Varie, 25 agosto 2011
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Barth John
• Cambridge (Stati Uniti) 27 maggio 1930. Scrittore • «[...] uno scrittore talmente amato dai suoi lettori da assistere alla creazione di una confraternita a lui esclusivamente dedicata [...] oggetto di un proselitismo tanto accanito da spingersi fino alla vendita di autoadesivi per paraurti con la sua immagine, o alla richiesta dell’istituzione di un “John Barth Day” (ovvero un giorno interamente dedicato al suo culto). In realtà questa autentica “barthomania” va collocata negli anni Sessanta e Settanta. In quel periodo, gli Stati Uniti videro l’affermarsi di un gruppo di romanzieri i quali, pur senza formare una scuola, erano caratterizzati da alcuni tratti comuni. È stato Barth stesso a indicare tali requisiti in un affabulazione ironica e piena di humour nero, in un forte intellettualismo (talvolta accademico), e infine in una densità ora bizantina ora barocca. I nomi più celebri di questa compagnia erano quelli di Donald Barthelme, William Gaddis, Thomas Pynchon e Kurt Vonnegut. Con simili compagni di strada (più tardi soppiantati da Raymond Carver e dai suoi successori “minimalisti”), Barth imboccò una carriera che, pur lasciandolo ai margini della notorietà internazionale, lo ha reso comunque uno dei maggiori scrittori viventi. [...]» (Valerio Magrelli, “la Repubblica” 7/8/2010) • «A metà del secolo scorso, quando ero uno studente universitario di vent’anni e cercavo di “trovare la mia voce” di narratore alle prime armi, le principali stelle che mi indicarono la rotta furono i modernisti da un lato (in particolare James Joyce, Franz Kafka e William Faulkner) e dall’altro la grande tradizione della narrativa orale, rappresentata dalle Mille e una notte e dalle sue numerose derivazioni europee [...]. Ero iscritto, presso la Johns Hopkins, a uno dei primi corsi di scrittura creativa in America che garantisse un diploma universitario, e dato che le opere degli scrittori viventi o morti da poco non erano in programma nei tradizionali dipartimenti di letteratura, fu nel nostro corso di scrittura che studiai Hemingway, Faulkner, Joyce, Mann, Proust e Kafka. Nel frattempo, per contribuire a ripagarmi la retta, lavoravo come inserviente nella biblioteca dell’università: in particolar modo nelle nicchie che ospitavano i classici greci e romani, adiacenti agli scaffali di letteratura medievale e rinascimentale, e di letteratura sanscrita e del Vicino Oriente. Come è facile immaginare, sfogliavo parecchio i volumi che dovevo rimettere a posto, e fu così che scoprii non solo il Satyricon di Petronio, le Metamorfosi di Ovidio, il grande ciclo sanscrito dell’Oceano del fiume dei racconti e le Mille e una notte di Sheherazade, ma anche i cicli di racconti europei ad essi ispirati: il Decamerone di Boccaccio, il Pentamerone o Cunto de li cunti di Giambattista Basile, l’Eptamerone di Margherita di Navarra, le satire di Pietro Aretino e Le piacevoli notti di Straparola [...]» (Mille grazie, Italia!, traduzione di Martina Testa).