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 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

IL CRITICO CRONISTA GOLINO, CHE AI RITI LETTERARI ASSISTE SEMPRE DA LAICO

IL CRITICO CRONISTA GOLINO, CHE AI RITI LETTERARI ASSISTE SEMPRE DA LAICO - Ogni tanto, gli appassionati di una disciplina hanno voglia di sentirne parlare da una voce meno suadente di quella dei geniali fuoriclasse e più sfumata di quella degli storiografi “ufficiali”. Per fare l’esempio che qui ci interessa: a volte ci piace sentir descrivere il cosmo letterario del secondo Novecento italiano da qualcuno che non sia né un Garboli né un Ferroni. Una terza via si può percorrere passeggiando tra le mille pagine di “Madame Storia e Lady Scrittura” (Le Lettere). In questi “saggi cronache interviste”, Enzo Golino ci consegna un bilancio della sua lunga attività critica, da “Tempo presente” a Repubblica. Nella routine del giornalismo, che per altri è un inferno, Golino trova una paradossale serenità, perché la letteratura lo interessa ma non lo ossessiona. Dei più disparati eventi poetici parla come di persone che conosce a fondo e alle quali vuol bene, ma da cui non si farebbe mai trascinare a ubriacarsi. All’indulgenza del critico-cronista, che deve prendere fin troppo sul serio il fatto compiuto, Golino unisce le riserve di chi assiste ai riti da laico, e il puntiglio apparentemente bonario dei pubblici ministeri che un piccolo reato (le “cadute di gusto”) riescono sempre a contestartelo.
Davanti a libri caricati di eccessive funzioni simboliche, Golino rimette sociologicamente la palla a terra. Le sue definizioni non cercano l’aforisma estroso: diluite nel discorso, fungono da etichette provvisorie, in perfetto equilibrio tra referenzialità giornalistica, pregnanza critica e sistemazione storica. Qualche esempio. Vittorini è un “puparo di idee”, Eco un “illuminista bizantino”, Antonio Debenedetti il poeta di “modeste depravazioni”, Magris un “vociano postmoderno”, La Capria un “Musil mediterraneo” o un “surfista” con prosa da “andante marino”. Nel grafomane Arbasino la scrittura diventa “protesi del sistema nervoso”, Cordelli soffre di “autobiografismo archivistico”, lo stile obliquo di Siciliano denuncia un “voyeurismo che contraddice se stesso”. Ma Golino dà il meglio di fronte ai critici militanti o “specialisti”: cioè ai suoi fratellastri abitati da un demone, spiati con occhio ammirato e insieme preoccupato per la loro psicologia borderline. C’è Giacomo Debenedetti, “epistemologo” travestito da esteta; c’è il bergsoniano Contini, che trasforma ogni analisi statica in vettore dinamico; c’è il “poliglotta inconscio” Baldacci, che misura i suoi autori col metro del nichilismo; c’è Mengaldo, che esibisce raffinate sprezzature con la “rudezza emotiva” di un colonnello; e c’è Franco Moretti, che coi suoi atlanti sembra un Lucio Caracciolo del romanzo. Da ognuno, Golino pretenderebbe che fosse meno avaro delle sue doti. Perché Contini non applica la sua nevrosi filologica a Liala? Perché Debenedetti non affronta Musil, e Baldacci non si spende di più sul presente?
Ma non ci sono solo i critici. Questa mappa a molti strati ci restituisce un’immagine a tuttotondo di autori ingiustamente rimossi: Sandro De Feo, un Brancati minore, col suo “scetticismo a prova di secoli”; il Mario Spinella loico e ludico di “Sorella H, libera nos”; il Piergiorgio Bellocchio dei “Piacevoli servi”, racconti di “capziosa afasia strutturale isolata in uno spazio speculativo”. Però la pietas si rivolge soprattutto ad alcune scrittrici-epistolografe. Ecco Lucia Rodocanachi, traduttrice sfruttata senza scrupoli da Gadda, Vittorini, Montale; ed ecco Elsa De’ Giorgi, “amazzone delle pubbliche relazioni” e autrice dei “Coetanei”, un romanzo in cui Salvemini vide il miglior affresco della cultura italiana dal ’40 al ’50. Poi vengono l’“illuminismo linguistico” della Sanvitale, i ritratti jamesiani di Angela Bianchini, il “lessico coniugale” di Clotilde Marghieri, il “picarismo intellettuale” della Ramondino. Infine, nell’accoppiare Storia e Scrittura, nessuno ha il fiuto del maschio Moravia. Golino esplora con curiosità equanime tutti i vani del condominio letterario, dai sottoscala ai saloni chic, per zoomare infine sui balconi della sua Napoli. Né scorda le cucine: dove si dotano i libri di veste grafica e (ahimè sempre meno spesso) di quell’indice dei nomi che il nostro “lettore a vita” vorrebbe trovare anche in fondo a ogni romanzo.
Matteo Marchesini