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 2012  marzo 05 Lunedì calendario

Su Lucio Dalla e sugli scomparsi ad arte già in vita Pubblicato il 03 marzo 2012 Conta di più la vita o l´opera? L´opera, se la vita ne è la superflua coerenza

Su Lucio Dalla e sugli scomparsi ad arte già in vita Pubblicato il 03 marzo 2012 Conta di più la vita o l´opera? L´opera, se la vita ne è la superflua coerenza. Se la vita non è coerente con l’opera che produce, il dibattito resta aperto, ma non per me: non conta né l´una né l’altra, entrambe contano solo per l´occasione sprecata di farne tutt´uno. Quindi, via, giù nell´imbuto dell’oblio delle cose che ne nascondono troppe altre per non appartenere più alla fogna dell’arrivare con meno problemi al ventisette del proprio mese che al ruscello di acqua davvero sorgiva e ristoratrice in tutte le sue preziose molecole per l’umanità assetata. Anch’io, come Joseph Hansen, penso che “un Dostoevskij che non accenna alla sua epilessia o alla sua dipendenza dal gioco” non sarebbe arrivato lontano e che è superflua ogni opera di chi, invece di raccontare innanzitutto di quanto gli è più prossimo e sa perché accade in lui, fa un balzello in avanti per rimuovere l’indicibile e fastidioso ostacolo della sua umanità per quel che è e si cimenta con i grandi orizzonti esistenziali tanto più gratificanti, che poi risultano essere striminziti tra i piccoli paraocchi di un lirismo demagogico o di una sociologia d’accatto, grazie ai quali arriverà alla santificazione del popolo bue, così attento a glorificarsi attraverso i suoi campioni del sentimentalismo universale. E´uno scarto psichico inevitabile, una sensazione di imbarazzo, un sapore di fregatura sistematica: un omosessuale non pubblicamente dichiarato che quindi se ne strafotta della morale sessuale cattolica, che mai nulla ha espresso contro l’omofobia di matrice clericale che impesta il suo Paese, che mai una volta ha preso posizione aperta per i diritti calpestati dei cittadini suoi simili di sventura politica e civile e razziale, un tipo così che, per esempio, scrive e canta il suo amore per una donna viene prima (per mediocrità di carattere, ipocrisia deliberata, amore del quieto vivere a discapito di chi lotta per i suoi stessi diritti da lui per primo negati) della bellezza o bruttezza della sua dedica impropriamente musicata. Non vedi l’omaggio alla donna, vedi la ridicola falsità e la necessità estetica per conto terzi che vi soggiace. Ho sempre pensato che Lucio Dalla fosse un checchesco buontempone, un chierichetto furbastro – le sue interviste sono un vero florilegio di banalità in ossequio alla morale comune e all’autorità costituita, alla maniera di Celentano, che a me non piace nemmeno quando canta – e non basta la morte per cancellare la magagna del gay represso cattolico (represso alla luce del sole, il che non ne inibisce certamente il godimento tra le tenebre della vita privata, anzi, le implementa, come ben si sa) che si permette tutte le scorciatoie di comodo (l’arte, il fine superiore e balle varie) pur di non prendere la strada maestra più sensata della basilare affermazione di sé, anche se più accidentata. Ho sempre pensato, senza mai lasciargli il tempo di aprire bocca per cantare, che un artista che si fa un problema di un tale nonnulla sessuale e che così sessisticamente ruminando offende tutti coloro che, con grande sprezzo del rischio e grossi patimenti personali, hanno ribaltato lo pseudoproblema addosso a chi gli imponeva di farsene uno, sia un povero cristo scansafatiche indegno di altra attenzione. I ben documentati rapporti di Dalla con Craxi e l´Opus Dei, nonché con l’angelo custode che dichiarò di avere visto al suo fianco, me lo rendono poi addirittura indigesto, per amore della pila sapeva individuare bene dove andare a fare il baciapile, non erano certo le protezioni in alto loco a mancargli, era trasgressivo dove esserlo è di moda e alla portata di qualunque reazionario di mondo, anche se gli sono debitore di molte risate allorché fece un programma televisivo con Sabrina Ferilli in cui si sforzava di dare a vedere che la desiderava – invano, per sua fortuna, e non certo perché fosse di una struggente laidezza fisica. Non so se le canzoni di Dalla sono belle o brutte, come ne sento l´attacco alla radio, spengo. In questo senso, è in buona compagnia, tutta di autorinnegati di successo. Ve la lascio tutta, o prefiche e sorcini degli scomparsi ad arte già in vita. Io, da parte mia, continuerò a pensare che i veri eroi di Bologna sono i famigliari delle vittime della Uno Bianca e della strage della stazione ferroviaria rimasta impunita, eroi silenziosi sempre più dimenticati, quasi rimossi, attorno a loro io non smetterò un istante di stringermi in un cordoglio senza fine, e purtroppo senza pace. Aldo Busi 1- BUSI: UNA PAROLA BUONA PER TUTTI (I MORTI) Sciltian Gastaldi per il suo blog su http://www.ilfattoquotidiano.it/ Aldo Busi contro Lucio Dalla. Busi colpisce ancora, e ancora una volta lo fa a cadavere appena tiepido. Colui che in un’intervista si è definito il più grande scrittore di tutti i tempi, non ha perso occasione per potersi distinguere dal coro quasi unanime di chi oggi piange Lucio Dalla. L’autore di Seminario sulla gioventù ha così messo a segno l’ennesimo assolo in controtendenza, che di certo saprà regalargli un altro minuto di notorietà. Con un intervento pubblicato sul blog Altriabusi, subito ripreso da altri siti, e intitolato "Su Lucio Dalla e sugli scomparsi ad arte già in vita", lo scrittore di Montichiari dice la sua su un tema molto delicato e affascinante: se di un artista conti di più l’opera o la biografia. La conclusione di Busi è ben dichiarata sin dall’inizio del pezzo: "Conta di più la vita o l’opera? L’opera, se la vita ne è la superflua coerenza. Se la vita non è coerente con l’opera che produce, il dibattito resta aperto, ma non per me: non conta né l’una né l’altra [...] Quindi, via, giù nell’imbuto dell’oblio delle cose che ne nascondono troppe altre per non appartenere più alla fogna dell’arrivare con meno problemi al ventisette del proprio mese." Nessuna pietà, dunque, per Lucio Dalla: il Tribunale Post Mortem dell’Inquisizione Busiana ha emesso sentenza di condanna all’oblio: "Ho sempre pensato che Lucio Dalla fosse un checchesco buontempone, un chierichetto furbastro [...] e non basta la morte per cancellare la magagna del gay represso cattolico (represso alla luce del sole, il che non ne inibisce certamente il godimento tra le tenebre della vita privata, anzi, le implementa, come ben si sa) che si permette tutte le scorciatoie di comodo [...] pur di non prendere la strada maestra più sensata della basilare affermazione di sé, anche se più accidentata." Aldo Busi non è affatto nuovo a questo genere di sentenze post mortem. Il suo Tribunale, infatti, si è specializzato in attacchi molto meno nobili di quello che rese celebre Fabrizio Maramaldo, il quale, almeno, uccise un uomo ferito e inerme, ma non già bello e composto nella bara. E’ un Tribunale particolare, quello di Busi, che si attiva solo nei confronti di quegli artisti che hanno avuto il cattivo gusto di far parlare una nazione di sé sia da vivi che da morti, e il tutto senza rendere grazie alla somma opera del maestro di Montichiari. Nel 1992, pochi mesi dopo la morte di Pier Vittorio Tondelli, Busi infilò la sua banderilla sul cadavere dello scrittore-avversario, già tumulato nel piccolo cimitero di Canolo, tramite un articolo pubblicato su Babilonia in cui si legge: "[Tondelli] si è perso nelle pastoie del cattolicesimo, e del senso di colpa, esattamente come chiunque altro, e il messaggio che lancia non è granché, né nelle sue opere né nella sua morte; tant’è vero che, come una checca velata qualsiasi, non muore di Aids, ma muore irreparabilmente di vergogna." Non tutto ciò che dice Aldo Busi è sbagliato: anche io, come lui e Joseph Hansen, penso che "un Dostoeveskij che non accenna alla sua epilessia o alla sua dipendenza dal gioco" non sarebbe arrivato lontano. Il punto è che tanto Lucio Dalla nelle sue canzoni (da Disperato erotico stomp in avanti) quanto Tondelli nei suoi libri, hanno fatto qualcosa di più che "accennare" alla loro omosessualità, alla loro diversità, perfino - nel caso di Tondelli - alla sua sieropositività, se è vero che in quel capolavoro che è il romanzo del suo commiato, Camere separate, il riferimento all’Aids è implicito ma inequivocabile. E, maestro Busi: non credo sia necessario essere critici letterari o aver studiato per capire quanto Lucio Dalla e Pier Vittorio Tondelli abbiano "accennato" alla loro omosessualità, alla loro diversità, alla loro resistenza umana tramite il loro talento artistico. Mi si dirà: ma Lucio Dalla si era avvicinato all’Opus Dei. Può darsi: le vie del masochismo italico sono infinite, e in questo senso la svolta mariana di Renato Zero è l’emblema di quanto campioni d’incoerenza si possa diventare all’interno di una sola, piccola vita. Il punto è che c’è un modo e un tempo per muovere le accuse che muove Aldo Busi, e quel modo e quel tempo Busi li ha marchianamente sbagliati. Se Busi intendeva lanciare il suo j’accuse contro il velatismo e baciapilismo di Dalla, o contro la forse eccessiva riservatezza con cui Tondelli nascose la sua sieropositività all’Hiv, doveva farlo quando Dalla e Tondelli erano ben vivi, e in grado di rispondere, non dopo. Ma, naturalmente, facendo così Busi si sarebbe esposto a una risposta, a un dialogo, e non avrebbe avuto il minuto di notorietà che invece si è guadagnato con questo monologo macabro e vile. Infine: siamo proprio sicuri che partecipare al reality L’isola dei famosi o a una trasmissione con Barbara d’Urso sia un esempio di cristallina coerenza per "il più grande scrittore di tutti i tempi"? Com’è che proprio non riesco a figurarmi al posto di Busi, sul trespolo di fianco alla d’Urso, un qualunque Hemingway, un anonimo Primo Levi, un ignobile Pasolini, un misero Dante? Se il Tribunale dell’Inquisizione Busiana emette sentenze di oblio per incoerenza solo post mortem, chi penserà a emettere la stessa sentenza per Aldo Busi, quando sarà morto? 2- NON APRITE QUELLA BARA - LA REPLICA DI ALDO BUSI AGLI APOLOGETI DELLA SESSUALITÀ COME "FATTO PRIVATO" Aldo Busi per il blog www.altriabusi.it L’articolo a firma di tale Sciltian Gastaldi "Busi, una parola buona per tutti i morti" sul "Fatto quotidiano", non so se on line o su cartaceo, è di una tale ridicola e analfabeta supponenza da chierichetto frustrato che può fare il paio solo con quella, ma almeno in pessima buonafede, di quanti pelosissimamente ancora asseriscono che la sessualità umana è un fatto privato e ognuno dentro casa sua fa come crede - non solo la sessualità è politica e non privata, ma non lo è neppure l’aria ognuno coi suoi polmoni, perché non sei tu a decidere quale aria respirare, e te lo dice uno che abita in un posto dove il tasso di mortalità per cancro è tra i più alti d’Europa e dove, mi cito, "l’unico modo per ventilare gli ambienti è non aprire le finestre". Se io non ho detto quello che ho scritto su Tondelli e Dalla quando erano ancora in vita (anche se a Tondelli l’ho detto di persona) è stato perché a) potevo sempre illudermi che ci avrebbero pensato a convincersi e a ravvedersi da sé prima che fosse troppo tardi, b) io per principio, se uno non è omofobo di mestiere ma è solo uno strainculato gay timoroso del fuoco di Sodoma e vive nel calduccio della sua vantaggiosa (?) ipocrisia a sfondo clericale, lo lascio al suo destino e non forzo una situazione a suo vantaggio liberandolo dal gioco suo malgrado: che crepi così come ha vissuto, la sua irresponsabilità illimitata è una cosa che ancora non riguarda me cittadino, c) perché non erano più vivi in vita di quanto non lo siano diventati da salme e solo la morte gli ha restituito quel po’ di vita degna di una mia parola a riguardo. Ora sappiamo che invece del "Fatto quotidiano" possiamo tranquillamente comperare l’"Avvenire" - che, mi costa ammetterlo, è scritto anche meglio.