Giuseppe Scaraffia, Domenica-Il Sole 24 Ore 4/3/2012, 4 marzo 2012
LASCIATEVI CONSIGLIARE DA UN ARISTOGATTO
«Verrà il giorno in cui l’uomo sarà la più bella conquista del gatto!», profetizzava il primo storico dei gatti, il settecentesco Paradis de Moncrif. Ma chiunque abbia un gatto sa quanto rapidamente il felino addomestichi l’uomo. In Gatti di potere. I gatti consiglieri dei grandi della terra, Francesca Alberghini rievoca con passo colto e fiabesco una sfilza di vittorie rapide e definitive del gatto sui potenti. Solo l’imperioso gatto d’Angora, offerto a Luigi XV su un cuscino di raso a gigli d’oro, osava fissare il sovrano con uno «sguardo azzurro e altero». Per Brillant, così l’aveva battezzato Luigi il Beneamato, la complicatissima etichetta di Versailles, che teneva lontani dal re anche gli amatissimi cani da caccia, non esisteva. I cortigiani facevano a gara per sedurlo con ogni tipo di bocconcini, ma lui ingoiava e li dimenticava immediatamente.
È innegabile la somiglianza di Lenin con Fiodor, anzi, nelle foto, il tribuno sembra più felino e feroce dell’animale. Meglio Rosa Luxemburg che aveva raccolto per strada la povera Mimi tutta insanguinata. Lenin, sospettoso degli aneliti libertari della Luxemburg, era andata a trovarla e aveva visto la micia ingrassata, allungata su una poltroncina rossa. «Ieri Lenin è stato qui. È già la quarta volta. La povera Mimì, ha attirato l’attenzione di Lenin che ha detto che è un gatto da signori!».
A volte sono i gatti a prendere l’iniziativa, come Humprey, che si era presentato direttamente al 10 di Downing Street dalla Tatcher, che aveva accettato subito quell’alleanza. Socks, il gatto di Clinton era bianco e nero come l’inglese Humprey. Mussolini e Lincoln condividevano invece la passione per i tigrati e il presidente americano non solo teneva Tabby al suo fianco persino a tavola, ma arrivava persino a imboccarlo con una forchetta d’oro.
Solo in punto di morte il malinconico Leone XII era riuscito a separarsi dal minuscolo Micetto, che teneva sempre con sé in una delle larghe maniche del suo abito. Il papa aveva affidato quella bestiola grigia e mansueta a uno scrittore allora ambasciatore di Francia, Chateaubriand. «Non è facile conquistare l’amicizia di un gatto» diceva Théophile Gautier. «Vi concederà la sua amicizia se mostrerete di meritarne l’onore, ma non sarà mai il vostro schiavo».
Napoleone non amava i gatti e per punizione finì a Sant’Elena, un’isola piena di topi, ma c’è una razza bianca e grigia con imperscrutabili occhi celesti che porta il suo nome. Non poteva sapere che i detestati animali si sarebbero resi utili nella Prima guerra mondiale, sentendo per primi gli effetti dei gas del nemico. In quegli anni, Apollinaire dalla trincea si informava ansiosamente sulla gatta Pipe, «una bestiolina molto dolce».
A Parigi, il gatto di Hemingway faceva da balia al neonato e forse per questo lo scrittore aveva l’abitudine di seppellire i piccoli amici in giardino con una croce in scala. Il gatto è sempre regalmente a suo agio tra i potenti come tra i rifiuti. La libertà del felino affascinava Guy de Maupassant: «Va in giro come gli piace, può dormire in ogni letto, vedere tutto, sentire tutto, conoscere tutti i segreti, le abitudini o le vergogne della casa. È a suo agio ovunque». Più concreta, Colette confessava: «Devo ai gatti una specie di onorevole dissimulazione, un grande autocontrollo, un’avversione per i suoni brutali e il bisogno di tacere a lungo».
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Francesca Alberghini, Gatti di potere. I gatti consiglieri dei grandi della terra, Mursia