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 2011  giugno 25 Sabato calendario

“Ci salverà il buffone di Shakespeare” - In principio era Goethe: «Il Viaggio in Italia del narratore tedesco è stato il mio primo baedeker nella Penisola, in questo ultimo tour italiano mi accompagnano invece i romanzi dei più recenti scrittori italiani», spiega Alicia Giménez-Bartlett, ovvero la Camilleri della Mancia

“Ci salverà il buffone di Shakespeare” - In principio era Goethe: «Il Viaggio in Italia del narratore tedesco è stato il mio primo baedeker nella Penisola, in questo ultimo tour italiano mi accompagnano invece i romanzi dei più recenti scrittori italiani», spiega Alicia Giménez-Bartlett, ovvero la Camilleri della Mancia. L’autrice della saga poliziesca più seguita della Spagna - dedicata all’investigatrice Petra Delicado, il Montalbano in gonnella delle ramblas - sarà a Roma per presentare il primo luglio, al Festival delle Letterature, l’ultima fatica, Dove nessuno ti troverà (in uscita da Sellerio), poi andrà in Sardegna al Festival di Gavoi. «Goethe si innamorò di Napoli e di Roma e, proprio in Italia, per la prima volta, si avvicinò all’altro amore, quello carnale. Si appisolò per la stanchezza nella Cappella Sistina, definì Venezia una “repubblica di castori” ma nello Stivale percepì un ambiente molto ospitale. Come è successo anche a me quando, giovane insegnante e unica accompagnatrice di un gruppo di 40 adolescenti, ho scoperto la generosità degli italiani che mi aiutarono moltissimo con quella banda di scatenati». Adesso con il suo suggestivo romanzo fresco di stampa, ben diverso dal ciclo di Petra che l’ha portata al successo, la narratrice di Almansa, vissuta a Barcellona, approda nella Capitale. E si cimenta con i misteri che circondano un imprendibile bandito guerrigliero, la Pastora, schierato con i repubblicani all’epoca della guerra di Spagna. Un enigmatico partigiano esistito veramente - di cui per anni fu incerta l’identità sessuale -, attraverso la cui vicenda la scrittrice ripercorre gli anni della dittatura del Generalissimo e ci porta anche in una fascinosa terra di aspri dirupi e boschi selvaggi, il Maestrazgo: «Ho vissuto a Tortosa e in quelle zone andavo in vacanza. Ai ragazzini indisciplinati si diceva: “Se non stai buono arriva la Pastora e ti porta via”. A questo imprendibile lui/lei per più di un decennio ho dedicato le mie ricerche senza alcun risultato: nessuno voleva rinvangare i rastrellamenti della Guardia Civìl, le delazioni, l’omertà, la depressione economica dopo la fine della seconda guerra mondiale». I suoi libri, proprio come la storia della Pastora per cui lei alla fine ringrazia il provvidenziale saggio di José Calvo, arrivato di recente con larga messe di documenti a chiarire tanti misteri, spesso nascono da altri libri. Una stanza tutta per gli altri , a cui deve l’avvio della sua notorietà, ha origine dai diari della Woolf. Cosa rappresentava la storia del gruppo di Bloomsbury letta durante il franchismo che non vedeva di buon occhio questi artisti gay e dal temperamento anarchico? «I romanzi della Woolf furono una scoperta meravigliosa di cui sono ancora oggi debitrice alla mia insegnante di inglese all’Università di Valencia. L’autrice di Gita al faro rappresentava un modo di coniugare la libertà sessuale e la creazione letteraria. Era un modello di donna intellettuale. Poi sono passata a cimentarmi con l’ironico e sofisticato Lytton Strachey e con i suoi Eminenti vittoriani , dove smaschera l’ipocrisia della morale vittoriana». I suoi primi passi in libreria? «La mia casa nel centro della grigia Tortosa era piena di volumi: di Chesterton prediligevo i Racconti di padre Brown e adoravo Shakespeare in riduzione per bambini. Il mio personaggio preferito era il buffone che mi faceva ridere per motivi che solo oggi capisco interamente: possedeva la saggezza dei pazzi, quella che re Lear acquisirà dopo aver perso anche lui la ragione. Mi abbandonavo anche io alle follie, a quelle della lettura, stando sveglia fino alle tre-quattro del mattino per cui a scuola, anche se ero piuttosto brava, sonnecchiavo tutto il tempo». Tomi proibiti? «Non ve n’erano. I miei genitori erano repubblicani molto aperti e mia madre, severa nell’educazione, era assai disponibile dal punto di vista culturale. C’era El ingenioso hidalgo don Quixote de la Mancha , Delitto e Castigo , Guerra e Pace ». Leggendo già si pensava scrittrice? «Non sapevo ancora tenere la penna in mano e arruolavo mio padre, pazientissimo, per dettargli i miei primi racconti orali. Avevo la consapevolezza di essere dominata da qualcosa che non controllavo». Cosa? «Una maledizione. Non mi sono mai crogiolata nell’idea romantica del romanziere con lo studio con vista sull’Oceano, bottiglia di bourbon, caminetto acceso e passeggiate ventose. Scrivere è sempre stata una fatica, un obbligo e una vocazione. E’ un’altalena tra libertà e schiavitù permanente». E il piacere? «La lettura riempiva la mia solitudine. Avevo una sorella più grande e i miei genitori non erano giovanissimi. Ero sola e i racconti mi facevano compagnia. Anche nelle aule accademiche, dove colmai i vuoti lasciati dalla biblioteca di casa con la Recherche , l’ Ulisse e poi le opere di Thomas Mann, Flaubert e Stendhal. Orwell e il suo Omaggio alla Catalogna , in cui si ricostruiva l’eccidio degli anarchici e dei trotzkisti da parte dei comunisti durante la guerra di Spagna, invece, non mi convinceva con la sua scrittura senz’anima. Ero però tutta dalla parte di Stephen Spender e di André Gide di cui apprezzavo la complessità psicologica. Poi c’era il cineforum, dove finalmente potevamo vedere spettacoli non censurati. Si poteva gustare Buñuel, il giapponese Kurosawa, Godard e l’opera più autobiografica di Truffaut, I quattrocento colpi , che narra l’infanzia di Antoine Doinel (l’alter ego del regista), un ragazzo “difficile”, e i suoi rapporti con la famiglia, la scuola, la polizia, il riformatorio». La persecuzione della Guardia Civil si faceva sentire in quegli anni? «All’università avevo intessuto rapporti con gruppi di studenti che leggevano ad alta voce e commentavano i testi di Herbert Marcuse in grande auge in Spagna. Mi ricordo come, durante alcune di queste riunioni alla facoltà di Medicina frequentata dal mio futuro marito, vi furono pestaggi e incursioni a cui sfuggii grazie al mio ragazzo che conosceva bene tutti i meandri di quel cupo edificio». Tra gli autori spagnoli, a chi la palma? «Vázquez Montalbán ha sdoganato il genere poliziesco, l’unico tipo di narrativa che riesce veramente a cogliere il presente e l’attualità. Almodóvar tra i registi è ancora oggi il più moderno, acuto soprattutto nelle prime opere in cui ha espresso il massimo dell’ironia, come Donne sull’orlo di una crisi di nervi ». Per tornare agli italiani? «Calvino, anche se Moravia con Gli indifferenti , La noia eLa Romana mi ha conquistato: così realistico, concreto, sensuale. Ammaniti con comanda ha dato vita a una grande storia d’amore tra padre e figlio: Cristiano concede al padre, Rino Zena, tutta la sua fiducia in un mondo tremendo, tra campi, boschi, capannoni, tangenziali e centri commerciali. Che la festa cominci di Ammaniti, narrazione delle peripezie di un palazzinaro-immobiliarista, volgare e megalomane, l’ho trovato troppo metaforico e simbolico. Di recente ho inaugurato un nuovo metodo, la lettura di coppia: il volume appena terminato lo passo a mio marito. E poi confrontiamo le opinioni». Altri autori? «Il mio plauso va a Carlo Lucarelli con le sue trame avvincenti: anche lui come me ha dato vita a un’ispettrice, donna Grazia Negro sulle tracce di killer professionisti. E poi l’amatissima Melania Mazzucco, in particolare Vita , una grande nergia narrativa». Le ultimissime letture? «William Trevor con Il viaggio di Felicia eMarionette del destino , storie di desolata follia mescolate a un’inquietante normalità. Hegel, infine. Sembrerà singolare ma il filosofo tedesco dà linfa ai miei libri. Ho divorato la biografia di Jacques D’Hondt che individua gli anni eroici della filosofia, dal 1789 al 1815, come la chiave di volta del pensiero contemporaneo. Si legge come un romanzo e racconta un’epica e un’epoca». Paso doble di lettura con suo marito anche in questo caso? «No, stavolta ho ballato da sola». "«Oltre al Bardo, nella riduzione per i bambini, adoravo i racconti di Padre Brown» «Tomi proibiti in casa? Non ce n’erano, i miei genitori erano repubblicani di grande apertura»" "TRA ROMA E GAVOI" "Alicia Giménez-Bartlett sarà il 1˚ luglio a Roma, per il Festival delle Letterature, dove presenterà il suo nuovo romanzo Dove nessuno ti troverà (in uscita da Sellerio), poi andrà in Sardegna al Festival di Gavoi. Qui, dall’1 al 3 luglio, si svolgerà il «Festival letterario della sardegna», di cui è presidente lo scrittore Marcello Fois. Sono previsti particolari omaggi a: Ermanno Olmi, José Saramago e Tiziano Terzani e al sardo Salvatore Cambosu (1895-1962). Tra gli ospiti stranieri: il tedesco Uve Timm, l’inglese Anne Perry, lo spagnolo Il defonso Falcones. Altri incontri con: Maria Giacobbe, Flavio Soriga, Bianca Pitzorno (altre tre voci sarde); Fabio Geda, Marco Presta, Margherita Oggero, Eros Miari, Gad Lerner, Giulio Giorello, Ritanna Armeni."