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 2011  giugno 26 Domenica calendario

Montaigne, un uomo viziato sin da giovanissimo, e abituato a una vita tranquilla, quella di magistrato e amministratore molto riverito

Montaigne, un uomo viziato sin da giovanissimo, e abituato a una vita tranquilla, quella di magistrato e amministratore molto riverito. Insomma Montaigne porta un fatto di natura antropologica a un livello più alto e, purtroppo, di maggior generalizzazione. Aggiunge poi altri elementi di accusa, come, ancora durante la guerra di religione, gli episodi nei quali dei cattolici estrassero i cuori degli ugonotti dal petto e li divorarono per odio e spregio, indifferenti alla comunanza di origine e di tradizioni. gli Essais furono messi all’Indice solo nel 1676. Montaigne rivela una vena di «straziato umanesimo apocalittico» : il nostro dovere verso i posteri sarebbe, secondo lui, quello di «disimparare il male» ***** ARTICOLO COMPLETO MONTAIGNE, ILLUMINISTA DEL ’500 - Scrittore ai livelli più alti della letteratura rinascimentale, Michel Eyquem de Montaigne (1533-1592) si dice e si nasconde nei suoi mirabili Essais. Si dice, perché qualunque sua analisi, anche se rivolta ad un ambito amplissimo, parte sempre dal soggetto, anzi dall’io, unica realtà per lui innegabile. Si nasconde, perché spesso sembra non voler giungere alle estreme conseguenze dei suoi acutissimi ragionamenti. Alla base di questo atteggiamento qualcuno ha addotto una certa pigrizia, naturale in un uomo viziato sin da giovanissimo, e abituato a una vita tranquilla, quella di magistrato e amministratore molto riverito; altri hanno cercato motivazioni filosofiche, dove lo stoicismo può andare a braccetto con l’epicureismo, e lo scetticismo può preludere all’illuminismo (è certo che gli illuministi hanno considerato, a ragione, Montaigne come un maestro). Ma partire dall’uomo e dal suo carattere non ci porta lontano. Meglio rifarsi allo spirito dell’epoca, tormentatissima. Occorre tener conto degli effetti della Riforma, tra cui le guerre di religione: soprattutto, in Francia, quella tra cattolici e calvinisti (ugonotti), con punte di orrore come nella strage di ugonotti della «Notte di san Bartolomeo» (1572). Occorre tener conto del lungo periodo di dibattito del Concilio di Trento, e della conseguente svolta rigoristica. Oppure pensare alle conseguenze della scoperta dell’America, anche per i contrasti d’ambito religioso che essa produsse e per i riflessi di questi sul comportamento verso i popoli americani (gli indios, per attenersi alla dizione più generica). Di tutto ciò è ben consapevole Carlo Montaleone, nel suo volume Oro, cannibali, carrozze (Bollati Boringhieri), con sottotitolo Il Nuovo Mondo nei Saggi di Montaigne. Si potrebbe dire che il volume sia l’analisi esauriente di due capitoli degli Essais: Dei cannibali (I, 30) e Delle carrozze (III, 6). Quasi trecento pagine per illustrarne una quarantina di Montaigne, Non stupisce, se si pensa che commentare quei due capitoli significa se non altro scavare nei retropensieri del grande scrittore, in modo da mettere in luce ciò che è implicito o rimosso o dissimulato, ed evidenziare il modo di connettere efficacemente ma allusivamente il ragionamento: insomma la strategia in cui rientrano affermazioni e suggestioni apparentemente scollegate. La strategia è probabilmente un elemento costitutivo, strutturante degli Essais, e questo dà una robusta validità al lavoro dello studioso, che è professore di Antropologia filosofica nell’Università statale di Milano. La scoperta dell’America e dei suoi abitanti poneva problemi difficili, persino di carattere teologico, se si prendeva alla lettera il mito di Adamo, nostro progenitore (ma non loro, si pensava), e ci si domandava in che modo potesse estendersi, con un ritardo di quasi quindici secoli, il messaggio di Gesù anche in quelle terre. Pure il mito di Atlantide venne rispolverato, come possibile ponte, poi inabissatosi, tra il vecchio e il nuovo continente. Nell’attesa di una soluzione di questi problemi, i conquistatori spagnoli risolsero tutto con un grande genocidio degli indios, una spoliazione sistematica dei loro tesori veri o supposti (gli europei hanno come dio l’oro, dicevano gl’indigeni) e la schiavitù per i superstiti, una volta cristianizzati. Si ritenne da principio che gli indios costituissero una specie diversa dalla nostra, tanto che dovette intervenire il papa Paolo III, nel 1537, per decretare che essi sono «veri homines» . La denuncia dell’immensa mattanza, compiuta invocando la Croce, fu fatta da frate Bartolomé de Las Casas, che richiamava anch’egli, più correttamente, l’insegnamento di Gesù. Bartolomé agì efficacemente in difesa degli indios fin dal 1520, ma poté pubblicare solo nel 1552 un suo imponente trattato sull’argomento. Montaigne allude a questa triste storia senza giudicare, ma facendo intendere, anche duramente. Dice, nientemeno, che è un peccato non siano stati i Greci o i Romani a scoprire l’America, perché essi avrebbero saputo civilizzare dolcemente gli indios e avrebbero fecondato e fortificato i buoni semi che la Natura ha messo in loro. Altrettanto sapiente il suo modo di riportare le voci sull’antropofagia di una sconosciuta tribù caraibica (da cui il termine cannibali), usate per demonizzare gli indios, e di riflettere sui casi di antropofagia riscontrati in Francia durante la guerra di religione. Insomma Montaigne porta un fatto di natura antropologica a un livello più alto e, purtroppo, di maggior generalizzazione. Aggiunge poi altri elementi di accusa, come, ancora durante la guerra di religione, gli episodi nei quali dei cattolici estrassero i cuori degli ugonotti dal petto e li divorarono per odio e spregio, indifferenti alla comunanza di origine e di tradizioni. Insomma, parlando degli indios si parla di noi, perché «ognuno chiama barbarie quanto non è nei suoi usi» . E anzi, se si approfondissero le motivazioni di nostre abitudini e tradizioni, si scoprirebbe che esse hanno fondamenta inconsistenti, e perdurano soltanto per «la forza delle leggi e degli esempi» . Montaleone fa riferimenti sempre più fitti ed efficaci ad altri capitoli di Montaigne, e cerca persino d’intravedere quale sia la sua prospettiva del futuro. È un futuro non gaio. Se i cannibali hanno perso la loro guerra, «le mani vilmente vittoriose» dei conquistatori non hanno trionfato. Montaigne rivela una vena di «straziato umanesimo apocalittico» : il nostro dovere verso i posteri sarebbe, secondo lui, quello di «disimparare il male» , quel male che era esploso, ai tempi suoi, nella stessa civile Francia. Montaigne era insomma tutt’altro che pigro o prudente, anche se le sue strategie di scrittura hanno saputo dissimulare la gravità delle contestazioni: gli Essais furono messi all’Indice solo nel 1676.