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 2011  giugno 26 Domenica calendario

L’emiro del petrolio padrone del pallone - I soldi comprano i sogni e tutto il resto. Tamin bin Ha­mad Al Thani li mette tutti sul tavolo: compra, compra, com­pra

L’emiro del petrolio padrone del pallone - I soldi comprano i sogni e tutto il resto. Tamin bin Ha­mad Al Thani li mette tutti sul tavolo: compra, compra, com­pra. Vuole il calcio mondiale e se lo sta prendendo. È quello che gioca perché porta il pallo­ne. Il cortile qui è il pianeta. Lui farà le squadre, lui mande­rà in onda le partite, lui prende­rà il miglior allenatore per dar­gli la sua nazionale, lui ospite­rà la Coppa del Mondo. A 31 an­ni non ha fatto in tempo ad ave­re un volto familiare e ricono­scibile però sta riuscendo a mettere le mani sul calcio pla­netario. È l’erede dell’emiro del Qatar ed è il nuovo signore globale del pallone: più dello sceicco Mansour che col Man­chester City sta cambiando le regole del mercato, più di qua­lunque Abramovich, più di ogni altro multimiliardario che è entrato e uscito dagli sta­di e dalla memoria negli ultimi vent’anni. Tamin bin Hamad Al Thani è la faccia benestante di un microstato che vuole im­padronirsi del pianeta con il ca­rico infinito di dollari che può portare in dote. È lui, attraver­so il fondo sovrano del suo Pae­se, che ha comprato il Paris Sa­int- Germain per 70 milioni di euro con l’idea di trasformarlo in una delle potenze del calcio europeo. È lui che ha portato Leonardo a Parigi, è lui che vor­rebbe Mourinho, è lui che ha stanziato 150 milioni per il pri­mo anno di calciomercato del Psg. È lui che ha appena con­vinto il cugino e proprietario di Al Jazeera a investire novan­ta milioni per prendere una parte dei diritti tv del campio­nato francese. Non ci ha messo molto a persuaderlo: Tamin bin Hamad Al Thani è Sua Altez­za del Qatar, primo in linea di successione di Hamad bin Kha­lifa Al Thani, nonostante sia il quartogenito. Prenderà lui in mano la fortuna infinita della famiglia e del Paese perché gli altri hanno rinunciato da tem­po. I giornali qatarioti parlano di Tamin come di un Messia lai­co che si prepara al domani. Il calcio fa parte del pacchetto: la Francia è un investimento con­tenuto. Se riesce il gioco di tra­sformare il Paris Saint-Ger­main in una delle big d’Europa i 220 milioni spesi in queste set­timane sarebbero già abbon­dantemente ripagati. Ma sicco­me Parigi è solo una scommes­sa, Sua Altezza ha diversificato molto il rischio. Ha preso 150 milioni e li ha messi tutti sulla maglia del Barcellona per 5 an­ni. Trenta milioni a stagione per sponsorizzare con la Qatar Foundation la squadra più for­te e più chic del mondo. Il Barça aveva sempre resistito al­le tentazioni milionarie degli sponsor: ha ceduto qualche an­no fa quando ha stretto un ac­cordo con Unicef. La scusa del­la buona causa ha fatto sbolli­re un po’ la rabbia dei tifosi ca­talani che mai avrebbero volu­to sporcare la maglia con una scritta commerciale. Tamin ha convinto anche loro, evidente­mente. Centocinquanta milio­ni in cinque stagioni è la cifra più alta della storia della spon­sorizzazione pallonara. Re­cord, un altro. Record, ancora. Perché l’idea evidentemente è quella di abbattere qualunque confine. La regola, l’unica del Qatar, è che non ci sono limiti. Il calcio è la vetrina di uno Stato che ha superato Dubai e Abu Dhabi. Lo dice la famiglia reale che per promuovere il suo Pae­se ripete di essere sempre l’emirato dei primati: il primo esportatore di petrolio, il più al­to Pil pro capite, la più bassa tas­sazione sul reddito, il progetto del ponte più lungo del mondo da lì al Bahrein, l’unico Paese del Golfo che ha autorizzato la costruzione di una chiesa catto­lica. I soldi non bastano perché si macinano. Non c’è bisogno di fermarsi e Tamin bin Hamad Al Thani non si ferma. Il petrolio gli assicura il presente, il gas gli garantisce il futuro. La Da­naGas è la cassaforte di Sua Al­tezza e della famiglia e il fondo sovrano del Qatar ha investito negli ultimi anni quattro mi­liardi di euro per le infrastruttu­re legate all’estrazione, alla di­stribuzione e al trasporto di gas. Non basta, non ancora. Il padre ha concesso a Tamin di studiarsi il futuro: l’erede s’è formato a Sandhurst, la stessa accademia militare dei principi britannici William e Harry. Poi l’ha lasciato fare shopping in Europa e Stati Uniti: ha il 17 per cento di azioni privilegiate della Volkswagen, è entrato a Hol­lywood, attraverso Walt Disney; s’è comprato i magazzini Harro­ds di Londra, ha una grossa quo­ta della catena di supermercati british Sainsbury’s. Lui è Occi­dente e Oriente insieme. È la faccia nuova di un alleato stra­tegico per Stati Uniti ed Euro­pa. L’unico Paese del Medio Oriente che ha mandato i suoi aerei nella guerra in Libia è il Qatar. Tamin è amico persona­le di Nicolas Sarkozy, ha ottimi rapporti con David Cameron e soprattutto con Barack Oba­ma. Non importano i nomi, contano le bandiere: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti. La strategia filo-occidentale è un’idea del padre, che nel 2003 ospitò a Doha il comando generale della missione anglo­americana nella guerra contro l’Irak di Saddam Hussein. Tamin segue la scia: mescola Est e Ovest, abbatte le barriere. Il Qatar riesce a essere amico di Netanyahu e non nemico di Ah­madinejad. A Doha si applica la sharia, ma in versione soft: è per­messo l’alcol e le restrizioni per l’abbigliamento femminile so­no poco rigide, tanto che sta per partire un campionato di calcio con le giocatrici senza velo. È un gioco di equilibri complicati, è soprattutto una sfida agli altri emiri del Golfo per mostrarsi all’Occidente come interlocu­tore principale della nuova sta­gione del Medio Oriente. Allo­ra grattacieli, sfarzo, moderni­tà, laicità, capitalismo. C’è tut­to e dentro c’è il pallone. Per­ché è business, è immagine ed è passione. Della gente e sua: l’erede al trono del Qatar è l’or­ganizzatore del campionato na­zionale dell’emirato. È un tor­neo privato, una specie di sfida aziendale, dove le aziende sono in realtà le famiglie degli uomini più ricchi del Paese. Lui, Tamin, ha una squadra che si chiama Lekhwiwa: chiama professioni­sti e vecchie glorie, li strapaga e li mette in campo. Ovviamente gioca anche lui. Così, esatta­mente come quando da bambi­ni c’era sempre il più ricco che bisognava far giocare perché era scarso, ma oltre al pallone aveva anche un campo con le porte, le reti e il prato. Al Thani ha esteso il concetto. Cambiano le proporzioni, non la sostanza: compro, spendo, gioco e mi di­verto. I soldi comprano i sogni e tutto il resto, appunto. Hanno convinto anche la Fifa e il calcio mondiale che il Qatar potesse ospitare i Mondiali del 2022. Cin­quanta miliardi di dollari di inve­stimenti. Come facevano a non bastare? Servivano e servono a fare il miracolo della scienza e della tecnica. Perché la Coppa del Mondo si potrebbe dover giocare con una temperatura esterna che arriva anche a 48 gradi. Nessun problema. Nel progetto ci sono 12 stadi modu­lari e smontabili con l’acqua in­torno e con impianti d’aria con­dizionata alimentati da pannel­li fotovoltaici: pubblico e gioca­tori saranno tutti in un ambien­te che non supererà i 26 gradi. Si può? Si deve. L’ha detto l’emiro, l’ha detto suo figlio.Ufficialmen­te il presidente della Federcal­cio qatariota è ancora il padre. In sostanza comanda Tamin, al quale il sovrano ha già delegato la presidenza di tutte le altre fe­derazioni, compreso il comitato olimpico locale. Arriverà anche il calcio, perché è lì che il giova­ne Al Thani ha deciso di punta­re: nel pacchetto dei 150 milioni per sponsorizzare il Barcellona ha inserito la possibilità di chie­dere a Pep Guardiola di staccar­si una stagione dal Barça (il 2012-2013) per andare ad allena­re la nazionale del Qatar, salvo poi tornare alla base. Non basta, però. Controllare di fatto il Bar­cellona, comprare il Psg, pren­dersi i diritti del calcio francese con Al Jazeera non è sufficiente. Vuole anche l’Inghilterra e la vuole dalla testa: nei mesi scorsi avrebbe fatto un’offerta per comprarsi il Manchester Uni­ted. Un miliardo e settecentomi­la euro proposti all’americano Malcolm Glazer per il pacchetto di maggioranza del club più im­portante del Regno. La trattati­va è stata smentita ufficialmen­te, eppure i giornali di Manche­ster e non solo continuano rac­contarne i dettagli. Mistero che si alimenta dall’altra indiscre­zione che arriva da Londra: Al Ja­zeera avrebbe pronto un piano per strappare i diritti tv della Pr­e­mier League a Rupert Murdoch. Suggestioni, le chiama qualcu­no. Forse. Anche il Mondiale a 48 gradi all’ombra era un’ipote­si. Di più: era una follia. I soldi del padrone prossimo del pallo­ne globale hanno realizzato quella. Possono realizzare tut­to.