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 2011  giugno 26 Domenica calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 112 - FINALMENTE MINISTRO

Questo certamente non faceva di Cavour un uomo di sinistra.

Certo che no. Ne faceva semplicemente quello che era sempre stato, un uomo del giusto mezzo. Più tardi il problema della sua posizione politica s’era presentato in questo modo: bisognava che il governo fosse stretto sempre più dappresso, che lo si costringesse alla coerenza con il tipo di maggioranza che s’era formata sulle leggi Siccardi. Doveva anche risultare indubitabile che era lui, Cavour, a capo di questa maggioranza. Un certo giorno, prima che la sessione della Camera fosse chiusa, Cavour era andato alla ringhiera e aveva fatto capire che considerava il governo piuttosto inerte, ma che tuttavia di questo, «per il passato», poteva scusarlo. Poi aveva aggiunto di trovarsi d’accordo con molte delle critiche fatte dall’onorevole Josti, del centro-sinistro, e tuttavia «finora», il ministero era «altamente meritevole d’indulgenza». Infine, tra lo stupore dell’assemblea, aveva sciorinato una sequenza di «Se». «Se questo bilancio fosse compilato sulle medesime basi del bilancio del 1850; se non si mandassero ad effetto tutti i princìpi già sanzionati da questa Camera; se vedessimo ancora comparire ed i maggiori assegnamenti, ed i trattenimenti, e le pensioni che non sono pensioni di riposo, questo sarebbe già per noi una spinta per allontanarci dal ministero...». Quando era tornato al suo posto tutti avevano mormorato: Cavour si sta spostando ancora più a sinistra!

Sa che questa inclinazione a sinistra è sorprendente? Uno che aveva elogiato i massacri di Parigi ... La rivoluzione era stata sconfitta dappertutto, quindi le aperture verso quella parte politica erano adesso possibili.

E la nomina a ministro?

Questo era un altro discorso. La nomina incontrava parecchie resistenze. Cavour lo sapeva e si allontanò da Torino (era in preda a una specie di apatia). Fece un viaggetto per il Piemonte, a vedere manifatture. Poi finì a Leri. Qui gli arrivò il biglietto di Massimo. Scrisse allora a Emilio: «Vi assicuro che mi trovo nella disposizione di spirito più conciliante. Considero l’ingresso nel ministero in questo momento una grande disgrazia. Mi logorerò inutilmente. D’altronde credo che la maggior parte dei ministri provino ripugnanza a vedermi al loro fianco. Così la coppa del potere, lungi dal parermi inebriante, mi pare piuttosto avvelenata».

Come furono vinte quelle resistenze?

Massimo sperava che la questione si sarebbe discussa a novembre, con l’apertura delle Camere. L’idea di avere Cavour non entusiasmava neanche lui. Ma all’inizio di settembre venne a trovarlo La Marmora, che era ministro della Guerra. Sostenne decisamente che andava nominato Cavour. Massimo: «No, no e no». «E perché no, alla fine?». Massimo aveva adoperato tutti gli argomenti possibili: che Cavour negli ultimi sei mesi aveva cambiato posizione, che voleva spingere il governo nelle braccia dei democratici, che con la scusa di applicar lo Statuto viaggiava verso un luogo nel quale lo Statuto non sarebbe stato più applicabile. Infine sbottò: «Oh, insomma, ora te lo dico: in un mese costui ci metterà sossopra tutto il ministero. E io non voglio seccature». La Marmora scoppiò a ridere: «Ma ti sbagli, Camillo è un buon diavolo. E poi, vicino a noi, si modererà». Massimo si persuase a parlarne in consiglio dei ministri. Qui verificò che era ormai impossibile tenerlo fuori dopo la parte che aveva avuto nell’approvazione delle leggi Siccardi. Per non parlare dei vari prestiti e di decine di altre questioni. «Bisognerà parlarne al re», concluse.

I rapporti con Vittorio Emanuele erano difficili come quelli con Carlo Alberto?

Cavour non piaceva neanche al nuovo re. Il primo ad accennargli la cosa fu Galvagno. Il re: «Come? Cavour?». «Già, si pensava...». «Ma come non veggono lor signori che quell’uomo li manderà tutti colle gambe all’aria? Ci pensino bene». Qualche giorno dopo ci riprovò Massimo. In fondo, disse, si trattava di un ministero minore, l’Agricoltura e commercio. Ma il re insisteva: «Vedrà, finiranno tutti con le gambe all’aria». Poi aggiunse: «Non si potrebbe pensare più tardi al Cavour? Non mi si potrebbe intanto indicare qualche nome più simpatico?». Ci fu una manovra militare nei pressi di San Mauro. Il re assisteva. Al suo fianco La Marmora. La Marmora attaccò: «Cavour...» e così per tutto il pomeriggio. Alla sera, Vittorio Emanuele s’era rassegnato.

Ci sarà stato un incontro tra Massimo e Camillo.

Sì, il 6 ottobre. Dopo, La Marmora entrò per sapere com’era andata. «Mi pare che ci siamo intesi», disse il presidente del Consiglio. Ma non avevano finito di parlare che gli recapitarono un biglietto del conte. «Caro Marchese, avendo ben ponderato quanto ella ebbe a dirmi nel nostro colloquio di questa mattina, mi sono convinto essere facile mettersi d’accordo su tutti i punti, salvo per ciò che riflette il ministro dell’Istruzione Pubblica. Più ci ho pensato e più sono rimasto persuaso ch’io non potrei accettare di essere collega del Mameli...». Massimo disse: «Si comincia bene col tuo buon diavolo, Alfonso. Si comincia proprio bene».