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 2011  giugno 24 Venerdì calendario

BIENNALE A ROMA. GLI ARTISTI LAZIALI A PALAZZO VENEZIA

Bisognerebbe ripristinare la Biennale di Roma. È un’ esigenza che si sente dopo aver visitato la mostra allestita a Palazzo Venezia, con centosedici artisti, giovani e anziani, operanti nel territorio romano e del Lazio. Curata da Vittorio Sgarbi e nata tra le polemiche, come tutto ciò che riguarda il più contestato storico dell’ arte, viene presentata come una costola del Padiglione Italia alla 54° esposizione internazionale di Venezia, dedicata al 150° anniversario dell’ Unità d’ Italia. Per celebrare i cinquant’ anni di Roma capitale del Regno, si istituì una Biennale romana già nel 1921. Andò avanti solo per tre edizioni, ma ebbe un ruolo importante nel mettere a confronto artisti come Mario Mafai e Scipione, Antonio Donghi e Francesco Trombadori, Carlo Socrate e Ferruccio Ferrazzi, Nino Bertoletti e Guglielmo Janni. Insomma, la Scuola Romana. La necessità di una Biennale capitolina nasce da questa constatazione: manca in città un dialogo e un confronto tra gli innumerevoli artisti che vi lavorano, romani e forestieri. Si possono incontrare, questi artisti, da soli o a piccoli gruppi, nelle gallerie private o, i più famosi, anche in monografiche organizzate dagli spazi pubblici. Manca tuttavia un momento collettivo di riflessione, per comparare i linguaggi e trovare nuovi stimoli alla creazione. Dopo tante visioni frammentate, la Biennale di Palazzo Venezia tenta per la prima volta di offrire un panorama completo dello stato dell’ arte in città. Esperienza che si potrebbe ripetere. Gli spazi inoltre non mancano: dai saloni del Maxxi a quelli del Palaexpo e dei molteplici Macro. E gli artisti sono molti. Alle selezioni di questa Biennale romana si sono presentati in cinquececento. Ne sono stati scelti centosedici e quattordici di loro hanno superato un’ ulteriore esame davanti a Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Roma, che ha finanziato l’ esposizione con 150 mila euro e ha riunito il gruppetto di artisti preferiti in un’ unica sala. Al centro, la monumentale scultura di Tommaso Cascella, un «Cielo rovesciato» in ferro, che simula l’ universo galileiano. Ci sono i celebri «neuroni» di Alberto Di Fabio, le «scritture perdute» di Innocenzo Odescalchi, le visioni oniriche di Angela Pellicanò, un uomo rosa a grandezza naturale realizzato in chewingum da Maurizio Savini. Tra i pezzi più significativi della mostra, la stupefacente Chimera di Patrick Alò, ispirata a quella etrusca, che accoglie i visitatori all’ ingresso della prima sala. È stata creata, come tutte le sculture di questo giovane artista, assemblando materiali ferrosi di scarto recuperati dalle discariche. Il quadro di Enrico Manera, che raffigura un cavallo rosso con la scritta Assente al posto del cavaliere. Lo Strappo di Elvio Marchionni, che per mantenersi lavora da quarant’ anni a Spello come autista, ma ha sviluppato una capacità eccezionale nella tecnica dell’ affresco e interviene su vecchi intonachi trasformandoli in quadri. Ci sono le foto di Elisabetta Catalano, il bozzetto scenografico di Dante Ferretti per il film «Prova d’ Orchestra» di Fellini, il dipinto dedicato da Antonio Fiore all’ Unità d’ Italia. Fiore, che è considerato l’ ultimo dei futuristi, è stato allievo di Sante Monachesi e ha collaborato al movimento Agrà, ha realizzato anche quattro gilet dipinti con colori accesi alla maniera di Marinetti e Balla. Ieri ne indossava uno la gallerista Tiziana Todi, che se l’ è visto strappare da uno Sgarbi entusiasta. Per Emanuele, questa rassegna «vale da sola tutto il Padiglione Italia della Biennale veneziana».
Lauretta Colonnelli