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 2011  ottobre 09 Domenica calendario

Te lo leggo negli occhi. E poi ti curo col fango sulla pancia - Ti legge ne­gli occhi il tuo stato di salute, ma non vuole essere chiamato iridologo: «Non si fanno dia­gnosi con l’iridolo­gia

Te lo leggo negli occhi. E poi ti curo col fango sulla pancia - Ti legge ne­gli occhi il tuo stato di salute, ma non vuole essere chiamato iridologo: «Non si fanno dia­gnosi con l’iridolo­gia. L’iride può solo dare informazioni sullo stato degli organi e sulle malattie pregresse, svelare eccessi e carenze».È un profeta della medicina na­­turale, ma guai a dargli del naturopata: «Per carità! È un’etichetta omnibus che è stata adattata alle più diverse discipline, dall’agopuntura alla riflessologia, dal­l’omeopatia allo shiatsu, dall’ayurveda al­la chiropratica ». Sa di medicina, ma non è un medico:«Anzi,io stesso,quando ce n’è bisogno, esorto i potenziali pazienti a rivol­gersi ai camici bianchi, nonostante la pre­fazione del mio ultimo libro, Dalla natu­ra. La salute alla portata di tutti , abbia vo­luto farmela una chirurga, Albarosa Maz­zi ».Non è un guaritore,ma in 40 anni alme­no 30.000 italiani, conquistati da un passa­parola sotterraneo e incessante, hanno se­guit­o i suoi consigli di vita e sconfitto le ma­lattie più disparate, dal cancro all’infertili­tà: «Mi limito alle consulenze igienistiche e alle conferenze. M’hanno chiamato la Regione Lazio, Comuni, scuole di ogni or­dine e grado». Non è un santone, ma pa­dre Gianni Sgreva, un passionista laurea­to in teologia e scienze patristiche che ha fondato la comunità Oasi della pace sotto il monte delle apparizioni di Medjugorje, l’ha chiamato a tenere lezione ai suoi con­­fratelli riuniti a Passo Corese, fra Roma e Rieti: «In due giorni ho parlato per 15 ore a 62 fra preti e suore, due delle quali faceva­no il medico, una in una clinica olandese e l’altra a Pavia. Sulla lavagna ho schematiz­zato gli elementi senza i quali non può es­­serci la salute: natura, corpo, mente, spiri­to. Padre Sgreva mi ha detto: “Provi a capo­volgerla”. Aveva ragione lui: lo spirito va messo sopra, governa tutto. Per stare be­ne, non puoi prescindere da quello». Ma allora chi è Armido Chiomento, 76 anni compiuti ieri, veneto schivo e serafi­co abitante a Musile di Piave ma vissuto fra Bolzano, Roma, Oristano, Cagliari, To­rino e Verona, ex allievo dell’Opera sale­siana Pio XI nella capitale, laureato in scienze politiche nel capoluogo piemon­tese con una tesi sull’assenteismo, diri­gente dell’Azienda di Sta­to per i servizi telefonici che nel 1990 smise d’occu­parsi di ponti radio e andò in pensione perché senti­va di doversi occupare a tempo pieno dell’umanità sofferente? Lui si definisce un naturoigienista e per dieci anni è stato presiden­te dell’Acnin (Associazio­ne culturale nazionale di­scipline igienistiche natu­rali). I suoi seguaci ritrova­no il benessere con impia­stri di fango su visceri e genitali, con ablu­zioni fredde su tutto il corpo, con diete dis­sociate che impongono di non combina­re mai carn­e e formaggi o formaggi e pata­te o patate e cereali o cereali e yogurt, con draconiane classificazioni degli alimenti che considerano «tossici» latte, legumi secchi e verdure bollite e addirittura «iper­tossici » carne, pesce, tè, caffè, cioccolato, alcolici e zucchero raffinato. Per loro è l’erede spirituale di Luigi Costacurta, ca­postipite del naturoigienismo, un trevi­giano razza Piave, nato nel 1921 a Cone­gliano, soprannominato «il medico delle mele»,perché consigliava una dieta depu­rativa di otto giorni incentrata sul frutto più simbolico del paradiso terrestre. Costacurta morì nel 1991, dopo aver cre­ato a Trento, grazie all’appoggio di due po­­litici locali ai quali aveva restituito la salu­te, l’Accademia nazionale di scienze igie­nistiche naturali Galileo Galilei. Dalla qua­le però il troppo ortodosso Chiomento è presto uscito, non condividendone le mo­dalità operative. Così come, in preceden­za, aveva separato i suoi destini da quelli della Federazione naturista, essendosi ac­corto che agli iscritti interessava più il nu­dismo che non la promozione dei valori sa­lutistici. Insomma, un duro e puro. Che nell’albero genealogico della vis medica­trix naturae , la forza risanatrice della natu­ra individuata 2.400 anni fa da Ippocrate come potere di autoguarigione innato in tutti gli esseri viventi, lo colloca dopo i tede­schi Sebastian Kneipp ( 1821-1897), Louis Kuhne (1835-1901)e padre Taddeo di Wie­sent ( 1858-1926), e il cileno Manuel Lezae­ta Acharán (1881-1959). Kneipp è l’abate dalle ci­glia cispose che compa­re sull’etichetta del­l’omonimo malto? «Esatto. Voleva diventare prete, ma la tubercolosi lo frenava negli studi. Finché non gli capitò fra le mani il libretto di un medico tede­sco del Seicento sulla forza guaritrice dell’acqua.Com­prese così che la salute di­pende dalla reazione della pelle. Perciò correva per 40 minuti, poi si spogliava e si gettava nel Da­nubio gelato, quindi riprendeva la corsa. In sei mesi la Tbc scomparve». E Kunhe chi era? «Un medico di Lipsia, che non riusciva a curare il padre colpito da tumore allo sto­maco. Alla fine giunse alla conclusione che tutte le malattie nascono da una feb­bre del tratto gastrointestinale». E padre Taddeo di Wiesent? «Era un cappuccino, missionario in Ame­rica Latina. Sviluppò un concetto genia­le: l’equilibrio termico di Wiesent. Ma­nuel Lezaeta Acharán ricorse ai suoi con­sigli perché era affetto da una sifilide che non riusciva a debellare in alcun modo». Che faceva Lezaeta Acharán nella vi­ta? «Dapprima voleva diventare medico e poi avvocato, ma la malattia venerea lo co­strinse a interrompere gli studi. Padre Taddeo lo guarì. E lui sistematizzò la dot­trina termica del frate, mettendo in rela­zione le abluzioni fredde di Kneipp con la febbre intestinale di Kunhe. Quindi ba­gni russi, cioè sauna del corpo a eccezio­ne della testa, poi doccia fredda, poi anco­ra vapori caldi. Lezaeta Acharán lo chia­mava “ lavaggio del sangue”». A che serve? «Ha presente il principio dei vasi comuni­canti? Noi abbiamo una circolazione in­terna, a livello viscerale, e una periferica, a livello cutaneo. Se lei mangia male, che succede? Per risolvere i problemi digesti­vi, il sangue deve affluire tutto nello stoma­co, a scapito di altri organi. Con la vasodila­tazione e la vasocostrizione si ripristina l’equilibrio termico. Lezaeta Acharán ci aggiunse i cataplasmi di terra sulla pancia che assorbono e dissipano all’esterno il ca­lore intestinale tanto temuto da Kunhe». Temuto perché? «Secondo lei perché i testicoli sono ester­ni, mentre le ovaie sono interne? Perché hanno bisogno di non superare una certa temperatura, tant’è vero che si imputa al loro eccessivo surriscaldamento, dovuto a slip e jeans troppo stretti, il vistoso calo di quantità e qualità degli spermatozoi nelle nuove generazioni. Ora la digestio­ne altro non è che una fermentazione, che deve avvenire a 37 gradi. Ma se lei so­vraccarica l’apparato digerente, asso­ciando alimenti sbagliati o eccedendo nel mangiare, la temperatura interna sale a 40-42 gradi e in tal modo i microrgani­smi si trasformano in microbatteri». Gliel’ha insegnato Costacurta? «Costacurta mi ha cambiato la vita. Era un capofficina della Zanussi, che fu man­dato per lavoro in Cile. Là conobbe Lezae­ta Acharán. Un solo incontro, di un paio d’ore. Chiedergli aiuto perché sua moglie non riusciva a rimanere incinta e diventa­re suo discepolo fu tutt’uno. Ha avuto il merito di riordinare la disciplina alimen­tare del naturalista cileno». Mi faccia qualche esempio concreto. «Si dice che la digestione comincia in boc­ca. Bene. Se io mangio un amido, gli spa­ghetti per esempio, già in bocca produco vari enzimi,fra cui la ptialina, che trasfor­ma l’amido in maltosio. Ma se sulla pasta ci metto il pomodoro, che contiene acidi organici, inibisco la secrezione della ptia­lina. Quindi niente maltosio, che nel duo­deno non potrà perciò essere scisso dalla maltasi, un altro enzima deputato a tra­sformare l’amido in glucosio. Risultato: digestione rallentata». Sta ricusando la pasta al pomodoro, uno dei cardini della dieta mediterra­nea, si rende conto? «La caprese, proposta come modello di leggerezza, è ancora peggio. Mozzarella e pomodoro affettati. La caseina, che è la proteina del formaggio, va digerita nello stomaco. Ma lì incontra l’acido cloridri­co, che la aggredisce. Così la caseina ten­de a rapprendersi. Se ci aggiungo anche gli acidi organici del pomo­doro, la impacchetto defini­tivamente. Mangio la ca­prese per cena e al mattino alle 5 ho ancora la mozza­rella nello stomaco. Perciò niente formaggio in tavola alla sera. La Scuola medica salernitana raccomanda­va: “Il cacio è buono, ma dallo con mano avara”». Si può ripiegare su pro­sciutto crudo e melone? «No. La frutta ha la partico­larità d’essere subito assi­milata dai villi intestinali, ma se ci unisco la proteina del prosciutto ritardo la dige­stione del melone, lo zucchero fermenta e aumenta la temperatura interna». E allora che cosa mettere sotto i denti dopo il tramonto? «Mai la pastasciutta. Dicono che concilia il sonno. Sa perché? Da ragazzino io face­vo la colla mescolando farina e acqua. Per la pasta è uguale: l’amido mi fa diventare il sangue colloso, il microcircolo rallenta e andando avanti con gli anni finisce che ti addormenti pure di giorno». Meglio una bella macedonia. «Neppure. Il transito intestinale della frut­ta dipende dal grado zuccherino. Solo quella acida, tipo arance, limoni, pompel­mi, kiwi, ananas e ribes, può essere me­scolata. La frutta dolce no. Se lei mangia una pesca, deve lasciar passare un’ora pri­ma d’ingerire una pera o una banana». Che altro ha messo al bando? «Il latte, benché i miei genitori fossero commercianti di prodotti caseari. Quale mammifero in natura beve il latte da adul­to? Di un’altra specie animale, per di più. E comunque, se proprio tocca, mai i latti­cini con la carne. Inoltre centellinare le proteine. Nella loro digestione, il sotto­prodotto è rappresentato dall’urea pre­sente nel sangue e nell’urina, che va elimi­nata dai reni. Se esageriamo, subentra la cristallizzazione dell’acido urico: ecco i calcoli renali e le malattie articolari. Per­sonalmente sono 40 anni che non man­gio né carne né pesce. Ma senza fanati­smi. Scendendo dal monte Pelmo, al rifu­gio Venezia mi hanno offerto una fetta di salame e non mi sono tirato indietro». Mi tolga una curiosità: oggi che cos’ha mangiato per colazione? «Un ottimo succo di pesca preparato con le mie mani. A mezzogiorno un’insalata mista e un risotto vegetale». Converrà che due spaghetti con le von­gole sono preferibili. «Provi con l’alga wakame. Stesso sapore». Scusi, ma lei è laureato in scienze poli­tiche. Quali competenze ha per di­spensare suggerimenti dietetici? «Non mi sono mai sostituito ai medici, so­prattutto in presenza di patologie serie. “ I chiodi vanno lasciati agli altri”, mi racco­mandava Costacurta. Però la medicina si studia anche fuori dalle facoltà universita­rie. L’anatomia è una sola. Ma la fisiologia è relativa, si può vedere con altri occhi. Se una malattia non è prodotta dalla geneti­ca o da un trauma, significa che è funzio­nale e in quel caso è l’organismo stesso, non il medico, che deve curarla. Ippocra­te diceva: “Primum non nocere”, per pri­ma cosa non nuocere. Per tornare all’equi­librio termico, posso dimostrarle che se lei ha 36,8 di temperatura e mangia una mela, il termometro sale a 37,1. Ma se lei prende la mela centrifugata, la temperatu­ra resta 36,8, perché non ha fatto lavorare l’apparato digerente. Del resto che cosa fa il cane quando sta male? Non tocca cibo e aspetta. Purtroppo nell’uomo non c’è più istinto. La razionalità ha avuto il soprav­vento. Dal cervello rettiliano, che ci guida­va solo alla sopravvivenza, siamo passati a quello emotivo e poi a quello razionale. Abbiamo sostituito Dio con la scienza». Ha mai avuto a che fare con i medici? «Certo, e ho grande considerazione per il loro lavoro, perché di fronte a un disturbo congenito non c’è stile di vita che tenga: serve la medicina ufficiale, serve la chimi­ca. Una volta mi hanno anche diagnosti­cato un carcinoma polmonare. Ho capito che mi sarei dovuto separare dai miei due figli. Ho meditato sugli errori commessi e ho chiesto perdono al Padreterno. Ho vis­suto quel primo giorno di ricovero ospe­daliero in un silenzio assoluto, isolato dai compagni di stanza. Credo d’aver conosciuto la vera pace. Alla sera è arrivato un medico e s’è scusato: “Abbiamo sbagliato, l’esa­me radiologico riguarda un altro paziente”.Ho pro­vato un senso di liberazio­ne, ma senza alcuna gioia: il mio pensiero è andato a chi stava per ricevere l’in­fausto verdetto». Non ha la sensazione che nella nostra epoca siano più le persone che stan­no male di quelle che stanno bene? «Sempre. La vita media s’è allungata, ma viviamo da ammalati. Costacurta ritene­va che tutti i nati dopo la seconda guerra mondiale avessero il sistema vegetativo alterato. Un portato del benessere». C’è una cosa che non bisogna fare mai, se si vuole campare fino a 100 anni? «Mangiare troppo e in modo disordina­to ». E una cosa da fare invece tutti i giorni? «Controllare se la pelle lavora. Una perso­na magra che non suda deve considerare seriamente la possibilità d’essere mala­ta ».