Edoardo Camurri, la Lettura (Corriere della Sera) 04/03/2012, 4 marzo 2012
SONO UN POLLO DA LIBRERIA
Confesso di essere un pollo. Perlomeno divento tale quando compio certi esercizi spirituali che si possono riassumere in questo modo: convincersi che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Quando entro in una libreria, per esempio, mi costringo a beccare intorno ai libri pubblicizzati con la fascetta e qui, come se avvenisse un’ulteriore metamorfosi, il galletto diventa una specie di Leibniz redivivo, il filosofo tedesco e barocco che era convinto che Dio non potesse scegliere un mondo migliore di quello nel quale viviamo. Ogni fascetta racconta meraviglie. Esempi: «Lingua perfetta. Efficacia stilistica totale. Un vero capolavoro» (si tratta della fascetta del libro di Lorenza Ghinelli, La colpa, appena uscito per Newton Compton) dove il fantozziano «Efficacia stilistica totale» l’ha scritto Valerio Evangelisti nella prefazione al precedente romanzo della Ghinelli, l’altrettanto totale Il divoratore. I capolavori sono ubiqui. Il thriller Alex di Pierre Lemaitre (Mondadori) fa addirittura venire il capogiro; ostenta una fascetta rossa dove è scolpito: «Avrete la stessa sorpresa di quegli uomini che scoprirono che non era il sole a girare intorno alla terra, ma il contrario». A Niccolò Ammaniti, autore di queste parole, monterei uno zabaione con l’ovo copernicano che mi verrebbe voglia di fare se solo fossi un po’ gallina ma, limitandomi al galletto, devo confessare che il Darwin che spinge nelle mie zampette mi fa perdere la testa soprattutto per alcuni libri-alfa. Si tratta di quei libri che si ergono, grazie alle loro fascette, nel puro dominio della volontà di potenza. «Nessuno credeva in lei, ma da sola ha convinto 2.000.000 di lettori» (Amanda Hocking, Switched. Il segreto del regno perduto, Fazi editore). Oppure: «Un autore da 6 milioni di copie in Italia» (Luis Sepúlveda, Ultime notizie dal Sud, Guanda). La quantità riproduttiva ha maggiore efficacia della qualità, nell’umile mondo dei pennuti da cortile dove tutto sommato un pollo vale un altro.
Leibniz, che alla fine era un realista alla Zola, diceva che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Non nel migliore in assoluto. E persino nell’universo delle fascette esistono ombre e dispiaceri. L’editore Garzanti ostenta infatti una nuova edizione di Colazione da Tiffany che mette malinconia: «L’unica vera, autentica Tiffany. Diffidate dalle imitazioni» recita la strisciolina gialla che cinge il romanzo di Truman Capote; lo vuole proteggere dalle varie clonazioni di Tiffany di cui si è reso colpevole l’editore Newton Compton con titoli come Un regalo da Tiffany e Un diamante da Tiffany. È un mondo duro. Ma sorprendente. In Inghilterra e negli Stati Uniti, per parlare di fascette e di strilli di copertina dove si affollano le recensioni di scrittori o di riviste sempre entusiaste del libro in questione, esiste addirittura un termine specifico: «Blurb». Ha il suono di uno sberleffo, d’accordo, ma non deve scandalizzare nessuno a meno che non crediate di essere George Orwell e di condividere le sue perplessità (qualche anno fa, l’edizione italiana di 1984 aveva una fascetta su cui era scritto una cosa come: questo libro ha ispirato il reality show Grande Fratello). Ecco, Orwell, noto futurologo, già nel 1936, sul «New English Weekly», aveva messo le mani avanti scrivendo: «Chiedete a ogni persona ragionevole perché non legge più romanzi e alla fine scoprirete, sotto sotto, che è colpa delle disgustose sciocchezze che sono scritte sui blurb. Non c’è bisogno di fare tanti esempi. Uno per tutti, dal "Sunday Times" della settimana scorsa: "Se leggi questo libro e non ti metti a gridare di piacere, la tua anima è morta"».
Orwell, come si è visto, aveva i suoi motivi preventivi per prendersela con le fascette. Ma la ragione di uno non può ostacolare la marcia di molti. Che è trionfale e progressiva. Ascoltiamo la confessione di Stephen King (risale al 2008 e la diede all’«Entertainment Weekly»): «In tutta la mia vita ho scritto dei blurb solo per tre o quattro film, ma ho speso il mio nome forse per un centinaio di libri. Il primo, lo ammetto, non era un granché (anzi, era piuttosto tremendo), ma l’ho fatto almeno trent’anni fa e all’epoca mi sono sentito lusingato per il semplice fatto che me l’avevano chiesto. Da allora, l’ho fatto solo per i libri che onestamente amavo e per una ragione molto semplice: a quei tempi nessuno aveva scritto un blurb per me. Carrie e The Shining sono stati pubblicati prima che l’arte del blurbing fosse perfezionata. A quei tempi, bambini, le retrocopertine dei romanzi erano solitamente riservate a una fotografia in bianco e nero dell’autore (...). Ora invece sembra di stare a Blurb City». Stephen King tende un arco che da Leibniz arriva fino a Kant.
Se con Leibniz sappiamo infatti che viviamo nel migliore dei mondi possibili (la tesi del pollo), con Kant impariamo ad agire in modo che la massima della nostra azione soggettiva possa valere come legge universale. Ed è quello che senz’altro è successo a King: nessuno lo elogiava con i blurb, quindi King ha iniziato a scrivere i blurb per i libri degli altri e ora i blurb sono diventati abitudine universale al punto tale che nel 2011 Stephen King ha perfino vinto un Oscar del blurb, il Best Blurb Awards, un premio inglese concepito da alcune menti della Book Marketing Society per segnalare ai propri soci quali sono ogni anno i volumi con gli strilli più efficaci. Bene, per un libro di Justin Cronin intitolato The Passage (in Italia per Mondadori), King ha scritto quello che chiunque altro, in un momento di entusiasmo, avrebbe forse osato pensare solo per le Upanisad: «Leggi questo libro e il mondo ordinario svanirà» (per l’edizione 2012 del premio, segnaliamo Ammaniti).
Contemplare le fascette dei libri ti trasforma in pollo e, come si è visto, è un ottimo esercizio spirituale. Non resta che spingere ancora più in là il lavoro con una modesta proposta per il futuro: il fascetta-shifting. Si tratta di espandere l’universalismo filantropico kantiano spostando le fascette da un libro all’altro, per consolare chi ne è privo e dargli un po’ di autostima. Un manuale per il concorso da commercialista (se esiste) potrebbe così avvalersi della fascetta scritta da Andrea Camilleri per un libro di Nino Vetri (Sellerio): «Ironico, elegante, diretto»; eccetera.
Nascerebbe così un nuovo tipo di bibliofilia: l’amore del libro per l’altro libro sotto forma di fascetta. E il mondo, se fosse possibile, diventerebbe un pollaio ancora più divertente di quello di oggi.
Edoardo Camurri