Gino Castaldo, la Repubblica 2/12/2001, 2 dicembre 2001
Elegante lo è, sempre. All´incontro si presenta in giacca blu a righe bianche, una camicia con polsino doppio e l´orologio allacciato sopra
Elegante lo è, sempre. All´incontro si presenta in giacca blu a righe bianche, una camicia con polsino doppio e l´orologio allacciato sopra. Una carriera imponente alle spalle, ma negli occhi ha sempre lo sguardo di un ragazzo che cerca consenso ai suoi personali tormenti. E come al solito è carico di proposte: un cofanetto in uscita che celebra i trent´anni di Strada facendo, e un evento chiamato Dieci dita, ovvero dieci concerti in solitario tra Natale e i primi di gennaio nella sala grande dell´auditorium di Roma. «Vado a correre tutte le mattine allo Stadio Flaminio, ho chiesto un permesso speciale, lì c´è un´erba meravigliosa, e non lo usano mai. Mi devo preparare, sarà uno sforzo notevole, due ore e mezza, da solo, e in parte improvvisato, raccoglierò le richieste del pubblico e sull´idea di questo metronomo sentimentale troverò una strada, ogni sera una strada diversa». Impegnativo debuttare proprio il 25 dicembre... «Sì, insolito, ma può funzionare. Ieri ho incontrato Bertinotti e mi ha detto: voglio venire il giorno di Natale. Forse non dispiace avere qualcosa da fare quella sera, anche per evitare di giocare a tombola... E non basta. Sarò in scena anche il 31». Perché ha deciso di celebrare proprio l´uscita di Strada Facendo? «Perché lo considero il mio disco-locomotiva, per tutto quello che mi ha permesso di fare dopo. Lo so, oggi c´è un eccesso di celebrazioni. E infatti l´altr´anno quando ho compiuto sessant´anni ho cercato di passare il più possibile inosservato. A dirla tutta è stata un´idea della Sony e all´inizio l´ho vista con un certo sospetto, però è tale l´affetto che ho per questo disco, che piano piano mi è piaciuta l´idea e ci ho anche lavorato. Fu il giro di boa della mia carriera, quello che mi ha tolto buona parte dell´immagine che mi portavo dietro, diciamo dell´adolescenza prolungata, quello fu il primo disco "da omo", da grande. E poi Strada facendo credo sia l´unico pezzo in assoluto che non ho mai tolto dalla scaletta dai miei concerti, è davvero una canzone stradaiola». Tutte belle idee, ma alla fine, sono otto anni che non fa un album di nuove canzoni. Che succede? «Tre anni fa avevo un disco quasi finito, poi partì l´avventura QPGA che per due anni mi ha fatto inseguire una vaghezza che non avrei mai preventivato, e qualcosa è rifluito nella parte inedita del remake di QPGA. Alla fine è un disco perduto. Ma ho continuato a scrivere e l´anno prossimo ci sarà un disco di canzoni nuove». Non ci sarà qualche ragione più profonda per questa "pausa" creativa? «Intanto non è detto che dei pezzi nuovi siano davvero "nuovi". Un disco, non deve essere un cammino imposto, anche se qualche volta succede. Io poi ho sempre avuto difficoltà a chiudere i dischi. Strada facendo fu il primo disco complesso, ci misi un anno, e fu la prima volta che iniziò la schizofrenia tra la parte musicale e le parole. Allora la discografia era ricca, e per stimolarmi a finire i testi, mi affittarono un appartamento pazzesco a Londra, a Mayfair. Era dicembre. Peccato che prima era stato un club di gay, e quindi ci venne ad aprire un nero vestito da cameriera, mentre un altro girava coi pattini, e ricevevamo sempre telefonate che chiedevano di una certa Madame qualcosa.... Io ero disperato, giravo per Londra, coi negozi addobbati per Natale, mi fermavo davanti alle vetrine e mi mettevo a piangere, insomma non funzionò. Tornai in Italia e alla fine completai tutto. I dischi arrivano un po´ loro, e per chi ha tanta roba alle spalle, significa sempre anche fare i conti col passato, da una parte sei fortunato ad averlo, d´altra parte ti schiaccia. Questi sono stati anni antologici, ma ora è finita, farò un disco "nuovo"». Non ci sarà di mezzo anche un senso di sgomento rispetto alla difficoltà di interpretare un presente così confuso? «Certamente, anche perché chi fa arte popolare è un´antenna sensoriale, e i segnali captati sono sempre più strani, non si sa bene cosa raccontare, questa è un´epoca che non ti racconta niente, in cui siamo tutti un po´ lessati, non ci sono neanche grandi contrapposizioni. Sì, è vero lo sgomento c´è, uno sgomento un po´ vile, forse, ma siamo anche invecchiati, e le rivoluzioni si fanno da giovani. È un´epoca sbiadita, d´accatto, anche i nemici, non sono grandi nemici, è tutto più piccolo. Il mondo non è assolutamente diventato quello che si pensava negli anni Sessanta e Settanta, è più bruttarello, c´è un´infelicità sparsa». Quello che sta dicendo non sarebbe in sé un formidabile tema da raccontare? «Sì, forse sì, anche perché è vero che la musica per me è stata un riscatto, mi ha salvato. Anche adesso in questa nebbiolina un po´ puzzolente e verdognola, mi capita la mattina di mettermi lì da solo e suonare, è una medicina, suono di tutto, canzoni di altri, o cose nuove, insomma faccio un concerto per me stesso. Provo a essere il musicista che non sono. Di sicuro ho voglia di progetti, e di sentirmi fuori dalla pressioni numeriche, i passaggi in radio e tutti i rituali ormai logori. Anche perché penso che un veterano non si possa mettere a combattere col pezzo da classifica, magari anche perché non sei più adatto, non sai neanche più sparare con quella pistola. La sfida con se stessi e col pubblico è a colpi di progetto, di architetture, e per fare questo ci vuole più tempo, quando hai fatto cinquecento canzoni non puoi uscire con la cinquecentounesima che è il surrogato di tutte quelle che hai fatto prima. Vorrei riscoprire un senso di mistero e di sorpresa». Come inizierà il concerto del 25 dicembre? «Bella domanda. Sarà difficile evitare un pezzo come Notte di Natale, ma all´inizio non lo so, mi muoverò molto, come i posteggiatori, andrò a cantare anche in diversi settori della platea, ma forse per aprire, la canzone migliore è proprio Strada facendo, come dire: questo è un altro pezzo di strada che possiamo far insieme, né il prima né il dopo, il durante».