Giancarlo Padovan, il Fatto Quotidiano 13/12/2012, 13 dicembre 2012
SE MI CRITICHI NON TI PARLO
Arsenico e vecchi dispetti. Nella settimana che conduce al derby, il Milan ha deciso di non parlare con Mediaset perché Paparesta, ex arbitro coinvolto in Calciopoli e attuale moviolista televisivo, ha litigato con Allegri. Che a Sky aveva già litigato con Massimo Mauro. Il problema non è, come sembra, la suscettibilità dell’allenatore milanista, ma tutta una serie di concatenazioni che muove dall’appartenenza di Mediaset alla holding Fininvest e arriva ai soldi versati dalle casse della tv alle casse del club di uno stesso padrone: Silvio Berlusconi. Riepilogando il triangolo, Mediaset paga una cifra spropositata alla Lega Calcio perché i giocatori del Milan, anziché mettersi a disposizione delle tv, non parlino. Ci sarebbe da trasecolare se non fosse che i rapporti tra media e società calcistiche, a prescindere dalle scuderie, sono scesi da anni ai minimi storici.
SONO stampa e televisione ad aver cambiato il calcio o è il calcio che ha cambiato chi lavora per giornali e tv? Il circolo è vizioso e a intossicarlo hanno provveduto i mezzi prima dei messaggi. Anche chi scrive ricorda ancora che fino alla metà degli anni Ottanta il rapporto con l’interlocutore (calciatore, allenatore, dirigente che fosse) era diretto e non mediato. Un’aneddotica vasta squaderna racconti di interviste fatte sotto la doccia o di liti registrate in diretta dietro le porte degli spogliatoi mentre volavano gli zoccoli. La creazione di sempre più muniti uffici stampa, abili a erigere barriere e steccati, ha reso la ricerca più difficile e la dichiarazione più laconica. Per contro chi, seppur in pochi minuti, è costretto a incalzare il protagonista sui temi caldi e cogenti, non è più disponibile a far da reggitore di microfono in scontate passerelle televisive. Spesso a generare il corto circuito è la tensione del dopo gara. Altre volte – il più delle volte – è proprio l’indisponibilità al rilievo critico. È probabile che Allegri, più che in disaccordo sul rigore concesso a Pato e contestato da Paparesta, sia stato semplicemente sgarbato (perché rivolgersi all’ex arbitro dicendogli “Tu hai fatto di peggio”). Piuttosto la notizia è che ad adeguarsi alle sanzioni nei confronti dei giornalisti sia stato il Milan, un club che non l’aveva mai fatto con nessuno e per nessuna ragione. Altra musica, casomai, a Torino, fronte Juve, quando la triade comminava “squalifiche” ai giornalisti meno graditi impedendone l’accesso al campo di allenamento. Memorabile, anche per la rara e fiera reazione dei colleghi al seguito, la rivolta generata da una frase di Marcello Lippi, allora allenatore bianconero, che negò la risposta a Maurizio Crosetti di Repubblica. All’unisono la decina di giornalisti italiani si alzò abbandonando la conferenza stampa. Poi, naturalmente, tutto si ricomponeva, auspice Moggi che squarciava gli imbarazzi grazie al suo tonitruante “Ci penso io”. La verità è che chi adesso vive nel calcio è sempre più lontano da chi lo racconta, non accetta il contraddittorio, è discretamente prevenuto quando non addirittura afflitto dalla sindrome del complotto. E a chi fa risalire il fenomeno all’arrivo di Mourinho ricordo che Mancini era ancora peggio. Forse, più semplicemente, fare il giornalista di calcio è diventato difficile, forse sappiamo troppo di tutti e non abbiamo abbastanza coraggio per raccontarlo, forse l’essenza del gioco è quella che interessa meno. Vale più la cornice del quadro.
ARSENICO e vecchi dispetti. Stavolta c’entra il mercato e, naturalmente, c’entra ancora Allegri e il suo controverso rapporto con Berlusconi (a proposito, a quando il contratto?). Nel pomeriggio era convinto di essersi liberato di Pato cedendolo al Paris Saint Germain (35 milioni più 8 di bonus) senza aver fatto il conto col padrone. Soprattutto con la figlia del padrone, Barbara, sempre più zarina. Nessuna ufficialità, ma l’affare l’ha fatto saltare lei. Chi mai avrebbe potuto suggerire sul sito ufficiale del Milan parole tanto definitive al giovane brasiliano: “Il Milan è casa mia”. Se non è una prova di forza è un lapsus freudiano. Il precipitare degli eventi ha costretto Galliani a un affannoso rientro da Londra, dove era andato per prendere Tevez coi soldi di Pato. L’argentino adesso è più vicino all’Inter. Insomma, tra Mediaset e Fininvest è un bel ginepraio: tutti contro tutti e nessuno che abbia più nemmeno la voglia di parlarsi.