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 2012  marzo 04 Domenica calendario

Rispondendo a una lettrice lei ha parlato della «Bocca della verità». Vuole chiarirmi di che si tratta? Vittorio Astori, Pavia Caro Astori, Le principali Bocche della verità sono due

Rispondendo a una lettrice lei ha parlato della «Bocca della verità». Vuole chiarirmi di che si tratta? Vittorio Astori, Pavia Caro Astori, Le principali Bocche della verità sono due. La prima è a Roma, nel portico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin, vicino al tempio di Vesta. È un grande disco di marmo da cui emerge in bassorilievo il volto di una divinità fluviale, e fu qui installata nel 1632. La seconda è a Venezia, sul fianco del palazzo Ducale, e rappresenta una donna vecchia, brutta, gli occhi sbarrati, la testa cinta da un nastro che ricade sui due lati del volto. Entrambi i bassorilievi hanno la bocca socchiusa, ma hanno avuto nel corso della loro storia una funzione diversa. La prima, secondo la leggenda, serviva ad accertare la sincerità di una persona accusata di mendacio. Costretto a introdurre la mano nella bocca della divinità, il bugiardo l’avrebbe ritratta monca. Ma si dice che una donna adultera, soggetta alla prova della Bocca dopo avere proclamato la sua innocenza, non abbia perduto nemmeno un dito. Quella di Venezia invece aveva uno scopo pratico: serviva a scovare gli evasori fiscali e i loro complici. Una scritta scolpita sotto il volto della donna dice: «Denontie secrete/Contro chi occulterà/Grazie et officii/O colluderà per/Nasconder la vera/Rendita di essi». Sembra che molti veneziani se ne servissero anche per denunciare altri reati, pubblici e privati. Ma in un bel libro intitolato Agenti veneziani del ’700, pubblicato da Bompiani nel 1941, Giovanni Comisso scrive che le denunzie «erano prese in considerazione solo se firmate e le anonime solo se relative a grandi questioni di ordine pubblico». Per sapere quali fossero gli umori della repubblica e come i veneziani più eminenti passassero le loro notti, il Tribunale dell’Inquisizione, costituito agli inizi del Cinquecento, poteva contare su uno stuolo di agenti segreti che perlustravano la città per orecchiare informazioni e indiscrezioni. Nella sua prefazione a un’antologia di rapporti segreti custoditi nell’Archivio di Stato di Venezia, Comisso scrive che i confidenti «erano scelti variamente secondo gli ambienti che dovevano praticare». Se dovevano sorvegliare i commercianti, erano procacciatori d’affari, pratici dell’ambiente. Se dovevano sorvegliare la nobiltà, erano nobili, magari decaduti. Se dovevano sorvegliare gli ebrei, erano ebrei. Se dovevano sorvegliare il popolo minuto, erano uomini di basso rango, spesso analfabeti. Se dovevano sorvegliare gli intellettuali e gli ambienti culturali, erano colti e intelligenti come l’abate Cattaneo e Casanova. In un rapporto del 1780 Casanova scrisse al Tribunale che nel teatro di San Cassano «donne di mala vita e giovanotti prostituti commettono nei palchi in quarto ordine quei delitti, che il Governo, soffrendoli, vuole almeno che non siano esposti all’altrui vista». Da che pulpito.