questo il vero peccato di Monroe agli occhi degli amish: averli spinti verso l’assistenzialismo di Stato.
Massimo Gaggi