Mario Gerevini-Simona Ravizza, Corriere della Sera 05/03/2012, 5 marzo 2012
FORMIGONI SCRISSE A DON VERZE’: ECCO I MIEI ATTI SU MISURA PER TE —
«Io ho protetto Geronzi». Quattro parole sussurrate da Nicolò Pollari a don Luigi Verzé. La data: 13 gennaio 2006. Il luogo: l’ufficio privato del prete-manager. Pollari in quel momento è il capo del Sismi (si dimetterà a fine 2006), il Servizio segreto militare. Cesare Geronzi è il presidente di Capitalia e uno dei banchieri più influenti nel mondo finanziario. Le quattro parole non sono un’indiscrezione fatta trapelare da qualcuno. La fonte è diretta, non si può equivocare: è la voce di Pollari captata dalle microspie piazzate dalla Procura nello studio del sacerdote, fondatore e presidente del San Raffaele.
«Caro Roberto…», «Carissimo don Luigi…». Due lettere riservate tra il governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, e don Verzé. Il sacerdote chiede soldi, il governatore elenca, in modo dettagliato e inconfutabile, tutti i favori fatti al San Raffaele.
I file audio delle microspie
Le «protezioni» di Pollari (non soltanto Geronzi era sotto tutela) e le lettere sono due notizie che emergono da carte e archivi che il Corriere ha consultato e «ascoltato» e che sono alla base del libro-inchiesta «I segreti di don Verzé», da domani in edicola con il Corriere della Sera. In primis l’archivio sterminato, e in gran parte vergine, di sette mesi di intercettazioni ambientali e telefoniche a partire dal dicembre 2005. Sono migliaia di file audio.
Le cimici sono state piazzate nell’ambito di un’inchiesta sulla maga Ester Barbaglia per presunto riciclaggio (accusa poi rivelatasi infondata) del denaro del clan calabrese dei Morabito. La Barbaglia alla fine del 2004 aveva creato, nello studio di Enrico Chiodi Daelli, notaio storico del San Raffaele, una Fondazione con un patrimonio di 28 milioni destinato alla Fondazione Monte Tabor di don Verzé, ovvero l’ente al vertice del gruppo ospedaliero. È il nesso, probabilmente, che ha fatto scattare le intercettazioni. Le indagini, però, hanno subito escluso qualsiasi ipotesi a carico del fondatore del polo sanitario milanese. Tant’è che il fascicolo è rimasto sepolto e intatto per anni.
Tra novembre e dicembre si era dato conto dei brogliacci, ovvero i riassunti scritti di alcune conversazioni ritenute rilevanti per le indagini.
Il Sismi e gli intrighi
L’audio «diretto», però, è un’altra cosa, riconsegna la totalità delle conversazioni. Si spalanca così una finestra sul sistema di relazioni e di potere che aveva al centro il San Raffaele. E l’orizzonte si allarga ben oltre i fatti interni dell’ospedale. È una stagione particolare, oltretutto, perché il governo Berlusconi è agli sgoccioli e ad aprile 2006 dovrà cedere il passo, per una manciata di voti, a Romano Prodi. E poi è caldissimo il fronte delle scalate bancarie, epoca «furbetti», con le inchieste, gli arresti di Gianpiero Fiorani & C., e il governatore Antonio Fazio costretto a licenziarsi dalla Banca d’Italia.
Pollari confida al prete seduto davanti a lui le informazioni di cui è in possesso. Delinea un quadro di intrighi, lotte di potere, amici, nemici, compresi quelli, secondo lui, che attaccavano Geronzi. Già ma perché un banchiere privato godeva della protezione di Pollari e quindi del Sismi, organismo deputato a tutelare la sicurezza nazionale? E da chi doveva essere protetto? Sentiamolo direttamente dal numero uno del Sismi: «All’inizio era una truppa … un’artiglieria a distruggere, a distruggere — dice Pollari captato dalla microspia ambientale — chiunque venisse indicato come amico di Geronzi era messo all’indice … questa squadra che ti ho delineato … fa capo a Bernheim (Antoine, ex presidente Generali, ndr), Valori (Giancarlo Elia, dirigente d’azienda dalle fittissime relazioni, ndr) e Giulio Tremonti». Ma non solo. Sempre secondo Pollari, nell’asse contro Geronzi e Fazio c’era anche il pm (oggi ex) della Procura di Roma Achille Toro che aveva perquisito e indagato il banchiere di Capitalia nell’ambito dell’inchiesta Cirio. «Questo — confida a don Verzé — lo dico solo a te: Toro faceva squadra con Tremonti e con Elia Valori».
Arriva Geronzi
Qualche giorno dopo è lo stesso Geronzi ad accomodarsi nell’ufficio dell’uomo che ha fatto grande (e indebitato) il San Raffaele. Sono amici, si danno del «tu», entrambi diffidano dei comunisti. La conversazione è sciolta, su Giovanni Bazoli, Matteo Arpe, ecc... Silvio Berlusconi è sempre un comun denominatore. Dice il banchiere di Capitalia a proposito delle aziende del Cavaliere: «Non si muove foglia (che Berlusconi non voglia, ndr). Lui cerca di dare tutta la libertà a Piersilvio a Marina … però ti devo dire … non gli sfugge nulla».
È un centro di gravità, il sacerdote, tutto passa da lui e lui si occupa di tutto, con una competenza, una curiosità e un entusiasmo coinvolgenti e sorprendenti per un uomo di 86 anni, tanti quanti ne aveva sei anni fa. E poco è cambiato anche successivamente. Sempre lui in mezzo al campo. Più che mai quando ci sono da muovere le pedine giuste tra gli amici al governo o in Parlamento. Un giorno con il ricercatore Claudio Bordignon (direttore scientifico del San Raffaele dal ’98 al 2006) commenta soddisfatto il risultato del pressing per avere i fondi pubblici per la ricerca: «Siamo riusciti a ottenere da Gianni Letta la promessa di 15 (milioni, ndr) per il primo anno, poi 1 e 1 (per i successivi due anni, ndr)».
«Caro don Luigi, ecco tutti i favori fatti al San Raffaele»
Ma già erano evidenti le crepe nei bilanci dell’ospedale. E quando i tecnici (cioè i funzionari) delle banche nicchiano, don Verzé e il suo vice Mario Cal, suicida nel luglio 2011, muovono i «piani alti». In molte conversazioni, per esempio, si parla di presunte intercessioni di Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, sulle pratiche di fido. I «buchi» finanziari dell’ospedale sono strutturali e i debiti inversamente proporzionali alla qualità dell’assistenza e della cultura scientifica del San Raffaele. Però la ricerca di aiuti esterni è spasmodica. Anche nelle piccole cose. Un giorno si presenta da don Verzé il dipendente che gestisce le campagne di Illasi, il paesino nel veronese dove don Verzé è nato. «Don Luigi — gli dice — paghiamo 15 mila euro al mese di stipendi agli operai ma vendiamo vino per 150 mila euro, non sta in piedi...». E don Verzé? «Devo parlare con il ministero». Lo scambio di corrispondenza con Formigoni è sulla stessa linea. «Caro Roberto, come ti affermai anche quest’anno chiudiamo con un passivo di 35 miliardi (di lire, ndr)... non costringermi a provvedimenti traumatici le cui conseguenze lascio alla tua immaginazione ...».
La data è fondamentale: era il 2001, dieci anni prima dell’esplosione ufficiale della crisi. Vuol dire (lo dice don Verzé) che già allora il San Raffaele non stava in piedi. Vuol dire che da allora nessuno ha suonato l’allarme. C’era bisogno di batter cassa, quasi a chiedere soldi a un’azionista. I toni sono molto sbrigativi. Ma la Regione non potrebbe fare differenze, non dovrebbe. Quanto dell’eccellenza sanitaria del San Raffaele è stato negli anni costruito sottraendo soldi pubblici ad altri ospedali non altrettanto «ammanicati»? «Carissimo don Luigi — replica Formigoni — ritengo il tuo giudizio ... un po’ ingeneroso ...». Segue l’elenco dei favori fatti dalla Regione all’ospedale milanese: accreditamento non regolare di posti letto con il servizio sanitario, rimborsi discutibili, norme e regolamenti confezionati «sartorialmente» per fare guadagnare di più il San Raffaele, ecc..
Nel documento inviato a don Verzé si fa riferimento, tra l’altro, al lotto IV del San Raffaele dedicato alle malattie cardiache: qui «l’istituto, pur non autorizzato, ha esercitato attività sanitaria in regime di accreditamento e di solvenza (...). Abitualmente in questi casi, prima si dispone l’interruzione delle attività e poi eventualmente si attiva l’iter per il rilascio dell’autorizzazione». Altro passaggio, nuovo trattamento di favore: «Nella fase di accreditamento di Ville Turro si è consentita la trasformazione di posti letto di psichiatria in riabilitazione (...) per ottimizzare la fatturazione delle prestazioni rese... La tariffa è più remunerativa». Nella sua lettera, comunque, il governatore Formigoni mette le mani avanti: «È stato un susseguirsi di tentativi di trovare soluzioni a problemi, ovviamente nel rispetto delle leggi».
Mario Gerevini
Simona Ravizza