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 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

IL BERLUSCONISMO È FINITO, MA IL CAV. È VIVO E VEGETO (E HA LETTO IN FRETTA E FURIA DIDEROT)

Da Wikipedia: “Ponendosi controcorrente rispetto al pensiero coevo, Diderot svela che l’attore non è un passivo imitatore né un artista che basa la sua arte sulla sola sensibilità o sullo slancio romantico delle passioni. C’è bisogno, infatti, che l’attore non solo studi i grandi modelli precedenti, ma si affidi, nell’interpretazione, alla razionalità, che gli potrà permettere di ottenere risultati costanti.
In questo modo Diderot assegna all’attore lo statuto di creatore e non di imitatore, mettendolo al pari dell’autore teatrale, considerato l’unico vero creatore della storia rappresentata. L’eccessivo slancio causa nell’attore un eccesso di artificiosità nella recitazione: una studiata razionalità, unita alla perspicacia, otterrebbero invece la naturalezza dell’interpretazione. Poiché il compito dell’attore è, poi, riprodurre le medesime scene più volte nel corso della sua vita, un’interpretazione basata sulla sola emotività rischierebbe di rendere incostante il risultato, che potrebbe essere influenzato dalla stanchezza o dal turbamento, causando l’insuccesso dell’interprete. Il saggio di Diderot è alla base delle moderne teorie sul lavoro dell’attore, il quale necessita di una severa disciplina e di una studiata tecnica per affrontare il suo lavoro”.
Berlusconi deve aver letto in fretta e furia il “Paradoxe sur le comédien” di Denis Diderot, un saggio a proposito del sublime attore inglese David Garrick scritto nella prima metà degli anni Ottanta del Settecento e pubblicato nel secolo successivo. E questo è il risultato delle batoste elettorali e referendarie, che il Cav. ha assimilato meglio di quanto non abbiano fatto i suoi nemici e avversari, che continuano a festeggiare il loro 25 aprile nonostante il 25 luglio sia a quanto pare rimandato di un paio d’anni (e la V armata Moody’s tardi a sbarcare, come nota in prima pagina l’astuto Rino Formica). Razionale, composto, umile senza affettazione, aperto e leale, per niente ganassa, teneramente malinconico, disposto perfino a non considerarsi eterna luce, impeccabile come professionista della politica, il Berlusconi di ieri ha cancellato un anno e mezzo di improvvisazioni, di turbamenti emotivi, e quell’eccesso artificioso nella recitazione che aveva fatto di lui la caricatura del se stesso d’un tempo. Si è fatto piccolo ed è risultato a suo modo grande.
Il berlusconismo è finito, il suo inventore non sembra più aver voglia di nutrirsi solo di se stesso, si piega alle costanti della politica. Sono mancati i fuochi d’artificio, appunto, ma il paradosso sull’attore è che siamo tutti parecchio rassicurati da una performance amichevole e decisamente simpatica. C’era spirito di verità in quel che diceva Berlusconi ieri al Senato, distacco e nessun autocompiacimento. Il senso della crisi, dello stato, della contingenza delle cose umane anche nel regno luccicante dell’immagine, di un’impresa che deve trovare un suo lieto fine, offrendo un buon lascito ereditario. Non si fosse nel frattempo scordato amabilmente del suo mestiere di capo del governo, avrebbe pure vinto le elezioni. Ma non si può avere tutto nella vita.