Emanuela Audisio, la Repubblica 2/12/2001, 2 dicembre 2001
Raffaella Reggi da sorella maggiore ha indicato la strada. E l´ha anche percorsa. Senza di lei forse Flavia Pennetta e Francesca Schiavone oggi non ci sarebbero
Raffaella Reggi da sorella maggiore ha indicato la strada. E l´ha anche percorsa. Senza di lei forse Flavia Pennetta e Francesca Schiavone oggi non ci sarebbero. Raffella è stata la prima: ad andare all´estero, a trasferirsi in America, a vincere l´Orange Bowl (16 anni) e un torneo del grande Slam, l´Us Open nell´86 (nel misto con lo spagnolo Casal). La prima ad avere la mentalità del viaggio: si va, si prova, si lotta. Una pioniera delle ragazze con la racchetta, n.13 del mondo. Raffaella ha attraversato il grande tennis, quello di Evert, Navratilona, Graf, Seles, quello dove la più scarsa (Mandlikova) vinceva 2 volte l´Australian Open, andando in finale 2 volte all´Us Open e a Wimbledon. Reggi oggi ha 46 anni, una figlia Giulia di 18, e fa la commentatrice per Sky. Le sorelle Williams arrivano a Milano da dive. «Giusto così. Hanno stravolto e cambiato il tennis, con fisicità, potenza, muscoli. Picchiano, soprattutto Serena. Se pensasse solo al tennis non ce ne sarebbe più per nessuna. Invece si distrae con altro: moda, shopping, design. Quanto al trattamento da star anche Chris e Martina non scherzavano, alberghi di lusso e autista. Ma c´era meno pubblicità». Lei ha diviso lo spogliatoio con loro. «Sì e mi hanno fatto anche molto sudare. Erano altri tempi: ci si conosceva, ci si frequentava, ci si parlava. Tanti gli scherzi: anche con Arantxa Sanchez, ci rubavamo le mutande. Però i rapporti erano veri. A Hilton Head alla festa dopo il torneo abbiamo ballato e bevuto, solo che Patricia Tarabini andò in coma etilico e con la Cecchini e la Garrone l´abbiamo portata di corsa in ospedale. Non come oggi: buongiorno, buonasera, in un´atmosfera da timbra il cartellino, e con l´ipocrisia buonista di darsi i bacetti a fine partita. Ma quando mai, ma siamo serie». Niente bacetti? «Tra avversarie basta una bella stretta di mano. Perché devo baciare chi mi ha sconfitto? Una volta le personalità e le diversità non si decoloravano. Non c´era questa uniformità che c´è oggi, questa linearità anche in campo, diciamo monotonia, e nemmeno questa falsità per cui si deve sembrare tutte amiche.» Allude a Pennetta e Schiavone? «Alludo sì. Sono diverse, non si sopportano, non hanno rapporti, a Milano hanno richiesto spogliatoi separati. Va benissimo, ma perché fare finta del contrario. Schiavone su terra è l´unica che sporca un po´ il gioco, che lo rende meno prevedibile, ma sono in tanti a credere che le sue due finali a Roland Garros potevano avere un altro impatto in Italia. Se al suo posto ci fosse stata Pennetta l´investimento pubblicitario sarebbe stato maggiore». Per un fatto fisico? «Sì. Flavia corrisponde di più all´immagine della bellezza mediterranea. Anche se questo non significa farsi fotografare in pose sexy e o finire su certi settimanali a parlare di sesso». Com´erano Chris e Martina viste da vicino? «Ho giocato con una generazione di fenomeni. Non lo dico per nostalgia. Navratilova è stata la più grande: l´ho invitata dai miei, quando è venuta per un´esibizione, ha chiesto della nostra casa che è del Quattrocento, quando la incontro è sempre disponibile. Ma in campo con lei non ci ho mai capito niente, non sapevo cosa avrebbe fatto, mi ingarbugliava. Sui punti però era generosa, se c´era una palla controversa te ne concedeva due mentre Chris non ti regalava nulla. Martina nei rapporti privati era discreta, girava con la sua fidanzata, ma non la imponeva. Invece la Mauresmo agli Open d´Australia si baciava con la sua ragazza, d´accordo altri tempi, ma anche altra classe». Ai Giochi di Seul nell´88 lei sconfisse la Evert. «Feci una partitona. Adriano Panatta mi consigliò: stai con i piedi attaccati alla linea di fondo. Non ebbi il tempo di gustarmi niente: mi aspettava il primo antidoping della mia vita in una sgabuzzino minuscolo. Non mi veniva, ci misi 3 ore. Rientrai al villaggio olimpico in bicicletta, gli Abbagnale stavano festeggiando l´oro con un lancio di gavettoni, ne beccai uno, mi ritrovai distesa su una grata in ferro con le ginocchia tutte blu. Nei quarti persi contro la Maleeva, la mia bestia nera, ma non ero più in condizione». Mise sotto pure un´esordiente Graf. «A Lugano nelle qualificazioni. Pareva volasse, due molle al posto dei piedi. Suo padre mi chiese di giocare il doppio con lei a Parigi, ma io avevo già dato la mia parola ad un´altra. Da quel momento i rapporti si sono interrotti, non ero più gradita. Nello spogliatoio Steffi si faceva gli affari suoi, otteneva il primo turno di mattina, e non la vedevi più». Da Bollettieri incontrò Monica Seles. «Aveva 9 anni, non rideva mai, ma si capiva che era un talento. Aveva un po´ la sindrome della Garbo, suo padre la nascondeva a tutti, ricordo che il suo campo era coperto da teloni. Quando fu accoltellata, visto che avevamo la stessa manager, le mandavo sempre i saluti, se ne è ricordata e ora è molto affettuosa». Meglio estero o Italia? «Bisogna confrontarsi con i migliori. Andare dove c´è eccellenza e programmi. Quindi andare via: l´ho fatto e lo rifarei. Godetevi l´esibizione, perché il dramma è che dietro Schiavone e Pennetta c´è il vuoto. Anche quello standard».