Ida Bozzi, la Lettura (Corriere della Sera) 04/03/2012, 4 marzo 2012
LA VITA AGRA DEL TRADUTTORE
Professione traduttore, 12 euro a cartella. Anche meno, fino a 7 euro lordi. La media, tuttavia, è tra i 12 e i 15 euro per una cartella di 2.000 battute, con punte, rare, fino a 20 euro e oltre. Si parlerà anche di traduttori editoriali a «Libri come», venerdì 9 allo Spazio Risonanze (ore 20), in un incontro del ciclo dedicato al lavoro culturale e intitolato «0,60 a cartella». È poco: e non ci riferiamo alla cifra indicata, che comunque rappresenta le difficoltà dell’intero mondo dei lavoratori culturali (traduttori, ma anche collaboratori e revisori editoriali esterni), ci riferiamo al poco spazio che viene in genere dedicato ai traduttori. Co-autori troppo spesso invisibili — o quasi — nella confezione editoriale. Invece le rivendicazioni dei traduttori editoriali in Italia sono tante, economiche, professionali, su previdenza, scadenze di lavoro e così via, in un momento in cui si parla dell’importanza degli investimenti nella cultura. «Il problema è a monte: non è una professione regolamentata — spiega Sandra Bartolini, presidente nazionale di Aiti, Associazione italiana traduttori e interpreti —, l’authority ha vietato la pubblicazione di tariffari, e ora andiamo sempre più verso il libero mercato. In teoria il traduttore dovrebbe andare dall’editore e dire: queste sono le mie tariffe. Ma in pratica non è così, non ha la forza contrattuale per farlo».
Contratti ad personam e assenza di un contratto nazionale, dunque. Ma in quanto tempo si traduce la famosa cartella da 12-15 euro? «Proprio questo è un dato variabile — continua Sandra Bartolini —: dipende dal libro. Quando io affronto un autore, prima devo documentarmi, familiarizzare con il suo ambiente o Paese. Sulla pagina devo fare un ulteriore lavoro: magari la storia è ambientata nel ghetto di Harlem ed è piena di termini gergali che devo conoscere. Oppure è un thriller della Cornwell e io devo studiare e rendere comprensibili termini di anatomopatologia. Ci sono giorni buoni in cui si traduce qualche cartella, altri in cui si passa la giornata su una parola».
«I problemi sono in parte specifici — continua Ilide Carmignani, che cura con Stefano Arduini le Giornate della traduzione letteraria di Urbino — in parte di tutto il lavoro culturale italiano, basta ricordare Bianciardi e la sua Vita agra. Oggi in Italia si è creata una nuova generazione di traduttori che esce da percorsi formativi specifici, questo non ha risolto i problemi ma ha aiutato a metterli a fuoco: il fatto che non ci sia un contratto nazionale, che sia una categoria divisa, con molti giovani con pochi strumenti, e con corsi universitari di cui alcuni eccellenti, altri con docenti di traduzione che non hanno mai tradotto...».
Premesso che il traduttore è un autore, sul sito di Aiti si spiega che «il diritto dell’autore non si caratterizza giuridicamente come un diritto "monolitico", ma si articola in un complesso di facoltà patrimoniali distinte». In sostanza non c’è un diritto solo, ma diritti diversi, anche se i traduttori per lo più li cedono tutti in blocco. Lo spiega Marina Rullo, dirigente di STradE, il Sindacato Traduttori Editoriali nato a gennaio da un gruppo già attivo nella Sezione traduttori del Sindacato nazionale scrittori: «I diritti di un libro sono diversi: il diritto di pubblicazione in volume, i diritti d’autore, di riproduzione, di diffusione e così via. I traduttori italiani cedono di solito tutti i diritti, raramente ne tengono per sé alcuni anche se in realtà ciò è possibile: ma i contratti perlopiù non lo prevedono». Prassi che invece è usuale negli altri Paesi, ci illustra il traduttore Daniele Petruccioli: «Mentre in Italia c’è una consuetudine per cui il contratto vede coprire per 20 anni la vendita dei diritti, all’estero per lo più i diritti sono riconosciuti oltre, a parte. Se in media qui si ottengono 12-15 euro a cartella, e nient’altro, in altri Paesi la media è del 50 e talvolta del 100% di più di quella italiana. Più i diritti».
«Uno dei primi nodi da affrontare — spiega Rullo — è proprio la riforma della legge sul diritto d’autore, avvenuta in altri Paesi europei nel ’90. Altro nodo è quello delle tutele sociali: non abbiamo né previdenza né assistenza. Intanto STradE ha elaborato una polizza sanitaria integrativa. Ma non può essere una risposta definitiva».
A proposito di Europa, prosegue Rullo: «Con Biblit (forum online fondato dalla stessa Rullo nel 1999, ndr) abbiamo censito in Italia circa 25 realtà di formazione, peraltro non omogenee tra loro. Ogni anno decine di giovani escono da tali corsi e vanno a scontrarsi con un mercato saturo. In Europa, invece, abbiamo trovato poche scuole di formazione, 3 o 4 per ciascun Paese».
«Bisogna capire che quello del traduttore è un lavoro — afferma la traduttrice e scrittrice Gaja Cenciarelli — anzi un mestiere, fatto con passione. Ma che anche i traduttori pagano le bollette come tutti gli altri». Il mancato riconoscimento è questione non da poco, che tocca di riflesso un diritto morale e per legge «intrasferibile», il diritto di paternità. «Ora la situazione è migliorata per il lavoro di sensibilizzazione che è stato fatto — aggiunge Gaja Cenciarelli — ma capita che nelle recensioni non veniamo neppure citati, come se i libri degli autori stranieri si traducessero da soli. Non c’è il riconoscimento del fatto che siamo fondamentali per il lavoro editoriale».
A proposito di sensibilizzazione, alcune iniziative partono dalla Rete: l’8 febbraio, sul sito cadoinpiedi.it, la traduttrice Andrea Rényi ha pubblicato, con 175 cofirmatari, una lettera indirizzata ad Alessandro Baricco in cui si segnalava allo scrittore che la sua rubrica su «Repubblica» era «priva di un dato essenziale, quello del nome della voce italiana degli autori stranieri da Lei tanto apprezzati». «Come ben saprà — continua la lettera — i libri non si traducono da soli e la traduzione, che per il traduttore significa spesso molti mesi di impegno, determina il successo (e, purtroppo, qualche volta anche l’insuccesso) di un autore e di un’opera nella lingua di arrivo». Proprio per mostrare che cosa sarebbe la letteratura straniera senza i traduttori, è stato creato su Facebook un gruppo che, in segno di solidarietà con l’iniziativa della Rényi, ha scelto una viralizzazione curiosa: sulle bacheche di molti traduttori sono apparsi post che propongono ironicamente la versione fornita dai traduttori automatici per incipit celebri, da Proust a Bolaño. L’incipit della Recherche diventa, refusi compresi: «Molto tempo, sono andato a letto presto. A volte solo la mia candela, i miei occhi si chiudevano così in fretta che non ho avuto il tempo di dirmi: "mi addormento. "E mezz’ora più tardi il pensiero che era tempo di andare a dormire mi risveglio e ho voluto mettere giù il libro che pensavo di avere nelle mie mani e colpo di luce...» Versione Babel Fish, insomma.
Ida Bozzi