Guido Biondi, il Fatto Quotidiano 23/8/2011, 23 agosto 2011
IO SUONO, TU PAGHI: IL DJ È COME MESSI
Let’s Dance”, l’imperativo lanciato da David Bowie nel 1983, era firmato da Nile Rodgres degli Chic, precursori assoluti della discomusic nel boom degli anni ‘70, i tempi d’oro dello Studio 54 di New York e del successo della Febbre del sabato sera. Si dice che in tempi di crisi gli artisti cerchino la leggerezza del ritmo per un pubblico che ha bisogno di distrazione e spensieratezza. E infatti da un paio d’anni grandi nomi del business musicale (Black Eyed Peas, U2) sono in coda alla corte del francese David Guetta, produttore e dj di fama mondiale con il “tocco” magico per trasformare radici hip hop, rock e latine in dance e groove dal successo facile. Anche i Killers si erano affidati a Stuart Price, altro genietto promosso da Madonna a mega produttore dance. Questa nuova tendenza ha trasformato i dj in vere rockstar, che prendono cachet oscillanti tra i 30mila e i 200mila euro a serata. Eppure il settore della musica da ballo è in crisi da tempo. Non deve stupire, quindi, che molti gestori siano pronti a vendere per un piatto di lenticchie. Resiste solo chi investe nella cosiddetta “club culture” ovvero strutturare il proprio locale con una serie di appuntamenti e una politica di innovazione che prevede concerti, dj set internazionali ed eventi culturali. Il giornalista Damir Ivic sta preparando un libro sui club italiani assieme al collega Christian Zingales. Sulle nuove tendenze dice: “I locali da ballo, da un certo momento in avanti, hanno pensato a incamerare guadagno non a rinnovarsi e a interrogarsi sulla propria valenza culturale, sul fatto che una discoteca dovrebbe essere prima di tutto un luogo di elaborazione di ‘strategie creative’ e non un posto dove macinare ingressi e consumazioni. Sono molto contento che siano in crisi. La discoteca così come era fino agli anni ‘90 si sta eliminando da sola. Ora è più forte una scena di club, cioè di posti con un indirizzo musicale molto più mirato e meditato: la house commerciale registra un decimo del fatturato di un tempo”. I dj sono super pagati: come fanno i club a rientrare delle spese? “In Italia siamo sempre stati degli allocchi, perché strapaghiamo i dj rispetto alle cifre che prendono da altre parti. Villalobos, famosissimo, chiede 25mila euro ma se una situazione gli piace va volentieri a suonare anche per 300 euro”.
UN RAPIDO calcolo: per recuperare un cachet di 25mila euro un locale con una capienza di mille persone chiede un biglietto di 30 euro a testa. Siamo già a quota 300mila euro d’incasso, e si guadagna pure. Sulla carta i locali più “forti” in Italia sono due: il Muretto di Jesolo, fino a 7mila biglietti venduti in una serata, e il Cocoricò di Riccione, 4-5mila ingressi al giorno. Parlando dei cachet da rockstar, eccone alcuni: Aphex Twin 50mila, Chemical Brothers 110mila per il dj set e 200mila per il live, Fatboy Slim 150mila (ha appena suonato all’ElectroVenice di Mestre), Paul Kalkbrenner 100mila. Tra gli italiani le star a livello internazionale sono Marco Carola (40mila euro) e i Crookers (30mila), mentre i vecchi leoni della consolle faticano ad arrivare a 5-7mila euro. Resistono i club storici. Come il Plastic di Milano – grazie alla sua serata chiamata “Bordello”, in cui travestiti s’improvvisano cantanti di oscure b-side di 45 giri italiani – e alla sala principale gestita da Nicola Guiducci, tra post-punk, electro e colonne sonore di Almodovar. Ci sono ancora isole felici in Italia? “In Veneto c’è il caso di Altavoz – racconta Ivic – è un esperimento che va avanti da un lustro con risultati eclatanti. Si sono trapiantate nei centri sociali le dinamiche dei club più grandi. Il tutto per portare la gente dove ci sono slogan anticapitalisti ai muri, senza diva-netti e privè. L’appuntamento al Rivolta di Marghera attira ogni mese circa 4mila persone. Altri fermenti ci sono a Roma, con il Rashomon, la Saponeria e la Room 26, e a Milano, con il Tunnel e i Magazzini generali. Il Cocoricò di Riccione è un’oasi perché puoi fare quello che vuoi: ha avuto per primo l’idea di montare una consolle nel bagno delle donne”. Di certo è, assieme al “Bordello” del Plastic, la proposta più divertente della penisola. Ma tornerà mai lo spirito del pionieristico Studio 54? Ivic risponde: “Sta già tornando, se intendiamo il rallentamento del ritmo e l’impegno a una ricerca musicale. Magari non in luoghi canonici: l’evento itinerante ‘Fiesta Privada’ raduna migliaia di persone in un luogo all’aperto dalle 10 del mattino. E poi c’è il Moxa di Mantova, che in tempi non sospetti ha puntato sulla house storica, quella americana, mentre tutti si stavano prendendo la sbornia per la tech-house berlinese. In più ha cercato una clientela di 30/40enni: oggi si riempie come un uovo ogni sera”. Una persona che ha capito e veicolato la club culture in Italia è Giancarlo Soresina, patron dei Magazzini generali dal 1995 al 2005 ed ex direttore artistico del Rolling Stone di Milano: “Ho ideato i Magazzini perché volevo un posto trasversale dove vi fossero eventi che facessero anche pensare, come una mostra d’arte contemporanea sulla spazzatura. Oggi c’è mancanza di idee: il ballo non mi pare un collante ma l’unico scopo, fine a se stesso. Se non produci cultura devi aspettarti un pubblico che cerca lo sballo”.
PERCHÉ oggi bisogna aspettare le due per l’esibizione di un dj? Non sarebbe una buona idea creare disco pub dove dalle sette di sera si riesca a unire aperitivo, cena, dopocena e ballo? “Potrebbe essere un’ottima idea. La base di partenza può essere anche un bar, non necessariamente un locale da mille persone”. Non va meglio nella culla per eccellenza della club culture estiva, Ibiza. Negli ultimi anni i proprietari dei club famosi (Pacha, Privilege, Space) hanno attaccato i luoghi dove si univano spiaggia, drink e buona musica. La cultura hippy dell’isola sta per cedere il passo allo sfruttamento del turista usa e getta, che spende minimo 50 euro per passare la notte in un locale riempito fino all’ultimo spazio. Il futuro, parafrasando la canzone dei Radiohead “Packt Like Sardines In A Crushd Tin Box”, sembra questo: pagare per stare in una scatola di sardine. Buon divertimento.