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 2011  giugno 26 Domenica calendario

NEL MEDITERRANEO LA SECONDA VITA DELL’ATOMO

Sale la febbre del nu­cleare nel Mediterra­neo. E non solo sulla sponda settentrionale. A Sud, il contagio si propa­ga da Ovest verso Est, dal Marocco fino alla Giorda­nia, man ma­no che i Pae­si in via di svi­luppo vedo­no aumenta­re le proprie esigenze e­nergetiche. E non c’è rivo­luzione ara­ba né gover­no provviso­rio che si pro­nunci contro l’implemen­tazione di centrali sul proprio terri­torio.
Il primo e­sempio in tal senso è rap­presentato dall’Egitto del dopo-Muba­rak, che, al­meno in termini energetici, non sembra aver voltato pa­gina rispetto al cammino tracciato dal regime del raìs. Un primo segnale: mentre il ministro delle Risorse petro­lifere, Sameh Fahmy, è at­tualmente detenuto nella prigione cairota di Tora per­ché accusato di malversazio­ne, al contrario, il responsa­bile del dicastero dell’Ener­gia elettrica (cui fa capo an­che il dossier nucleare, ndr), Hassan Younes, è rimasto al suo posto. Unico, fra i mini­stri del defunto governo, a so­pravvivere al­la tempesta ri­voluzionaria.
Qualche coor­dinata sul nu­cleare egizia­no: aperta la strada nel 1954, il presi­dente Nasser diede impulso alla ricerca sull’atomo – coltivando il sogno di quel­lo militare – per tutti gli an­ni ’60, grazie a esperti e tec­nologie sovie­tiche. E così è stato anche sotto le presi­denze Sadat e Mubarak, fino all’incidente di Chernobyl (1986).
A distanza di 20 anni, l’Egit­to ha rilanciato con enfasi il proprio programma di svi­luppo del nucleare civile nel 2006, almeno a parole. Poi, all’inizio di giugno (tre mesi dopo le dimissioni del pre­sidente Mubarak), l’Autorità per l’energia atomica egi­ziana ha annunciato che il reattore dell’impianto di In­shass, l’unico mai realizza­to, situato nel governatora­to di Sharqiya, darà il via al­le operazioni tra pochi gior­ni, dopo decenni di utilizzo a puro scopo di ricerca. La notizia non ha lasciato in­differente l’opinione pub­blica, soprattutto alla luce delle indiscrezioni circolate negli ultimi mesi riguardo ad almeno due incidenti: il pri­mo, l’8 gennaio, il secondo il 25 maggio. Piccole fuoriu­scite di acqua radioattiva senza conseguenze per am­biente e cittadini, hanno as­sicurato le autorità. Ma il Centro per la sicurezza nu­cleare nazionale si oppone al passaggio definitivo dalla potenza all’atto. Sulla carta, l’impianto su cui l’Egitto punterà successivamente sarà a El Dabaa, sulla costa mediterranea, in una zona in pieno sviluppo turistico.
A pochi km di distanza, sul­l’altra sponda del Mar Ros­so, anche la Giordania di re Abdallah II ha messo l’acce­leratore: entro il 30 giugno, la Commissione nazionale sul nucleare affiderà il progetto per lo sviluppo di un im­pianto nucleare a uno dei tre gruppi candidatisi. In corsa, canadesi, russi e una joint­venture franco-giapponese. Con l’obiettivo di andare a pieno regime entro il 2019, ribadito nonostante l’inci­dente di Fukushima. D’al­tronde, il suolo giordano è ricco di 120mila tonnellate di uranio. Più a Occidente, nel Regno del Marocco (che ha affrontato una spesa di 8 miliardi di dollari per im­portazioni energetiche tra gennaio e novembre 2010, secondo lo stesso ministero dell’Energia marocchino) l’atomo è rientrato fra le priorità nazionali il 13 gen­naio di quest’anno: due im­pianti nucleari, ciascuno da un gigawatt, saranno co­struiti entro il 2020.
Il bando per l’assegnazione del progetto sarà lanciato e assegnato tra il 2011 e il 2014. Questo nonostante l’obiet­tivo di coprire almeno il 38% delle esigenze nazionali, sempre entro il 2020, me­diante energia solare. Fran­cia, Russia e Giappone in prima linea anche in Ma­rocco sia per l’atomo che per le energie rinnovabili. In­tanto, ad Algeri, il ministro dell’Energia e delle risorse minerarie Youssef Yousfi ha annunciato il 29 marzo scor­so l’intenzione del governo di costruire il primo im­pianto nucleare nel 2020 e, successivamente, di realiz­zarne uno a cadenza quin­quennale. Questo benché l’Algeria sia stata teatro di al­cuni dei maggiori eventi si­smici avvenuti nel Mediter­raneo, da ultimo nel 2003, quando morirono 2mila persone. E soprattutto no­nostante i 17 esperimenti nucleari condotti dai colo­nizzatori francesi tra il 1961 e il 1966 nei pressi della lo­calità di In Ekker abbiano la­sciato un’eredità funesta di morte e malattie, i cui effet­ti si fanno sentire a 50 anni di distanza.
Quanto ai gelsomini rivolu­zionari di Tunisi, solo una sparuta minoranza politica (i verdi di Tunisie verte) è contraria al nucleare. E sul web l’opinione pubblica non si infiamma per il ’no’ all’atomo. Il nuovo governo sembra deciso a rimandare la discussione sull’accordo siglato dall’ex presidente Ben Ali con la Francia di Ni­colas Sarkozy (2008) al dopo elezioni: il piano nucleare, da realizzare fra il 2016 e il 2023, includerebbe la ricer­ca fondamentale e applica­ta, la formazione di tecnici, le applicazioni mediche e in­dustriali delle tecnologie nu­cleari e la costruzione di u­na centrale nucleare. Fino a ottenere il 20% dell’energia proprio dall’atomo. E infine chissà se anche il nuovo di­rettorio libico, una volta sconfitto il colonnello Ghed­dafi, si lascerà sedurre dal nucleare o proseguirà sulla strada dell’oro nero.