Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 26 Domenica calendario

ANNA MARCHESINI - «C´è

qualcosa di infinitamente bello nell´infelicità. L´ho scritto nel mio libro. Perché nella mia esperienza sento che è così. Come quando mi colpì una cosa che lessi, a proposito di sub immersi a profondità abissali, che accendono le luci e scoprono fondali coloratissimi, sconosciuti alla luce del sole. Ecco, i fondali dell´infelicità non escludono i verdi, i gialli e i blu intensi, e anzi sono pieni di incanti e di richiami, tant´è che nel mio apprendistato delle ombre, nel mio camminare sul dolore, io ho conosciuto, e le ho descritte, grandissime gioie della vita, che sono cose insopprimibili». Leopardiana, con un senso della contemplazione del mondo e dei turbamenti dell´animo che toccano corde segrete sorrette da una sofisticata e imperterrita (a volte quasi amena) energia del carattere, Anna Marchesini, attrice comica, grande artista della risata intelligente, popolare e amata coprotagonista dal 1982 al 1994 della stagione felice del Trio con Massimo Lopez e Tullio Solenghi, poi strenua interprete di prosa di piglio anglosassone o beckettiano, parla oggi imperturbabilmente (e serenamente) della tristezza e della malinconia in veste di scrittrice, avendo riscosso elogi e clamori, e tributi di classifiche, per il suo primo romanzo Il terrazzino dei gerani timidi (Rizzoli). Un´elaborazione degli anni dell´adolescenza. Un ripensamento sulla palestra della vita in famiglia, in provincia, in un silenzio dato da libri e tirocini umani.
Di fronte al suo exploit, che ci ha posto sotto gli occhi un linguaggio fatto di narrazione intima e poetica, molti si sono chiesti fino a che punto fosse personale e autobiografico questo testo letterario che forse è anche un lungo e sentitissimo monologo. «Ho sempre desiderato scrivere un libro che fosse un libro. Con storie accadute e con vicende sognate e non direttamente vissute. Una sintesi di voci, silenzi, immagini. La suor Giuseppina che cito è una suora fatta di suore, non realmente esistita, ma è un prototipo verosimile. Le sorelle di cui riferisco esistono davvero ma non tutto è andato proprio così. Direi che ci si svincola da un solco quando si esce fuori dal quadrilatero della famiglia, in cerca di una condizione senza regole, a prima vista un po´ da barbona inglese e caotica, alla ricerca di una stanza tutta per sé». Conversando, si scopre che lei ha sempre avuto rapporti con la scrittura. «Ho composto poesie fin da quando avevo tredici anni, e l´ho fatto per circa venticinque anni, e poi una volta ho commesso la balordaggine di domandare che fossero pubblicate sotto altro nome, e la casa editrice me ne chiese la convenienza, costringendomi a rispondere che io avevo dei principi talebani, e che volevo che le poesie fossero riconosciute senza il plusvalore della popolarità del mio lavoro. Fisime che adesso non ho più...». Il contenuto di quei versi, confida, era un osservatorio di parole, di paesaggi, di esistenze. «Ho fatto il punto sugli scenari in cui vivevo, sui linguaggi, sulla mia identità, sullo scarto tra me e la realtà di Orvieto, la mia città, sull´educazione domestica, sull´indipendenza della mia mente, e mi soffermavo su faccende che erano lontane dagli sguardi degli altri, e avevo come postazione privilegiata il mio terrazzino, da dove m´esercitavo a resistere. Ora ho anche le poesie e i racconti di mia figlia Virginia, che compie diciott´anni a novembre, diversa da me, ispirata da estasi creative che durano un lampo, mentre io correggo qualsiasi cosa moltissimo».
Un voltapagina, questo romanzo di Anna Marchesini. Che cambia la percezione degli altri nei riguardi della sua indole, del suo manifestarsi, del suo comunicare... «Beh, in effetti mi incuriosiscono, da parte di chi mi legge, le emozioni con aggettivi e sostantivi contrastanti, "un libro timido e pieno di determinazione", "infelicità che è un eccesso di vita", opposti che sono la chiave anche per entrare nel mio universo, perché una cosa non esclude l´altra, e tutto coesiste, e c´è energia anche nelle vite che si spezzano e si sbucciano, e in fondo il mio libro vuole testimoniare la possibilità di un´armonia, malgrado le cose inguardabili e non raccontabili di noi, di cui non si deve aver paura, se è vero che a scrutare bene dentro al dolore trovi risorse e aspetti d´infinita grazia, e senso». Viene il sospetto, ascoltandola, che un´artista così incline alla manutenzione del buonumore del suo pubblico abbia trovato nella scrittura privata una ricarica, un esercizio terapeutico. Ma lei lo esclude subito. «Il libro mi consente un passo avanti nella consapevolezza, mi premia nella misura in cui m´accorgo d´averlo scritto come avrei voluto, ma non è terapeutico, e tutt´al più mi dà una gioia letteraria, m´aiuta a trasfigurare e a rendere bello qualcosa che bello non è. Direi che un segreto è nella causa-effetto che attribuisco al personaggio mitico e ingiudicabile di mia madre, lì dove scrivo "il sacrificio la rendeva di buon umore"». Una cosa è sicura: l´Anna ragazza era già un manifesto del volto dinamico dell´Anna adulta. «Ero una bambina insospettabile, molto estroversa, molto amante del cibo, molto socievole, molto simpatica, facile negli studi, ma succedeva anche che da giovane non fossi creduta, al punto che le mie amiche di scuola mi dicevano che avevo trasformato il liceo in un teatro, imitavo gli insegnanti, avevo battute ironiche, amavo mostrarmi sempre in modo allegro. E mi sono portata appresso un desiderio di non sottostare al quotidiano. La laurea in psicologia doveva aiutarmi a cercare meglio nel territorio della conoscenza. Poi provai con la recitazione, e prima di fare l´Accademia fui bocciata due volte (una volta perché ero "troppo alta"). Credette in me Lorenzo Salveti, e mi lasciai andare, feci molta palestra di grottesco, di surreale, di assurdo, lavorando sull´eccesso. Rubai il mestiere a Buazzelli, feci poi un Platonov, e per una dozzina d´anni ce l´ho messa tutta col Trio, trovando forza e motivazione. Pensavo che saremmo potuti diventare una compagnia di prosa, ma non è andata così. Ho continuato un po´ con Tullio Solenghi. Poi, a parte i miei monologhi di Bennett e Ruccello, mi sono moltiplicata in Le due zittelle di Landolfi, e ho coronato il mio sogno con Winnie di Giorni felici di Beckett (mi commuove, la vita nel tempo freddo, la morte che ti contiene la vita, mentre siamo abituati che una cosa escluda l´altra)».
Qui le recite di Anna s´interruppero, per un´influenza pesante. «Troppo fragile per una tournée, nel 2010 ho spostato il mio orizzonte, la mia attitudine. Ho cominciato a scrivere. Per sette mesi. Certo, un libro non fa di me un´autrice. Comunque sto già scrivendo un racconto, anzi tre racconti legati tra loro, e ho cominciato il primo. Non c´è più l´io del terrazzino. Protagoniste sono persone inventate, una figura per ogni racconto. Il giorno della settimana in cui accadono le cose è lo stesso per tutte e tre. Mi attrae qualcosa che spezza le loro vite, con un ordine che si sgretola, una normalità che non resiste». Il teatro lo frequenta insegnando in Accademia. «Un corso di recitazione, sul comico». E, per abitudine costante, legge. «Non i contemporanei, per diffidenza verso la lingua quotidiana, vicina al giornalismo, al cinema, al lessico domestico. Ho preferenze antiche, mi piace tutto ciò che è evocativo, quindi ricerco i classici, dal ´600-700 a quelli moderni. E mi soffermo su Dostoevskij, sulle novelle di Pirandello, su Calvino, Palazzeschi, James, alcune cose della Woolf». Legge anche nelle abitudini della figlia Virginia. «Ora la vedo adulta, non mi preoccupo di indirizzarla, osservo cosa fa e la guardo vivere, felice di tutti gli attimi vissuti assieme, e della sua capacità di mettere poesia nella vita, e un candore poco omologato».
Accenna con pudore a bilanci. «Ho avuto molto dove ho investito, nei sentimenti, nel rapporto con un compagno, ma forse ad essere sincera non sono stata capace di cercarlo l´amore, forse mi sono posta un divieto alla felicità, quasi per paura di farmi male, non sono stata capace di investire emotivamente fino in fondo, mentre nelle amicizie ci sono riuscita. Dove ho avuto meno coraggio, meno ho ricevuto». Questa società non le pare la società migliore. «Ho la sensazione di vivere in una condizione che non ho scelto, in una sottrazione di identità col mondo circostante, che mi somigliava di più negli anni Settanta. Allora anche le minoranze avevano forza, e quello era il tempo della comunicazione. Ora vivo in una scena definita dal potere ma non dai miei coetanei, e avverto la violenza di scelte diverse da quelle che mi piacerebbe condividere». Pochi, gli aspetti che la rincuorano. «Mi danno gioia le mie risorse, il potermi fidare di me, di ciò che penso, della capacità e consapevolezza di trovare una vita anche dove, come Winnie, si sta infilati in un buco nero». Argomento fede. «Non ce l´ho, e anche quando è in qualche modo presente, non la sento come possibilità di speranza, ma solo come richiesta di rinuncia, di inadeguatezza». La politica. «Il potere è diventato la morte dell´ideologia salutata come modernità. Un doppio messaggio: la modernità è un ritorno al Medioevo, e l´ignoranza di fatti critici economico-civili equivale a un movimento reazionario che attacca la cultura e la fa soffrire». Gli altri artisti d´oggi. «I nuovi comici non mi piace giudicarli televisivamente. Un attore è tale se si misura col teatro. La caratteristica dei giovani è quella di essere nella contemporaneità rendendosi estranei alle complessità del linguaggio». Le fonti di emozione. «L´uomo dal fiore in bocca, e un qualsiasi libro che ti faccia scoprire un altro modo di stare al mondo, e di parlarne».