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 2011  giugno 26 Domenica calendario

Qui è tutto un set Dalla Vucciria ai Quattro Canti - Esplosero in lacrime, le turiste francesi, nel vedere la foto di Christopher Lambert su un altarino ricolmo di fiori e candele

Qui è tutto un set Dalla Vucciria ai Quattro Canti - Esplosero in lacrime, le turiste francesi, nel vedere la foto di Christopher Lambert su un altarino ricolmo di fiori e candele. «Il est mort?», chiesero sconvolte, mentre un assistente alla regia si precipitava a rassicurarle: «Tranquille, è solo un film». Un aiuto scenografo si era dimenticato quella laicissima edicola vicino al cuore barocco di Palermo, i Quattro Canti, nella scena della città a lutto per la morte di Salvatore Giuliano, il bandito indipendentista. Era il 1986, si girava «Il siciliano» con il divo francese. Adesso c’è un gruppo entusiasta di curiosi, su quelle vecchie strade, a partecipare a un tour lungo due chilometri sulle tracce dei film girati in città, in spalla un registratore con le colonne sonore. Palazzi e teatri, vicoli e chiese, balli e scene di massa, protagonisti e comparse. La storia di cinquant’anni di cinema attraverso i suoi luoghi, un’idea dell’associazione Hombre che così, con un’iniziativa per cui non si paga un solo euro, rende omaggio a una delle città più cinematografiche del pianeta, «un set naturale», per dirla con lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino. E «Palermo è tutta un set» si chiama il giro, condotto da quel vulcano di aneddoti che è Mario Pintagro, il quale parte regalando ai partecipanti un augurale pezzo di pellicola. Si comincia da «Il viaggio» di De Sica, si chiude con il ballo del «Gattopardo», il capolavoro entrato - insieme con le mascelle rigonfie di Marlon Brando-Padrino - nell’immaginario collettivo della Sicilia cinematografica. Eccola, quindi, la Cattedrale di Palermo, «così unica, così irripetibile, un patchwork di stili», per dirla con De Sica che ne era stregato. «Il viaggio» fu il suo ultimo film, nel 1974, con una tristissima Sophia Loren innamorata da sempre del cognato Richard Burton. Da lì si risale a piedi per piazza Bologni, il set dell’adunata dei separatisti che chiedono l’indipendenza della Sicilia in «Salvatore Giuliano», la pellicola con cui Francesco Rosi, nel 1962, inaugura il filone dei film-inchiesta. Sbuca un vecchietto: «Io feci la comparsa, ci dicevano di correre e di gridare», racconta. Il protagonista non si vede mai in faccia, sempre di spalle, «una scelta che ha alimentato il mito del bandito imprendibile», sostiene lo storico Giuseppe Casarrubea, quello che ha ottenuto la riapertura del caso sulla vera fine del bandito di Montelepre. Da lì, imboccando un vicolo, si passa per la moschea di piazza Gran Cancelliere, con il sole che accarezza le volute dei balconi nobiliari, che svela le dimore ancora sventrate dalle bombe del 1943. Una curva e appare la gigantesca sagoma del Massimo, il terzo teatro lirico in Europa, così gigantesco da suscitare un dibattito, all’indomani dell’Unità. «Ma Palermo aveva davvero bisogno di un teatro così grande?», sbottò Re Umberto nel 1897. Qui, dove la leggenda vuole che si aggiri il fantasma di una monaca che abitava nel convento sfrattato per fare posto alla costruzione, Coppola girò la scena madre del «Padrino parte III», con un anziano Michael Corleone che va ad assistere all’esordio nella lirica del figlio. «E il cinema, poiché è finzione - dice Mario Pintagro - può fare avverare anche i sogni: il Massimo era chiuso da 16 anni quando Coppola, nel 1990, lo scelse come location, un restauro eterno che sembravanonfinire mai. Il film fece il miracolo di farlo tornare vivo, anche se solo per pochi giorni». Per riaprirlo sul serio si dovette aspettare il 1997, miracolo della Primavera della città poi sfiorita. Poi si va ai Quattro Canti, set di una scena di «Palermo Shooting», il film che ancora fa litigare davanti al giudice il regista Wim Wenders e l’attuale sindaco di Palermo, Diego Cammarata, che gli negò un finanziamento promesso dopo avere saputo - sostiene Wenders - che nella pellicola era stato chiamato per un cameo il suo ingombrante predecessore, Leoluca Orlando. E sempre qui, nel ventre barocco della città, gli altarini di Christopher Lambert nel film «Il siciliano», agiografia di Salvatore Giuliano. Tappa successiva in via Maqueda, dove venne girato «Porte aperte», tratto da Sciascia, con un superbo Gian Maria Volontè nei panni di un giudice che vuole guardare oltre l’apparenza di un delitto. Da lì sulle tracce delle scene di «Dimenticare Palermo», un altro film di Rosi, uno degli ultimi di Vittorio Gassman, che impersona il nobile condannato dalla mafia a vivere recluso nell’Hotel des Palmes. Qui, sul corso Vittorio Emanuele che taglia la città dai monti al mare, il film fece rivivere fuori stagione il festino di Santa Rosalia. Adesso si svolta per il mercato della Vucciria, e la colonna sonora è il rap di «Tano da morire», lo sfottò alla mafia che rivelò Roberta Torre. Si chiude nelle scuderie di Palazzo Ganci, la dimora del valzer tra Tancredi e Angelica che suggella l’unione tra la società dei gattopardi e i nuovi ricchi. Appaiono due comparse in costume, il pubblico urla: «Biiis». Si balla e si riballa. D’altronde, la scena prende quasi un terzo del film. E il cinema, si sa, è vita.