Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 4/3/2012, 4 marzo 2012
Non erano quel modello d’impresa che si diceva ai tempi di Antonio Fazio governatore. Le grandi fusioni dell’era Draghi non hanno certo aumentato la concorrenza e i troppi dividendi le hanno indebolite
Non erano quel modello d’impresa che si diceva ai tempi di Antonio Fazio governatore. Le grandi fusioni dell’era Draghi non hanno certo aumentato la concorrenza e i troppi dividendi le hanno indebolite. Hanno avuto paura di assumersi responsabilità nella Fiat ma le hanno prese in Telecom e Alitalia. Lo abbiamo scritto per tempo tutte le volte che ne siamo stati capaci. Le banche e i banchieri, ricoperti di bonus non giustificati, sono soggetti altamente criticabili. E tuttavia, di questi tempi, le banche stanno diventando il bersaglio della demagogia dei nuovi Ferrer. Come il cancelliere spagnolo della Milano manzoniana fissò il prezzo politico del pane per compiacere la folla, causando così la carestia perché i fornai non ebbero più di che comprare la farina il cui prezzo saliva a causa del crollo della produzione, così si sta diffondendo tra i partiti, e anche nel governo dei tecnici, l’idea che basti bastonare le banche per ridare fiato all’economia. Magari fosse così. Le banche prendono i soldi dalla Bce all’1,7% per 3 anni e non aumentano i prestiti alla clientela? Un po’ è vero. Ma solo un po’. Nelle due offerte le italiane hanno portato a casa circa 250 miliardi. Un’enormità. Ma meno di quello che la Kfw, la Cassa depositi e prestiti tedesca, dà alle Landesbanken, prim’ancora che arrivassero, anche per la Germania, le offerte della Bce. Queste servono a evitare una nuova crisi di liquidità analoga a quella dell’autunno 2008. Nel 2011 le banche europee non sono riuscite a rinnovare obbligazioni per 400 miliardi. Il 2012 era a rischio ulteriore. E senza raccolta addio prestiti. Questo è di gran lunga il punto numero uno. Gli acquisti speculativi di titoli di Stato con i soldi della Bce sono il punto numero due. Ma, dati i tassi a breve e media scadenza, adesso hanno poco spazio. Più sostanzioso è il punto numero tre: il riacquisto di proprie obbligazioni sotto la pari che consente di portare a guadagno il differenziale. Non è un’attività stupenda, ancorché chi vende lo faccia liberamente. Ma le gestioni bancarie del 2011 e del 2012 saranno gravate da ingenti perdite su crediti e svalutazioni degli attivi. Se non si vuole la nazionalizzazione provvisoria del sistema bancario, come fece la Svezia, prima di emettere condanne si confronti quanto costano queste soluzioni e quanto quelle anglosassoni. Nel quadro ora si inserisce l’emendamento taglia-commissioni, approvato dal parlamento e ripreso dal governo. Senza più le commissioni, le banche perderebbero 10 miliardi di ricavi all’anno, secondo i calcoli riservati di Banca d’Italia e Associazione bancaria. In tal modo, l’economia avrebbe minori costi per 10 miliardi l’anno. Una manna, direbbe Ferrer. Peccato che le banche rischierebbero di fallire. Come i fornai dei Promessi Sposi. Questi ricavi, infatti, verrebbero meno a parità di costi in un contesto già deteriorato. Se invece si limiterà la cancellazione delle commissioni ai casi di addebiti opachi, ne verrà un bene. E la concorrenza punirà gli esosi. mmucchetti@rcs.it