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 2011  giugno 26 Domenica calendario

GABINETTO DI POESIA

Il 12 giugno 2011, verso le sette del pomeriggio, un poeta entra nel gabinetto di un bar in via Antonio Allegri a Reggio Emilia e mentre è in piedi davanti alla tazza legge nello stesso tempo questo avviso: «Si prega di lasciare i servizi consoni al riutilizzo»; legge e ne è deliziato. Questa non è una frase semplice come sarebbe «Lasciare pulito il gabinetto», che sarebbe un endecasillabo elementare di poco pensiero e non problematico; per cui il poeta si arresta lì in piedi e riflette. Questa piccola frase è un poemetto; prima di tutto è formata da due versi parisillabi, un decasillabo e un ottonario, che come accoppiamento è abbastanza inedito e non vengono in mente dei precedenti, né nell’antica poesia provenzale, né nella libera poesia moderna, ad esempio in Giovanni Pascoli, che era uno sperimentatore. Però il parisillabo è ben scelto, perché ha quell’andamento da marcetta che dispone l’anima sull’attenti (S’ode a destra uno squillo di tromba... si prega di lasciare i servizi...); e poi l’ottonario, più breve... consoni al riutilizzo, che per questa brevità sembra dire: la cosa è facile, ci vuol poco. Perché se invece (pensa il poeta in piedi, nel corso della sua emissione) se invece l’autore anonimo del gabinetto (d’ora in poi Autore del gabinetto) se avesse fatto seguire al primo decasillabo un secondo decasillabo... che so? ... ripuliti per un riutilizzo, per cui diventava «Si prega di lasciare i servizi / ripuliti per un riutilizzo», questo sembra un passo cadenzato di corsa, come se la pulizia di un gabinetto fosse una cosa da bersaglieri alla carica. Invece l’autore dice... consoni al riutilizzo, e il poeta sente come ci sia una frenata, un calando di energia. Attenzione! dice il decasillabo; è facile, soggiunge poi con benevolenza l’ottonario.

Però in tutto il poemetto c’è un acme, ed è quella parola sdrucciola e preziosa che è consoni. Ma come gli è venuta in mente? si chiede il poeta lì in piedi; come gli è venuta in mente all’Autore del gabinetto questa parola così stratosferica? Qui c’è un colpo magistrale, una grande lezione di metrica. Perché l’Autore del gabinetto l’ha messa? questa parola nobile, questa metafora musicale, dotta, latineggiante; che a rigore sarebbe anche un po’ sbagliata, perché se stiamo alla lettera la tazza del gabinetto (chiamata con senso di responsabilità, i servizi; che facendo sparire l’aggettivo implicito, i servizi sanitari, sembra fare appello a una coscienza civica), questi servizi, cioè la tazza del gabinetto dovrebbe emanare dopo il primo utilizzo una sorta di musica, che è la stessa (consona) a quella che invoglia l’utente che si appresta ... eccetera eccetera.

Ora le questioni di armonia musicale... non so... (pensa il poeta), è un po’ ardito attribuirle alle problematiche di gabinetto...; sì, c’è anche un uso corrente di consono, che prescinde dalla musica, e che più o meno significa adatto, corrispondente; l’autore avrebbe anche potuto dire: ... lasciare i servizi in uno stato adatto per ogni eventuale riutilizzo, ma è pesante, tutti avrebbero sentito che l’espressione è pesante, perché perdeva ogni metrica, e lì uno un po’ sensibile alla poesia si sarebbe avvilito, per la lingua italiana, diventata un pezzo di piombo. Oppure poteva dire ... lasciare i servizi decenti per ... eccetera, ma si sarebbero toccate questioni morali, di decenza e decoro, e perciò di vergogna; ma la vergogna la si ha solo in presenza di qualcuno; un essere umano chiuso a chiave in un gabinetto non è soggetto a vergogna, si può abbassare a qualunque turpitudine e usi impropri della latrina, del coperchio, dello sciacquone; nessuno lo vede; anzi spesso è nelle latrine che ci si vendica della società, dei partiti politici, dell’oppressione municipale, si insulta, si scarabocchiano inni alla femmina; impera il nichilismo, al gabinetto; quindi la morale, ha pensato l’Autore, lasciamola da parte; e ha preferito la parola consoni, che tocca valori più spirituali; l’errore sta nel fatto che questi valori, la spiritualità, è raro che si riscontrino nell’area di giurisdizione dei gabinetti pubblici. Ma è per questo che l’Autore anonimo ha scelto la parola, perché quello che sembra un errore (e a rigore lo è, errore di registro) introduce nel testo la dimensione poetica, con echi leggermente neoplatonici.

Al poeta, se pur in piedi e nell’espletamento delle sue urgenze, erano infatti venute in mente le anime che Platone descrive come consonanti in cerca l’una dell’altra, e pure l’armonia delle sfere celesti, il destino umano che trova rispondenza nei cieli eccetera, per cui i servizi (nella fattispecie la latrina) gli apparivano come enti metafisici, che andavano lasciati in armonia con lo spirito di chi fosse poi subentrato nel loro uso. Quindi, escluso il fatto morale, escluso l’elementare fatto igienico, il breve poemetto in sostanza fa appello alla coscienza umanistica e alla superiore cultura dell’utente; chi sa apprezzare la componente sublime di quel consoni, chi appartiene a questa sfera elevata dell’anima, non solo non lascia tracce corporee, sporco, impurità, forse... forse non va neppure di corpo; come se i servizi fossero un piccolo luogo di ritiro: il poeta infatti stava trincando con altri a un tavolo chiassoso, dove circolavano parole grevi, merda qui, merda là, e il povero poeta a un certo punto ha avuto bisogno di far respirare lo spirito, allora si è alzato, ha chiesto ... dov’è ...? Là in fondo, gli han detto, lui entra, chiude a chiave ... e subito è silenzio, quello stato di concentrazione e attesa che il luogo e il poco tempo permettono; alza lo sguardo e legge: Si prega / di lasciare / i servizi..., e già si sente un po’ commosso, che lo si preghi, che debba lasciare i servizi... come?... consoni! ... ah! ecco! e il poeta non è più un essere di questa terra, bassa, puzzolente, corrotta; è già con la testa che gira oltre l’eclittica, oltre la sfera delle stelle fisse; ... magari è anche per la vodka, il rhum, i due o tre aperitivi, la vodka all’anice e il digestivo che ha già bevuto, aspettando di andare a cena; però quando legge la preghiera di lasciare consono il luogo a chi dopo di lui verrà... sentite anche il mistero!, chissà chi verrà dopo; c’è la consonanza di tutta l’umanità, che prescinde dal l’ora, dal luogo, dall’urgenza con cui è corso a ritirarsi ... avendo aggiunto al digestivo (alla vodka, al gin... eccetera eccetera) anche due birre leggere ma molto diuretiche, qui lo dobbiamo scusare di questi particolari, ma è per far cogliere come, indipendentemente da tutto (ci sono tante ragioni per cui uno corre via da una compagnia allegra e triviale), come indipendentemente da tutto, possa agire quel consoni su un’anima già predisposta.

Allora è successo che dopo un po’ gli hanno bussato, al poeta, «Chi c’è dentro? è mezz’ora che aspetto!». «Scusate scusate ho finito... devo copiarmi una cosa ... non avete una biro?... (gli passano la biro) ... e un foglietto». «Sì ma lei faccia presto!». Quello che seguiva era un altro poeta; allora (incredibile) si è creata una fila in quel bagno di via Antonio Allegri detto il Correggio; perché la poesia si trova ovunque, non è solo sui libri, e quando la si trova ci vuole tempo per meditare e capirla.