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 2011  giugno 26 Domenica calendario

L’IMPRESA DI MISTER GOOSE: UNIRE AFFARI E NO PROFIT

Tutto è cominciato per colpa di una motocicletta, per la maledizione di un uragano e per l’intuizione precipitata fra un sorso di birra e una salsiccia di Slug & Lettuce, pub di Soho. Tutto è frutto della straordinaria sequenza di eventi che hanno visto un trentenne del Norfolk, Duncan Goose, raccontare, davanti a una lager, il suo viaggio in Honduras su un Honda Africa Twin in compagnia dell’uragano Mike che nel 1998 sparse devastazione in America centrale.

Quel narrare a un gruppo di amici ispirò acrobatiche elucubrazioni per coniugare business e charity, per declinare il piacere dell’imprenditoria con il piacere della beneficenza. Rotolò, così, fra quei cervelli, l’idea di Global Ethics, no profit ad alto scopo di lucro capace, come promette, di stimolare il lato buono che è in noi, moltiplicando i consumi del primo mondo a beneficio del terzo. Quello che si compra qua produce un’identica conseguenza là. Davanti a un caffè che, per l’occasione, come vedremo, è un inevitabile bicchiere d’acqua, Duncan Goose racconta.

«L’emergenza che più dibattemmo fu quella della mancanza di acqua che colpisce un miliardo di persone e provoca la morte di 2 milioni di esseri umani ogni anno». L’acqua è risorsa che ha un fascino sottile per tutti, per Goose anche di più. Ha scorto una corrispondenza diretta fra la vendita di una bottiglia e l’apertura di una fonte. Global Ethics ha dato vita a One Foundation, che ha generato a sua volta One Water, marchio che vende acqua minerale nel Regno Unito e che gira gli utili a Ong attive in Africa. «Il progetto - aggiunge - è semplice, prevede l’installazione di play pumps, ovvero pompe attivate dal gioco dei bambini. Come ho cominciato? Vendendo l’acqua One dal baule dell’auto dopo averla acquistata da produttori gallesi finanziandomi con un mutuo sulla casa. Live8 Concert ne ha poi fatto la bibita del tour, garantendo visibilità sufficiente da convincere Total a distribuirla nella sua rete». Da allora l’espansione è costante e le ricadute anche. «Abbiamo piazzato centinaia di pompe, anche fuori dall’Africa. A Timor e in Papua Nuova Guinea, dove sono diretti i profitti generati da One Foundation in Australia».

Il modello di business si è evoluto su due filoni: nuovi mercati e nuovi prodotti. Per ora One opera in Regno Unito, Australia e Stati Uniti con l’acqua, ma l’offerta si è aperta a ventaglio. «Il marchio One è ora su profilattici, uova, carta igienica, cerotti, lo sarà presto sui servizi finanziari, a cominciare dalle assicurazioni», aggiunge disegnando una trama di affascinanti corrispondenze lungo la linea che recita così: quel compri qui e deve fare bene lì. «Questa - dice alzando un pacco di carta igienica One - è made in Italy. La Sofidel di Luigi Lanzareschi, leader europeo nella carta da toilette, ha aderito al nostro progetto. Compriamo da lui, mettiamo il nostro brand e distribuiamo. Per le uova abbiamo scelto una via diversa che nasce dalla relativa visibilità che abbiamo raggiunto. Diamo, a precise condizioni, la licenza di produzione e commercializzazione liberandoci dal problema enorme della distribuzione. Il secondo maggior produttore di uova del Regno Unito, Noble, fa tutto per noi e ha accesso agevolato ai migliori grandi magazzini».

Il risultato finale per Global Ethics non cambia, gli utili generati sono interamente girati alla promozione di progetti specifici e speculari. I profilattici finanzieranno la lotta all’aids, la carta l’innalzamento dei livelli di igiene nel terzo mondo, le uova la diffusione dell’allevamento di polli. Altro verrà dal genio di questo giovane tycoon del no profit che ha parole buone per molti, ma di autentica adorazione per sua moglie, Marta Boffito, medico piemontese impegnata con grande successo nella ricerca sull’Hiv al Chelsea & Westminster hospital. «Una donna straordinaria», aggiunge. Anche nel sostenerlo in un’impresa dove si sono giocati tutto, casa compresa. «Solo ora - confessa - vediamo la luce».

I numeri di One sono ancora piccoli. Il fatturato è di una decina di milioni di sterline, i dipendenti si contano sulle dita di due mani. «Ma sono i migliori - continua - perché non c’è beneficenza nel reclutamento. Hanno stipendi di mercato perché voglio gente esperta e capace. Solo io, dopo tre anni gratis, mi continuo a dare un salario da quadro intermedio: 60mila sterline l’anno».

L’obiettivo è l’utile, non la carità. Quella arriva dopo. Il veicolo per riempire una mano tesa è il passaparola e una strategia di marketing semplice, ma potente abbastanza da spingere il consumatore ad andare dove lo porta il cuore. Se l’acqua, le uova, i cerotti, la carta igienica esposti sugli scaffali di un supermercato sono di qualità e hanno prezzi competitivi, perché non aiutare il mondo in via di sviluppo? «Esatto - conclude Duncan - perché no?». Solo primatisti di egoismo e con una punta di sadismo resistono alla tentazione di fare beneficenza a costo zero. Il progetto cresce, il boom, spera Duncan, sta per arrivare.