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 2011  giugno 26 Domenica calendario

NON DI SOLI VIRUS SI AMMALA L’UOMO

Non ci sarebbe stata evoluzione se non ci fossero state le malattie. Non ci sarebbe stata evoluzione se non ci fossero stati i virus con il loro apporto di mutazioni e frammenti di Dna. È paradossale che l’uomo cerchi di dominare i virus quando invece avviene esattamente il contrario: è il virus a utilizzare l’uomo. Il virus stesso è un paradosso. Apparentemente, è incapace di fare molte di quelle cose che strutturalmente rappresentano la vita ma ha in sé i meccanismi utili a perpetuare il Dna, con la sua capacità di entrare nelle cellule e far la copia di se stesso. Non solo: alcune strutture del Dna umano – ad esempio i trasposoni – non ci sarebbero stati se non ci fossero stati i virus, così come questi ultimi non potrebbero esistere senza che ci siano contenitori biologici in grado di ospitarli.

L’evoluzione ha accelerato tutto questo trasferimento d’informazione e oggi assistiamo, attraverso la globalizzazione, a un altro colpo di acceleratore nel rapporto tra virus ed esseri viventi. A scatenarlo sono i grandi flussi migratori e turistici, attraverso i moderni mezzi di trasporto, la sempre più facile comunicazione fra etnie distanti e diverse grazie alle navi, agli aerei, alle automobili.

In breve, oggi dobbiamo ragionare in termini di geografie della salute, come suggerisce il titolo della XXIII edizione di Spoletoscienza. In questo senso, lo spunto più evidente dal quale partire sono i cosiddetti vettori di patologie, quali le malattie infettive – il caso storico della peste a Roma nel 1500 che durò un anno e fu originata da un marinaio ricoverato, anzi segregato, presso l’antico ospedale di via dei Genovesi obbligando il Papa a isolare l’intero quartiere di Trastevere, è emblematico. Il copione della commedia è lo stesso anche oggi: arriva lo straniero che infetta e fa chiudere le frontiere. Peraltro, oggi stiamo assistendo a un raffiorare delle malattie infettive, come ad esempio la tubercolosi. In altre parole, il mondo è evoluto anche attraverso popolazioni che han portato con sé i loro "ospiti" o che si sono evoluti "difendendosi da".

Ma perché Fondazione Sigma-Tau ha ritenuto di intitolare l’edizione 2011 di Spoletoscienza alle Geografie della Salute e alla Medicina personalizzata? Partiamo da lontano: noi siamo i discendenti evoluti dal nucleo umano originatosi in Africa, disseminati in tutto il mondo interagendo con l’ambiente e infine selezionati, come scrive Barbujani ospite di Spoletoscienza. Ora assistiamo, con i grandi flussi migratori in atto, a una sorta di controesodo, un esodo di ritorno.

Ad esempio, avere la pelle nera non è un tratto che separa una cosiddetta razza dall’altra; piuttosto, è un tratto che impedisce la sintesi naturale di vitamina D, se "portati" a vivere presso latitudini terrestri troppo a nord. Quindi, chi ha la pelle nera è portato a avere un maggior rischio di patologie, quale ad esempio l’ipertensione. Questa situazione di diversità va conosciuta e affrontata. In breve, coloro i quali hanno la pelle nera e sono immigrati presso le società occidentali, se si vuole che vivano davvero tra noi in condizioni paritetiche devono poter avere gli stessi diritti a non ammalarsi.

Perciò a Spoletoscienza ci saranno antropologi come Antonio Guerci che spiegheranno come la vita possa contare su hardware molto simili tra loro, i nostri corpi, ma che ciò che permette di dar senso alla vita stessa è il differente software che li anima. Altro contributo di rilievo e denso di spunti è quello di Mark Hanson. Solitamente, abbiamo l’idea che i figli somiglino ai padri e che questo derivi da un tratto genetico. Pur essendo sostanzialmente vero, quel che vorremmo sottolineare è il fatto che l’atto di fecondazione, l’atto germinativo dà il via a una serie di accadimenti che porteranno alla costruzione biologica di un soggetto. Questa costruzione è modulata dall’ambiente uterino con il quale la madre "allena il figlio alla vita", in modo da farne il miglior rappresentante possibile del codice genetico in funzione dell’ambiente esterno. Dunque, quest’unione di cellule – detta corpo umano - risente della disponibilità energetica, risente delle situazioni di stress, risente della modalità con la quale vengono riforniti i singoli substrati per la costruzione dell’individuo.

In breve, il soggetto che supera il canale vaginale è la «miglior macchina che in quel momento il materiale a disposizione poteva fornire» per affrontare l’ambiente esterno. Materiale a disposizione che, in modo esemplificativo, viene fornito dalla madre in forma di quantità e qualità di cibo, di micronutrienti. Ma la stessa madre ha una sua storia, una sua memoria evolutiva che darà informazione al figlio in una certa maniera. Che significa «una certa maniera»? Significa, ad esempio, che i bambini che nascono da soggetti che si sono spostati dalla campagna alla città sono bambini che in qualche modo rischiano poiché la nuova situazione ambientale esterna non è molto favorevole a quella secondo la quale la mamma è evoluta. I bambini dell’India, per esempio, hanno una struttura che li attrezza a sopravvivere in situazioni di carenza di cibo. Se spostati in luoghi e situazioni dove c’è abbondanza di cibo, spesso non in linea con la dieta di appartenenza, questi stessi bambini rischiano l’obesità. Il che significa che, mutando le condizioni, questi bambini immigrati riaprono la loro sfida con l’evoluzione. È questo il "filo rosso" del tema del convegno: la riapertura della sfida con l’evoluzione attraverso l’affermarsi di nuove modalità di sopravvivenza che sono quelle dell’obesità, della sindrome metabolica, dell’incremento di tumori, dell’ipertensione, di patologie cioè che non sono più trasmesse con i virus ma attraverso stili di vita e confronti di modalità di costruzione delle macchine umane.

Popolazioni che sono sopravvissute a enormi carenze di vario tipo – quantità e tipologia di energia – si trovano a confronto con una serie di situazioni ambientali – ricchezza di grassi, dieta da caffetteria, riduzione o eccesso di carboidrati, mancanza di varietà vegetale eccetera – che non sono propriamente quelle con le quali si sono evolute. E sono ancora una volta vittime perché nessuno pensa che la Natura agisce per default, come può, ma che la salute e la medicina devono invece adattarsi a loro, devono venir loro incontro. E questo vale sia per chi da lontano si muove e per chi è invece stanziale.

Il problema è se la geografia della salute non debba essere intesa anche come valutazione della situazione ambientale, non necessariamente distante migliaia di chilometri, ma è una situazione ambientale mutata dal punto di vista non solo climatico ma anche alimentare, degli stili di vita. Nel quadro di un’autentica geografia della salute che non tenga conto solo del ruolo rinnovato delle malattie infettive, noi dobbiamo perciò valutare come i soggetti umani tendono a riaffrontare le decisioni dell’evoluzione proprio perché stiamo creando noi gli elementi selettivi. Ed è mutato il quadro delle malattie.

Per molto tempo le malattie sono state o malattie infettive, o malattie ereditarie o malattie infiammatorie. Quindi si è andati alla ricerca del virus, del batterio, di un processo immunitario ma in sintesi la chiave interpretativa affinché l’individuo manda messaggi per mantenere il suo stato di salute, è il suo metabolismo. Dove ogni metabolismo è unico e differenziante come fosse una firma del soggetto cui deve corrispondere una medicina personalizzata. Specie riguardo lo stato nutrizionale di ciascuno di noi, correlando cibo e genetica nel quadro di una globalizzazione della salute.

Vice-presidente della Fondazione Sigma Tau