Sebastiano Grasso, Corriere della Sera 18/9/2011, 18 settembre 2011
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Francia
«Toulouse-Lautrec era piccolo piccolo, nero nero — ha scritto Thadée Natanson, cofondatore della rivista d’avanguardia La revue blanche, cui l’artista collaborava —
«Toulouse-Lautrec era piccolo piccolo, nero nero — ha scritto Thadée Natanson, cofondatore della rivista d’avanguardia La revue blanche, cui l’artista collaborava —. Dava più l’impressione di un nano in quanto il busto, che era quello di un uomo, e la grossa testa sembravano aver schiacciato con il loro peso quel poco di gambe che divergevano dal di sotto. Aveva anche il gusto di mascherarsi con smorfie feroci, come quelle che sapeva s’inventano gli attori del teatro giapponese». E già; perché il conte Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901) ha attinto a piene mani alla gestualità asiatica, alla «febbre orientale» che, verso il 1860, in coincidenza con le grandi esposizioni universali, si diffuse in tutt’Europa. Allora nacque il termine «giapponismo»: voleva analizzare e spiegare gli influssi che il mondo orientale — soprattutto Cina e Giappone — esercitavano sull’arte e sulla cultura europee. La «moda», partita dalle esposizioni del 1851 e del 1862 di Londra, si era, poi, radicata a Parigi con quelle del 1876, del 1878 e del 1889. Così l’Europa fin de siècle si tuffa nei laghetti giapponesi, sogna nelle case dei tetti ricurvi, si fa fresco coi ventagli dai fiori di mandorlo, impara a conoscere la gestualità del corpo, il simbolismo di animali e piante (la tigre, simbolo della notte; il corvo, messaggero divino; la carpa, simbolo di vitalità), il culto degli spiriti, le leggende del gallo simbolo della pace. L’arte del Sol Levante influisce anche sulla cartellonistica (valga per tutti il caso di Jules Chéret). Art Nouveau, Jugendstil, Simbolismo attingono a piene mani ai modelli nipponici. «L’influenza del giapponismo era idonea a liberarci dalla nera tradizione e mostrarci la luminosa bellezza della natura — annota Emile Zola —. È come una goccia di sangue mescolata al nostro, che nessuna forza del mondo potrà disgiungere» incalza Samuel Bing. Toulouse-Lautrec è in buona compagnia. Ecco Manet e la sua «struttura piana»; Degas e i volumi del Manga, i movimenti e gli atteggiamenti ripresi dalla tradizione dell’Estremo Oriente; van Gogh e la gioia elementare delle figure di Kesai Yeisen; Gauguin e la tecnica Ishizuri. E così via. Si veda questa mostra alla Fondazione Magnani Rocca, per rendersene conto: dipinti (i personaggi di Toulouse-Lautrec accostati ai paesaggi di Monet, Renoir, Cézanne) e l’intero corpus dei manifesti (a confronto con quelli di Utamaro, Hiroshige e Hokusai), documenti di prim’ordine della vita nella Parigi Belle Epoque. I lavori coprono quasi l’intero arco creativo dell’artista. Straordinario testimone del proprio tempo, l’aristocratico pittore si scrolla di dosso il pompierismo delle accademie, prende le distanze dall’Impressionismo, indica la strada all’Art Nouveau. Gli piace Degas, ammira l’arabesco lineare di Ingres e, appunto, la linea continua e di colore compatto delle stampe giapponesi. Attorno a lui, il movimento dei Nabis (Denis, Vuillard, Sérusier, Bonnard), il divisionismo di Seurat e di Signac, i fermenti nati attorno all’Esposizione universale parigina del 1889 (anno dell’apertura del Moulin Rouge), il suicidio di van Gogh nel 1860, la fuga di Gauguin a Tahiti nel 1891, le bombe anarchiche contro il governo. Toulouse-Lautrec vive pochi anni (quasi 37) ma in maniera intensa. Lavora moltissimo. Gli si attribuiscono 737 tele, 275 acquerelli, 368 affiches e 4784 disegni, oltre a opere perdute o distrutte. Nato in una famiglia dell’aristocrazia di provincia (ad Albi, a circa 80 chilometri da Tolosa) finisce col rifiutarla, ereditandone, però, la maniera di porsi dinanzi al mondo. Nasce così quel suo distacco, un senso di superiorità utile per difendersi dalle derisioni che patisce per il suo handicap. Distacco che conserva anche nei riguardi dell’arte e che lo fa stare in uno stato di sfida perenne col mondo. Atteggiamento che conserva anche nei riguardi dell’amore. Dalla relazione con Suzanne Valadon nasce un bambino (Maurice Utrillo: dal nome del padre adottivo). Inutilmente, per tutelare il nome di famiglia, il padre Alfonso cerca di fargli usare uno pseudonimo. Lo «scapestrato» Toulouse-Lautrec resta sovrano di café concert, «saloni criminali» dell’avanguardia — come qualcuno li chiama — di ristoranti e di bordelli. L’iconografia della Belle Epoque rappresenta libertà individuali, felicità e spensieratezza: l’altra faccia di sfruttamento e povertà. Diari minimi dell’esistenza, li avrebbe chiamati Testori. E Montmartre diventa solo un grandissimo teatro per recite a soggetto, una sorta di commedia dell’arte in cui, alla fine, l’esistenza è governata dalla disperazione. E la Belle Epoque non è altro che una parata di retorica.