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 2012  marzo 04 Domenica calendario

IL DILEMMA DEI RISPARMIATORI SULLO SWAP - I

non molti risparmiatori italiani detentori di bond greci devono decidere entro l’8 marzo se aderire o meno allo swap sui titoli della Repubblica ellenica. Il controvalore stimato che è riferibile a questa categoria di investitori è di un miliardo di euro, quindi largamente inferiore all’esposizione verso i bond Argentina nel 2001 o verso le obbligazioni Parmalat nel 2003. Ma gli investitori al dettaglio (fra italiani e stranieri detentori di 14-16 miliardi) possono diventare determinanti nell’esito della ristrutturazione, come ha già scritto Vittorio Da Rold. Andiamo con ordine.
Le grandi istituzioni finanziarie, rappresentate dall’Institute of International Finance (Iif) alle roventi trattative delle settimane scorse, dovrebbero aderire allo swap. Oltre all’accordo condiviso da Iif, queste posizioni sono già state in gran parte svalutate nei bilanci. E poi c’è un’ovvia pressione dei Governi e delle autorità monetarie nei confronti di queste istituzioni. Perché Governi e autorità monetarie, al di là degli atteggiamenti contradditori delle settimane scorse, non hanno interesse ad arrivare a un default disordinato della Grecia. E quindi stanno facendo parecchio per evitarlo. Solo che non sarà affatto facile. D’altra parte i mercati finanziari - al di fuori degli scambi dei bond greci, i cui prezzi già scontano un default pressoché sicuro - non pare stiano scontando in questa fase un’insolvenza disordinata, che potrebbe generare conseguenze imprevedibili sulla solvibilità di varie istituzioni finanziarie, tramite il contagio dei Credit default swaps (Cds) e di tutte le oscure e complicate interconnessioni che caratterizzano quel mercato (ricordate Lehman Brothers?).
Affinché non si arrivi a un default disordinato, la prima condizione è che almeno il 90% dei creditori aderisca allo swap. Se la percentuale sarà inferiore, la Grecia potrebbe attivare le Clausole di azione collettiva (Cac) e imporre lo scambio anche a chi non ha aderito. In quel caso, l’Isda, l’organismo che regola gli scambi di derivati, potrebbe invocare l’insolvenza "conclamata" della Repubblica ellenica e quindi far scattare il grilletto dei Cds. Che al momento sono ancora disinnescati.
Per i risparmiatori (oltre che per un numero imprecisato di hedge fund e speculatori professionali che non rientrano tra le grandi istituzioni) la partita è molto delicata. Possono non aderire con tre motivazioni: la prima è distruttiva («muoia Sansone con tutti i filistei») ed è suscitata dalla rabbia che ha accolto le condizioni dello swap; la seconda è quella di chi è coperto dai Cds e vuole costringere l’Isda a dichiarare il default (con dubbi sulla effettiva possibilità di incassare il "risarcimento" legati alla solvibilità della controparte); la terza è quella di chi non è coperto da Cds ma spera che le adesioni degli altri investitori siano sufficienti a raggiungere la soglia del 90%, e che la Grecia non attivi le Cac. In quel caso gli investitori che non aderiranno potrebbero ottenere un rimborso al 100% del capitale. Un’ipotesi decisamente irrealistica per le scadenze più lunghe, visto che non si possono escludere nei prossimi anni ulteriori ristrutturazioni del debito greco a condizioni peggiori di quelle attualmente proposte. Ma per le scadenze a pochi mesi non impossibile.
D’altra parte, la decisione di un singolo investitore di non aderire fa scendere la già remota possibilità di ottenere un rimborso al 100%, perché allontana sia pure marginalmente il traguardo del 90% di adesioni. È un caso da teoria dei giochi, che suggerisce che una adesione sia pure parziale converrebbe anche a chi punta al rimborso al 100%.
In caso di successo dello swap, chi ha aderito (ma anche chi non avrà aderito se la Grecia azionerà le Cac) riceverà titoli emessi da Efsf e Grecia per un recovery rate effettivo stimato del 25/30% (e per la metà ancora esposti al rischio della Repubblica ellenica, nel frattempo però "sgravata" di circa 100 miliardi di euro di debiti). L’haircut sul nominale sarebbe invece del 53,5%. Probabilmente il restante 46,5% (e non il più basso recovery rate effettivo) rappresenterà il valore di scarico ai fini del calcolo della minusvalenza utilizzabile dai risparmiatori italiani che aderiranno allo swap; minusvalenza che consentirà di compensare plusvalenze da trading per i quattro periodi di imposta successivi. Sempre che venga adottata la stessa interpretazione che fu applicata ai bond Argentina, il cui swap fu considerato realizzativo dall’Agenzia delle Entrate.