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 2011  giugno 25 Sabato calendario

UN RIFUGIO PER DUE: «NELLE NOSTRE CAMERE COME SUL WAGON-LIT»

Raccontano che la sera, quando vanno a dormire nelle loro camerette una sopra l’ altra, sognano di viaggiare nei vagoni dell’ Orient Express. E in effetti le due stanze da letto di Paolo Portoghesi e di Giovanna Massobrio, architetti e studiosi, non sono molto più grandi di un wagon-lit. In compenso hanno entrambe una magnifica vista, che spazia da piazza in Piscinula ai platani centenari del lungotevere e più in là fino al ponte Sublicio e ai fabbricati dell’ Isola Tiberina, che galleggia in mezzo al fiume. Il tutto attraverso una sola finestra, che illumina anche una terza stanza adibita a studiolo. Come è stato possibile ricavare tre camere con vista da un’ unica stanza? La magia si deve all’ abilità di Giovanna, che in una sorta di furia gioiosa ha trasformato completamente, nel giro di appena tre mesi, il vecchio e malandato appartamento - poco più di cento metri quadri - acquistato nel cuore di Trastevere. Una sorta di seconda casa all’ inverso: i Portoghesi abitano stabilmente in campagna, a Calcata; ma ogni tanto si prendono una vacanza e vengono a passare qualche giorno in città. «Volevo sistemare l’ appartamento in tempo per il compleanno di Paolo - racconta Giovanna -. Così partivo ogni mattina alle cinque da Calcata, con un camion carico di operai e tornavo la sera al tramonto. Nel mese di agosto, quando tutti erano in vacanza, ho coinvolto intere famiglie di filippini a scartavetrare i muri, fino a che non abbiamo ritrovato le tracce delle tinte originali del Settecento». Un imbianchino con il talento di un artista li ha aiutati a rifare i colori antichi, il rosa salmone e l’ azzurro turchese, passati come si usava una volta, con fasce a contrasto dipinte fino a una certa altezza dal pavimento per creare una specie di lambris. E velati con una finitura in sapone di Marsiglia, per dare una patina vellutata, simile al marmorino veneziano ma senza l’ effetto lucido. La casa aveva solo tre stanze e neppure tanto grandi. Ma dotate di un’ altezza vertiginosa: quasi cinque metri. Così i Portoghesi hanno diviso a metà una delle camere con una parete, e poi hanno diviso la prima metà della camera ancora in due parti, questa volta nel senso dell’ altezza. La grande finestra affacciata sull’ esterno è rimasta nella metà adibita a studio, mentre le due camerette prendono luce e vista da due aperture nella nuova parete, affacciate nello studio e al tempo stesso sulla grande finestra di fronte e, attraverso questa, sul panorama fino al fiume. Le due finestrelle, quando sono chiuse, risultano camuffate da imposte particolari: al primo piano un quadro di Luigi Frappi e al secondo una vetrata artistica a mezzaluna, affiancati ai dipinti di Simona Weller e Marco Rossati che riempiono le pareti dello studio e quelle del salotto. Soprattutto quelli di Frappi, che sembrano riprodurre le forre boscose di Calcata. Per ridurre l’ altezza, sproporzionata anche nella piccola stanza da pranzo, hanno invece abbassato il soffitto con una volta a nervature in legno di ciliegio, unite dalla stessa stoffa che qui riveste anche le pareti e che fu disegnata da Williams Morris nel 1887. A realizzare la volta hanno chiamato un abile ebanista, Orazio Greco, lo stesso che esegue i plastici in legno dei loro progetti. Gli spazi si sviluppano armoniosamente, mescolando oggetti disegnati dai padroni di casa - come i divani semicircolari del salotto, le sedie dalle spalliere intagliate con l’ aiuto del computer da una ditta artigianale, il tavolo in cristallo lungo oltre tre metri - con pezzi di antiquariato, soprattutto liberty e biedermeier, come la vetrata in mogano e legno di tuya, proveniente da Nizza e lo scrittoio del salotto. Giovanna vi ha aggiunto pezzi più antichi, come i quadretti della Via Crucis che arredavano la cappella nel palazzo dei nonni a Breccia. Altri mobili sono stati creati dai Portoghesi tanti anni fa e li hanno seguiti nelle varie abitazioni, come la credenza che era nata per una casa a Venezia. Soltanto la cucina è rimasta come l’ hanno trovata. Con rammarico di Giovanna che avrebbe voluto cambiare - ma non ha fatto in tempo - le piastrelle gialle appena un po’ sbreccate del pavimento. E con malcelata soddisfazione del marito: «Noi architetti tendiamo a rifare tutto. Invece bisognerebbe lasciare sempre qualcosa del passato. Dà calore».
Lauretta Colonnelli