Giuseppe Scaraffia, Domenica-Il Sole 24 Ore 24/12/2012, 24 dicembre 2012
Ostriche e cioccolato al cenone libertino- Ogni sera, dopo una lunga giornata di lavoro, Philippe d’Orléans, reggente della Francia dopo la morte del Re Sole, faceva un’orgia in compagnia dei suoi fedeli e della figlia favorita, la duchessa de Berry
Ostriche e cioccolato al cenone libertino- Ogni sera, dopo una lunga giornata di lavoro, Philippe d’Orléans, reggente della Francia dopo la morte del Re Sole, faceva un’orgia in compagnia dei suoi fedeli e della figlia favorita, la duchessa de Berry. Gli invitati si servivano da soli, mentre i pochi lacché rimasti dovevano la loro presenza a doti meno confessabili, cui si sarebbe presto fatto ricorso. Dopo abbondanti libagioni, ognuno dei presenti ancora vestito o già in tenuta adamitica, si rivolgeva a una o più delle sue vicine, trovando una sollecita accoglienza. Per risparmiare tempo, la previdente duchessa aveva invitato il suo confessore ad assistere alla consumazione dei suoi peccati. In quel secolo devoto al godimento spregiudicato del presente, il cibo era un preludio al piacere successivo del sesso. Il marchese de Sade si affidava a vini prelibati, tra cui lo champagne per eccitarsi prima delle sue movimentate serate. Per Casanova una buona cena non era solo un piacere in più, ma anche una scorciatoia per la camera da letto. Una volta però il voluttuoso stratagemma lo tradì. Sedotto da una ricca e avvenente suora di Murano, l’aveva raggiunta nel suo boudoir. In ginocchio davanti a lei, Giacomo le aveva coperto di baci le mani. Gustando le sue lievi ripulse l’aveva stordita di carezze, cercando di sedurla, ma la monaca gli aveva detto di aver molto appetito. Una cameriera aveva servito una cena squisita. «Crudele amica, mi avete promesso la felicità solo per farmi provare i tormenti di Tantalo? Se non volete cedere all’amore, cedete almeno alla natura: dopo questo pranzo delizioso andate a coricarvi». Con pochi gesti la bella aveva trasformato un canapé in un comodo letto. Giacomo allora si era buttato su di lei, ma, appesantito dal cibo, si era addormentato senza soddisfare tutti i suoi desideri. Solo al secondo appuntamento la suora gli avrebbe ceduto. Più diretto, Sade offriva insistentemente alle sue vittime cioccolatini farciti di un afrodisiaco, la cantaridina. Ma il cioccolato stesso veniva ritenuto un afrodisiaco perché, come osserva Serge Safran, il suo intenso sapore «spezza l’artificio, fa risorgere la natura, demitizza la donna per renderla finalmente accessibile». D’altronde il Divin Marchese, raccontano Grandi e Tettamanti, non si faceva mancare l’eccitante tartufo nemmeno in carcere. Lo champagne, di due tipi, spumoso o senza bollicine, va dosato sapientemente. Serve a eccitare e a stordire, ma, se si esagera, può anche far addormentare o ubriacare irrimediabilmente. Inoltre, ammonisce Casanova, bisogna saperne approfittare al momento giusto, perché «i fumi dello champagne durano poco». Come se non bastasse, l’estrema allegria prodotta dalle bollicine può rendere difficile concretizzare la conquista. Solo il punch di champagne è infallibile, scatenando un’inarrestabile follia erotica. Meno facile da dosare, il vino richiede al seduttore che lo usa per raggiungere i suoi fini di bere «con moderazione». Il visconte di Valmont, nelle Relazioni pericolose di Laclos usa il vino per stordire il rivale e poi godersi la sua amata, in combutta con lui. A volte però i ruoli si invertono e Casanova ubriacato dall’amante di un vicerè con un vino saturo di droghe, non riesce ad essere all’altezza. In ogni caso i libertini diffidano dell’acqua. Per Casanova è la bevanda obbligata dei soggiorni in carcere o del regime imposto dalle malattie veneree. Per Sade è una forma di castigo e un suo eroe si vanta con la povera Justine: «Qui non troverai un solo bicchiere d’acqua». La prossimità della cena alla notte e quindi al sogno e alla licenza facilitata dall’oscurità ne fa uno strumento essenziale di adescamento. «I pranzi, diceva Montesquieu, sono innocenti; le cene quasi sempre criminali». «Nessuno è felice, dall’uomo all’ostrica», garantiva Voltaire, perseguitato da una colite che cercava di curare mangiando un pollo al giorno. Ma i libertini amavano le ostriche per il loro insidioso sapore e per la loro somiglianza col sesso femminile. Casanova le usa, ancora una volta, per sedurre le riottose «scambiandole quando già le avevamo in bocca». Durante la rivoluzione francese, il duca de Lauzun, grande libertino e, si sussurrava, amante di Maria Antonietta, rimase impassibile sentendo di essere stato condannato a morte. Però, prima di salire sulla ghigliottina, si fece portare una dozzina di ostriche che assaporò lentamente. Poi, vedendo il boia gli disse: «Cittadino, permettimi di finirle». Quindi gli offrì un bicchiere di vino bianco: «Bevi, devi avere bisogno di coraggio col mestiere che fai». © RIPRODUZIONE RISERVATA Serge Safran, L’amore goloso, Le Lettere, Firenze, pagg. 180, € 18,00 Laura Grandi e Stefano Tettamanti Sillabario goloso, Mondadori, Milano, pagg. 304, € 18,00