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 2011  agosto 04 Giovedì calendario

CECHOV, IRONIA E DOLCEZZE PER OLGA: «AMAMI O SPOSERO’ UN MILLEPIEDI»

«Se me lo permette, prendo la sua mano nella mia, e le auguro tutto il meglio» : come la maggioranza degli uomini, Anton Cechov non ha ancora capito che, per la verità, è lui a essere stato già catturato dalla mano morbida e lieve di quella giovane attrice, Olga Knipper, appena conosciuta con l’involontaria complicità de Lo zar Fëdor Ioannovic, scritto dal drammaturgo Aleksej Konstantinovic Tolstoj, al Teatro d’Arte di Mosca. Quasi 39enne, alla vigilia del 1900, e ancora poco incline ai legami stabili, Cechov è uno scrittore di successo e un medico di formazione, che cerca di ignorare i sintomi della sua tubercolosi, viaggia parecchio e si difende con fughe strategiche dalle lacrimose lettere di un’ex amante, Lika Mizinova, e dalle avances di una nuova aspirante al ruolo, Nadia Ternovskaya, figlia di un pope di Yalta. Olga è l’attrice prescelta per interpretare nei mesi successivi la parte di Arkadina ne Il gabbiano, ed è del tutto naturale che l’autore la voglia vedere all’opera; attento, fin troppo attento, a ogni gesto, parola, intonazione della protagonista. La cui voce gli pare sublime. Non solo a lui: l’insuccesso del suo dramma, due anni prima a Pietroburgo, non si ripeterà a Mosca, grazie anche al talento di Olga. Ma non è per parlarle di lavoro che Anton rompe gli indugi il 16 giugno del 1899, e le scrive qualche riga scherzosa, approfittando dell’amicizia nata tra l’attrice e sua sorella Maria: «Che sta succedendo? Dove si trova? Pare tanto decisa a non mandarci sue notizie che già iniziamo a supporre che, forse, si sia già scordata di noi e che si sia sposata con qualcuno nel Caucaso. Se è così, di chi si tratta? Abbandonerà il teatro? Lo scrittore è stato dimenticato, che orrore, che crudele, che impietoso!» . Che ingenuo, piuttosto. In pochi giorni, Olga gli risponde, ed è chiaro che non soltanto non ha sposato un caucasico, ma stava aspettando a piè fermo un cenno dal drammaturgo: «Ero io a credere che lo scrittore Cechov si fosse dimenticato dell’attrice Knipper. Così ogni tanto si ricorda? La ringrazio» . Ironica e compiaciuta, la giovane donna si dilunga sui piaceri della sua ultima lettura: Zio Vanja, guarda caso; perché ancora una volta sarà lei a portare in scena una delle eroine di Cechov, Elena. Lascia cadere la proposta di un viaggio assieme, anche se ovviamente non da soli, da Batumi, sulle sponde del Mar Nero, a Yalta. Quindi si congeda da lui con amichevole cortesia: «Le stringo la mano» , quella che Anton ancora non sa di averle ormai consegnato per sempre, mentre organizza entusiasta la partenza con Olga. Si scriveranno e si ameranno fino alla morte dello scrittore, appena cinque anni dopo. Anzi, oltre: Olga non smette di indirizzargli missive anche dopo aver portato alle labbra di Cechov, divenuto suo marito, l’ultima coppa di champagne prima dell’addio. Dovrà vivere altri 55 anni senza di lui. Continuando a percepirne la testa, vicino al suo collo: «E mentre ti scrivo, sento che sei vivo, da qualche parte, mentre aspetti la mia lettera. Carissimo, caro mio, lascia che ti dica alcune parole di tenerezza, lasciami toccare i tuoi soffici e setosi capelli, e guardare i tuoi begli occhi brillanti e teneri» . Le lettere che non verranno mai spedite e che non otterranno mai risposta ritrovano gli slanci struggenti dei primi tempi, quando nemmeno le abituali emicranie frenavano la penna di Olga e le sue torrenziali informazioni di vita quotidiana. «La annoio, signor scrittore, vero? — si preoccupava all’inizio o fingeva di preoccuparsi, civettando —. Se ne ha voglia, mi scriva una breve lettera, una tenera; altrimenti non mi scriva niente di niente» . Figurarsi. Cechov teme soltanto che quella fitta corrispondenza con la sua «cara, bellissima attrice» possa improvvisamente interrompersi: «Non dimentichi lo scrittore, non mi dimentichi. Altrimenti mi annegherò o mi sposerò con un millepiedi» . Invece, nonostante molte titubanze e a condizione di una cerimonia semplicissima con i soli testimoni, il 25 maggio 1901 convola a giuste nozze con la sua attrice preferita. Il teatro, che gliela aveva regalata, però gliela toglierà spesso nei pochi anni di matrimonio che la malattia concede loro. «Questa notte ti ho visto nei miei sogni. Però non posso sapere quando ti vedrò in carne ossa — scrive nel gennaio del 1902 alla diva impegnata a Mosca —. Adesso l’opera di Gorki, e poi sarà un’altra. Così è questo il mio destino» . Olga è distante, ma sempre innamorata e ha bisogno dei consigli del suo «Antoncik» , della cui salute non smette di preoccuparsi. Non abbastanza, forse. Pochi anni dopo rimpiangerà il tempo speso lontano da lui: «Io credevo che tu e io avremmo vissuto molto, molto tempo uniti — gli confesserà quando lui non ci sarà più —. Il teatro, il teatro... non so se amarlo o maledirlo» . Ma sì, lo sa: «Incluso ora, chissà se abbandonerei la scena» . Nessuno, come Cechov, avrebbe potuto capirlameglio.
Elisabetta Rosaspina