Corriere della Sera 4/3/2012, 4 marzo 2012
DOSSIER SUI CANI RANDAGI E ASSASSINI
MILANO — Nel quartiere di Muggiano è caccia ai cani assassini. La polizia locale e l’Asl setacciano i prati dell’estrema periferia Ovest di Milano, tra i campi dei rom, gli orti comunali e il bosco di pioppi oltre il quale sei randagi, venerdì, hanno ucciso il 74enne Gaetano Gnudi, un gigante di 1,9 metri per 120 chili.
Ieri mattina, le prime «catture»: un cucciolo e una meticcio di pelo bianco maculato, immediatamente spediti al canile sanitario di via Aquila. Trovata anche la carcassa di un terzo cane. A sentire chi c’era, restano liberi un pastore tedesco, forse il capobranco, e almeno altri due meticci tipo cane lupo. E tra gli abitanti, adesso, prevale la paura: «Temiamo per la vita dei nostri figli. Da cinque anni questo branco semina il panico. Ma nessuno fa niente». Interviene anche il sindaco Giuliano Pisapia: «Sicuramente ci sono delle responsabilità. E vanno accertate in tempi brevi».
Intanto, un uomo è morto. Nato a Medicina, nel bolognese, Gaetano Gnudi era un ragioniere. E un pescatore. Dal 1986 viveva a Inverigo (Como), prima di trasferirsi a Milano, via Mac Mahon, dopo la morte della moglie. Venerdì pomeriggio era piombato a casa di amici a sorpresa, come gli capitava spesso di fare. Non trovando nessuno, aveva deciso di raggiungere i campi di via Martirano, a caccia di vaironi, pescetti di roggia ideali per la frittura. «Lì ho trovati» esultò al telefono. Dietrofront, verso Trezzano sul Naviglio, un chilometro da fare a piedi, nonostante un acciacco a un piede, per raggiungere la casa di Sara Zambrino e del suo compagno. Dopo cento metri, sulla strada, l’agguato del branco inferocito.
Dalla cascina a fianco, spunta un fattore, Peppino. «Sentivo suonare un clacson, sono uscito con mio figlio». L’uno con il bastone, l’altro con il forcone. «Aveva le mutande alle ginocchia, il corpo dilaniato. Non muoveva più il braccio destro. Volto sfigurato, gli occhiali insanguinati. Li ho puliti sui miei pantaloni, glieli ho rimessi».
Il primo a intervenire era stato Lino, un operaio pugliese della cava: «Mi sono fermato, suonavo il clacson per allontanarli». Poi, una moto e un’altra auto. «Quattro cani erano scappati, due restavano lì». Arrivano anche i nomadi: «Si vedevano le vene, le ossa, una scena impressionante». Elicotteri, ambulanze, il trasporto al San Raffaele. E la morte, poco dopo le 22.
Sullo sfondo, restano le annose tensioni tra gli abitanti di Muggiano e gli zingari. Diffidenze, violenze e accuse reciproche, anche in questo caso («quei cani fanno i combattimenti»; «no, sono loro che non li catturano»). A pochi metri, uno dei tanti, discussi campi abusivi in zona. Poco più avanti l’unico regolare.
Sull’asfalto della stradina di campagna, ci sono ancora le macchie di sangue. L’amica Sara le guarda, la mente è altrove: «Amava gli animali. Anche randagi. Sono certa che sarebbe stato il primo a portargli un piatto di trippa». Lo aspettava a casa con i vaironi, non è mai arrivato. «Era una persona buona, amava lavorare il legno e chiaccherare fino a tardi. Come me».
Anna Campaniello
Giacomo Valtolina
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Molte e varie sono le notizie funeste che in questo periodo turbano l’opinione pubblica ma due avvenimenti si distaccano dallo scenario generale. Nel giro di pochi giorni due uomini, senza alcun motivo, sono stati sbranati da un branco di cani randagi, non in luoghi inospitali e selvaggi, ma ai margini di civili periferie urbane. L’imprevedibilità rende questi avvenimenti particolarmente minacciosi e inquietanti, quasi un presagio della catastrofe economica incombente, del malessere diffuso, dell’aggressività che, dilagando, richiama il famoso aforisma di Hobbes: homo homini lupus. Questa risonanza va ben al di là delle considerazioni razionali e coscienti perché la paura di essere sbranati dai cani, o dai lupi che ne rappresentano la natura inaddomesticata, è antica come il mondo. La ritroviamo nel mito di Atteone, il dio allevato dal centauro Chirone nell’arte della caccia, che sarà tramutato da cacciatore in preda. Reo di aver scorto, inavvertitamente, le divine nudità di Diana, il giovane viene trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. La scena è drammaticamente rappresentata nel gruppo marmoreo che adorna il parco della Reggia di Caserta (nella foto). E, con suggestioni alchemiche, nei dipinti del giovane Perugino che decorano una misteriosa saletta della Rocca di Fontanellato. Giordano Bruno, in «Degli eroici furori», scorge invece nella metamorfosi di Atteone un progresso dell’umanità: da una conoscenza sensuale, cieca e fantastica a un sapere razionale, prossimo alla bellezza e alla sapienza divine. Ma la paura del lupo, che non ci ha mai abbandonato, si ripete costantemente nella prima favola che si racconta ai bambini, quella di Cappuccetto Rosso, dove la piccina e la nonna vengono sì sbranate dal lupo, ma per essere prontamente salvate dal cacciatore, che fa giustizia della mala bestia. Queste figure dell’immaginario collettivo si ritrovano anche nell’inconscio individuale: nei giochi, nelle fantasie, nei sogni. Freud, analizzando a più riprese i sogni del cosiddetto «Uomo dei lupi», percorre uno dei sentieri più ricchi e complessi della sua ricerca. Una interpretazione che si rivela interminabile, anche per il perenne rinnovarsi delle nostre angosce.
Silvia Vegetti Finzi
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Il censimento dei randagi, il primo e ultimo fatto, risale al 2007: quattro anni di lavoro di una task force del ministero della Salute. Ne risultò un Paese dove i cani «senzatetto», costretti per sopravvivere a riattivare gli istinti atavici primordiali, a fare branco, a guadagnarsi da vivere frugando tra i rifiuti, erano quasi seicentomila: uno ogni dieci fratelli (6 milioni) accuditi nelle case e regolarmente registrati. Una fotografia che, nel tempo, è diventata sempre più sbiadita. E questo nonostante, da vent’anni, ci siano sia leggi, (la 281 del 1991) che impongono ai Comuni e alle Asl di catturare, sterilizzare, ricoverare nei rifugi gli animali vaganti e inserirli nel circuito delle adozioni, sia i fondi (circa 200 milioni gli euro stanziati all’anno per i 95 mila quattrozampe ospiti dei rifugi).
La Lav (Lega antivivisezione) denuncia che a «queste cifre non corrispondono adeguate cure per gli animali». Una valutazione delle dimensioni del randagismo, precisa Ilaria Innocenti, «deve prendere in considerazione anche tutte le problematiche che alimentano il fenomeno: il commercio di animali, l’importazione di cuccioli, le nascite incontrollate, la mancata sterilizzazione dei cani di proprietà e le carenze degli organi di controllo».
Bruno Mei Tommasi, dell’associazione nazionale tutela animali (Anta), spiega come i due casi ravvicinati tra loro di randagi che hanno aggredito umani a Livorno e Milano illustrano più di tante parole le due facce della medaglia: «I randagi sono 1,5 milioni, almeno tre volte quelli stimati e molti sfuggono al controllo: basti pensare che a Lampedusa ci sono 5mila abitanti e 400 randagi. Milano e Livorno, però, fanno storia a sé. Quei randagi vivono ambiti di confine della città ma accanto a persone che in qualche modo li alimentano. Non è randagismo ma gestione inadeguata, maltrattamento».
Diverso il fenomeno al Sud. «Il randagismo puro è in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria. Dove sono le microchippature? Perché non si fanno a tappeto? E ci sono canili che non hanno alcun interesse a dare in adozione gli animali. Perché rinunciare al compenso sicuro, da 1 euro a 5 al giorno per ospite?». Ci sono canili lager, ma dei 1.650 Comuni che non dispongono di questa struttura, l’80 per cento è al Sud. E nella solo Puglia sarebbero 70 mila i cani senza padrone.
I branchi sono un potenziale rischio di aggressione per le persone. Eppure ci sono differenze anche tra randagi. «Il cane ferale, figlio di randagi che non ha mai conosciuto l’uomo, potenzialmente è meno pericoloso di un cane che è uscito da un sistema familiare e, reintrodotto in un sistema naturale, riattiva il suo istinto atavico primordiale, si unisce ad altri e fa branco. Questo conosce l’uomo, i suoi limiti».
Il cuore del problema è la sterilizzazione. L’Associazione veterinari (Anmvi) chiede un piano straordinario. «I nostri settemila ambulatori sono a disposizione», dice il presidente Marco Melosi. E Fiorenza Resta, avvocato impegnato nella tutela dei diritti animali rincara: «Le Asl su questo sono assolutamente carenti».
Paola D’Amico