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 2011  giugno 26 Domenica calendario

«PAOLO POLI: BRANDO RAPITO DAI NUDI DELLA SISTINA»

La capitale del mondo introduce le nozze omosessuali, ma il primo - per coraggio e autoironia - tra i tanti omosessuali italiani di talento non si scompone. «Io sono dell’ epoca di Pasolini - racconta Paolo Poli -. Siamo saliti sul patibolo da soli, come Giovanna d’ Arco. Uomini singolari: non volevamo la forza del numero. Il matrimonio tra gay non mi interessa, come non mi interessa quello tra uomo e donna: la vera moglie è la donna che ami; Claretta era la vera moglie di Mussolini, Anita di Garibaldi. Io voglio seguire l’ istinto e la perversione, non tornare a casa e trovare qualcuno che mi chiede cosa voglio per cena. "Caro, ti faccio la besciamella?". Fuggirei subito, con Visconti o con un tranviere».
A proposito, Visconti? «Era di quelli che non avevano bisogno di andare all’ università per essere colti. Il mattino veniva la maestra di piano, lui suonava con la madre, anche se maluccio. Mi diceva ridendo "prima o poi ti becco..."; ma non c’ è mai stato nulla. Con un tranviere, invece... mi portava ai Castelli Romani in tram, un ricordo bello. Sapevo fin dall’ inizio di essere gay. Entrai in una panetteria, e vidi che mi garbava il fornaio. Andai al cinema, davano King Kong, avevo cinque anni, e vidi che mi garbava pure il gorilla. Il dado era tratto».
Spiega Poli che nella cultura italiana uscire allo scoperto è sempre stato difficile. «C’ era il fascismo, che non è finito nel 1945. Prendiamo Rosai. Una volta gli chiesi: ma perché ti sei sposato? E lui: "Che vuoi, è così piccina...". C’ era il machismo. Ricordo Marlon Brando, quando venne da Zeffirelli per fare Ulisse in un’ Odissea che poi non si è mai girata. Brando aveva uno sguardo macho e languido insieme; e una vocina da Donald Duck che in Italia i doppiatori trasformavano in un vocione stentoreo. Tutti sussurravano che fosse l’ uomo di Christian Marquant, l’ attore francese, ma nessuno osava dirlo. Di fronte ai nudi della Sistina rimase estasiato. Zeffirelli mi accolse in casa quando non avevo un soldo, senza chiedere nulla in cambio: una mamma. Le ho voluto molto bene. Pasolini invece non mi considerava. Cercava Moravia per le conversazioni letterarie, ma per l’ amore voleva Emilio, il figlio della natura: gli ignoranti, i ragazzi di borgata; brufoli e accento romanesco. Dalle scorrerie in cabriolet tornava pesto, segnato, graffiato. Di Montgomery Clift invece raccontavano che gli piacessero i vecchi. Gli sarà mancato il padre. Il mio era affettuosissimo. Carabiniere: entrava a teatro gratis e portava anche me, nascosto sotto il mantello».
«C’è una certa pruderie, nel ripararsi dietro la bisessualità. Leonardo non era bisessuale: era decisamente dei nostri, subì anche un processo, anche se nessuno lo ricorda mai. Come Michelangelo, che ebbe il naso rotto a cazzotti: ma chi le cita, le lettere a Tommaso Cavaliere, i passi in cui parla delle sue cosce? L’ omosessualità di Caravaggio era un argomento di scherzo con Roberto Longhi, uomo delizioso. Gli si era rotta la caldaia nella villa di Firenze ed era andato a stare dalla Bellonci, che scriveva divinamente ma alla lunga era insopportabile. Così Longhi veniva a trovarmi in camerino, durante le prove di Santa Rita da Cascia, io lo ricevevo vestito da ragazzina con le trecce, e lui mi diceva: "In America tutti mi chiedono se Caravaggio era finocchio. Secondo te?". Secondo me, Caravaggio era tutto perché all’ epoca succedeva di tutto, come nei bassi di Napoli sino a poco tempo fa».
«In un certo mondo omosessuale non mi riconosco. Il Gay Pride mi mette una tristezza infinita; come il Carnevale di Viareggio. Non mi parli di Platinette o di Luxuria: non so chi siano. Mi spiace semmai non aver conosciuto Oscar Wilde, di cui ho in mente il bellissimo schizzo che ne fece Toulouse-Lautrec; che bello Aristide Bruant di spalle, con la sciarpa rossa, mentre va allo Chat Noir a sentire Satie... Mi pare riduttivo rivendicare i Grandi a una causa: quella di Proust non è letteratura gay; semmai lo è quella saffica di Balzac. Per la nostra generazione, il mito era Franca Valeri. È stata il mio maestro di teatro».
«Non è mai stato facile essere omosessuali, neppure nello spettacolo. Avevo già cinquant’ anni e ancora gli impresari non sapevano se mandarmi un telegramma di felicitazioni, come a un uomo, o un mazzo di fiori, come a una donna. Nel dubbio, spedivano entrambi. Ho una sorella, Lucia, che ha undici anni meno di me, una sorta di figlio, e due sorellastre più grandi. Le chiamo così perché mi rifiutarono. Poi, quando lessero dal parrucchiere che avevo avuto successo, rinsavirono; ma era troppo tardi».
«La Chiesa fa il suo mestiere. Non può certo benedire gli omosessuali. Benedetto XVI non mi è simpatico; ma un Papa non dev’ essere simpatico, dev’ essere severo. Non credo neppure alle adozioni gay. Un figlio però l’ avrei voluto. Mi diedero in affido due fratellini, figli di una prostituta. Avevo un cane, il pallone, il giardino, ma loro non sapevano che farsene, volevano tornare dai preti per giocare a calciobalilla. Provai con l’ adozione. Fui esaminato da una giudicessa, che mi individuò subito come pessimo soggetto: "I figli hanno bisogno di una figura femminile". "Ma allora ci siamo!", risposi: invano. In realtà l’ uomo, come il cavalluccio marino, è più portato della donna alla cura dei figli. Quarant’ anni fa, a Roma sciolsero l’ Opera maternità e infanzia. Ci andai. C’ erano stanze piene di bambini che a quattro anni camminavano a stento e dicevano solo "cacca" e "cioccolato". Una suora mi disse: "Ne prenda due e scappi". Io sognavo una sorellina bionda e buona e una bruna e cattiva, come nelle fiabe, ma non feci in tempo a scegliere, in due mi saltarono al collo e mi chiamarono "mamma". "Ottimo inizio" pensai, e mi avviai all’ uscita. Mi fermò un infermiere, che me le fece posare: meglio figlie dello Stato, che di una ragazza irrecuperabile come me».