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 2012  marzo 04 Domenica calendario

CONCORDIA, SFILANO I SOPRAVVISSUTI: «SCHETTINO DI CORSA SULLA SCIALUPPA» —

Ha un’aria smarrita, da matricola. E quasi nessuno s’accorge di lui, nella bolgia di telecamere, poliziotti, avvocati e superstiti che si riversa di prima mattina dentro il teatro Moderno e nelle vie attorno. «Volevo metterci la faccia, perciò sto qua: ogni notte penso a quella notte, ma ho fatto quello che dovevo», sussurra Salvatore Ursino, col timido coraggio dei suoi 26 anni. Era il secondo ufficiale «in affiancamento», una specie di uditore in quella maledetta crociera sventrata dagli scogli del Giglio. Come dire, contava zero: e tuttavia ha le stesse imputazioni di Schettino, il reprobo dei reprobi, tranne l’abbandono della nave. «L’equipaggio ha dato il massimo», giura. Incluso il comandante? Smorfia: «Io ho detto l’equipaggio».
Sì, ci mette la faccia Salvatore, ed è l’unico dei nove indagati a farlo. Ma della sua faccia non importa un accidente in questo sabato di paradossi che tramuta il centro di Grosseto in anticamera di tribunale e un teatro da mille posti (domani è in cartellone Biancaneve, segue Rocco Papaleo) nell’aula dell’incidente probatorio per il disastro della Costa Concordia: oltre le transenne, quattromila bottigliette d’acqua, caffè «arrotondato» a un euro nel foyer.
C’è da affidare la scatola nera a quattro periti, che in 90 giorni dovranno capirci qualcosa. Ma nemmeno questo interessa sul serio alla gente, ai curiosi, alle decine di giornalisti stranieri che danno un senso di calca ostile a piazza Tripoli. «Schettino arriva o non arriva?», digrignano i denti vecchiette tricoteuse al Paradise Cafè, bar strategico con vista sul Moderno: «Quello schifoso ci ha rovinato nel mondo». «Schet-ti-no! Schet-ti-no!», improvvisano tre ragazzotti delle magistrali (chiuse per l’occasione) prima di venire dispersi col loro coretto. Tutti lo cercano, il comandante codardo, ultima grottesca marionetta italica cui sta per piombare in testa anche l’accusa di distruzione di habitat: «Schettinò, où est Schettinò?», lo invoca una platinata collega della tv francese. Schettinò è un fantasma ingombrante. Persino il suo avvocato, per prudenza, si infila in sala dal retro.
Alle otto, con gli altri legali, già sfilano nel budello di transenne che porta all’ingresso del teatro i salvati e i parenti dei sommersi. Le loro facce sono accuse, dure come pietre. Giuseppe Grammatico da avvocato rappresenta in sala una famiglia palermitana, ma sta qui anche da passeggero di quella crociera dannata: «Ero con mia moglie sulla Concordia, mancavano venti minuti a mezzanotte, la nave era inclinata. Schettino mi è passato davanti correndo, con quattro suoi ufficiali. Ci hanno sorpassati verso prua, e lì hanno calato una scialuppa. Lui era stravolto, con la giacca sbottonata e la camicia fuori. No, non l’ho affatto visto cadere in quella scialuppa. Non l’ho visto inciampare. Noi abbiamo potuto prendere solo la scialuppa dopo la loro. Sì, l’ho raccontato alla Procura. Umanamente, posso capirne il disagio, ma preferisco non incontrarlo. Ci siamo salvati perché abbiamo ignorato il suo ordine di tornare in cabina. E mia moglie Patrizia sta peggio di lui: non può più neanche guardare il mare e, sa, per chi vive a Palermo non è facilissimo».
C’è chi si è risparmiato questa mattinata in bilico tra catarsi e spettacolo, in cui ciascuno sente il bisogno di raccontarsi mille volte alle telecamere prima di sedere nella sala del teatro, assieme ad altri due o trecento sopravvissuti e agli staff legali, sulle poltroncine rosse che guardano il palco e, oltre il sipario verde, i tre tavoli del giudice Valeria Montesarchio, della procura, degli imputati e dei difensori. Kevin Rebello, il coraggioso ragazzo di Bombay che da quaranta giorni al Giglio cerca tracce di suo fratello Russel, sbuffa al telefono, sarcastico: «No, non ci vengo, mi avevano offerto il… biglietto omaggio. Ma io ’sta passerella davanti alle tv non la faccio». Però nessuno può giudicare nessuno, oggi: è comprensibile anche la voglia di tirare fuori la propria storia in mezzo alle altre storie, liberatorio è dire infine «c’ero anch’io», condividerne il trauma.
«Tutti abbiamo rischiato di morire, tutti noi sul ponte 4», ripete Adriano Bertaglia, da Biella: «L’allarme è stato dato con criminale ritardo, scriva: cri-mi-na-le». Francesca Scaramuzzi gli sta accanto: «Prima imbecille e poi criminale il comportamento di Schettino! Siamo stati un’ora e mezzo bloccati con la scialuppa dalla parte sbagliata della nave». Anche Sergio Amarotto, da Varigotti, faccia da lupo di mare, rimase bloccato sul ponte 4, quella notte; tanti finirono in quell’imbuto, molti ci lasciarono la vita: «Ci siamo vestiti tranquilli, non ci sentivamo in pericolo, siamo saliti al punto di raccolta. E lì è iniziato il caos, lì è stata brutta. Non ho visto un ufficiale. Ma tanti inservienti, cuochi, sì, che hanno dato una mano, a loro devo dire grazie… l’evacuazione ce la siamo fatta da soli. Come sto adesso? Sono incaz… incavolato nero per i morti, con un mare piatto come quello non doveva morire neanche una persona. Che schifo».
C’erano diciannove passeggeri di Lampedusa, tredici della famiglia Brignone. Giacomo, il papà, si stringe accanto la figlioletta Lina, otto anni: «Paura? Siamo morti di paura. La Costa non può cavarsela così». La scorsa primavera la sua isola era stata invasa dai migranti: «Già. Mica male gli ultimi dieci mesi, no? Avevamo pensato di rilassarci un po’ in crociera! Ma bisogna scavare, scavare ancora, Schettino non può avere fatto tutto da solo». Salvatore Catalano, che di Schettino difende il vice Ciro Ambrosio, ricorda, codice della navigazione alla mano, che il comandante è solo, solissimo, un monarca assoluto sulla nave. Un re impazzito e magari una corte di traditori: nel teatro di Grosseto il primo atto finisce alle cinque della sera. Hilaire Blemand da Guadalupa ha perso suo figlio Michel, è furioso con i legali che fanno melina procedurale. «Voi, italiens, inumani», sibila uscendo. Ha gli occhi lucidi, forse di stanchezza.
Goffredo Buccini